05 ottobre 2005
Aggiornamenti e focus
Premio da ulcera
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A volte sembrano scoperte modeste, al momento senza troppi significati, a volte avvengono per caso, ma è grazie a piccoli contributi che la scienza e la medicina fanno passi da gigante. E quando ci si rende conto di ciò è inevitabile che un Premio Nobel prima o poi arrivi. E' il caso quest'anno di Robin Warren e Barry Marshall, cui è stato riconosciuto il merito di aver scoperto l'Helicobacter pylori e la sua implicazione nei disturbi gastrici.
Appartiene al genio scientifico andare controcorrente: adeguarsi ai dogmi scientifici (che già di per sé sono un controsenso) non porta lontano, e la genialità dei due patologi australiani è stata proprio quella di non accettarne uno. Quello che diceva che l'ambiente gastrico è talmente acido che è impossibile che possa essere colonizzato da microrganismi. Con queste premesse, disturbi come la gastrite, l'ulcera peptica e l'ulcera duodenale erano attribuite a stili di vita scorretti e stress che provocavano un aumento dell'acidità gastrica. La terapia proposta ai pazienti era sostanzialmente a base di antiacidi, ma non era una soluzione definitiva e costringeva a cure prolungate o ripetute, rendendo sostanzialmente cronico il disturbo.Alla fine degli anni '70, Warren osserva la presenza di un batterio durante la biopsia di una mucosa gastrica e nei successivi due anni realizza che esiste un'associazione tra il microrganismo e la gastrite dei pazienti sottoposti all'esame. Insieme a Marshall portano avanti la ricerca nel tentativo di coltivare il batterio, a questo punto battezzato Helicobacter pylori, e nel frattempo trattano i pazienti, guarendoli, con antibiotici. Nel 1982, complice un lungo ponte vacanziero, una coltura di H. pylori rimasta più a lungo del previsto in laboratorio permette per la prima volta di coltivare il batterio in vitro. A quel punto si scoprono i segreti del microrganismo, tra cui la capacità di colonizzare un habitat così sfavorevole. E' infatti un enzima, di produzione propria, l'ureasi, che "scava" nella mucosa gastrica: trasforma per fermentazione l'urea in anidride carbonica. In questo modo, l'acidità gastrica viene contrastata (tamponata) a favore della crescita batterica. Ecco perché nel giro di poco tempo può cominciare l'erosione della mucosa dello stomaco fino alla formazione di un'ulcera.
Da quel momento in poi si ebbe la certezza che il 90% delle ulcere duodenali e l'80% di quelle gastriche sono attribuibili all'Helicobacter, e trattando i pazienti con antibiotici, in associazione con antiacidi, si otteneva un'efficacia terapeutica del 90%.Ma l'intuizione era andata oltre. Infatti mentre prima si riteneva che fosse la produzione di acidi la causa del disturbo, i due Nobel osservarono che nella metà dei pazienti era presente un'infiammazione in particolare nelle zone di colonizzazione batterica, ed era questa la causa del disturbo. Quindi anche se si inibiva la produzione di acidi (cosa che per altro favoriva la crescita batterica!) si aveva un'attenuazione dei sintomi ma solo temporanea, perché i batteri rimasti in loco continuavano ad alimentare lo stato infiammatorio.Lo studio venne pubblicato nel 1983 sulla rivista The Lancet, ma i due scienziati hanno dovuto aspettare più di vent'anni perché venisse riconosciuto il valore della loro scoperta che ha migliorato la qualità della vita di molte persone, più o meno nervose.
Simona Zazzetta
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Un batterio furbetto
Appartiene al genio scientifico andare controcorrente: adeguarsi ai dogmi scientifici (che già di per sé sono un controsenso) non porta lontano, e la genialità dei due patologi australiani è stata proprio quella di non accettarne uno. Quello che diceva che l'ambiente gastrico è talmente acido che è impossibile che possa essere colonizzato da microrganismi. Con queste premesse, disturbi come la gastrite, l'ulcera peptica e l'ulcera duodenale erano attribuite a stili di vita scorretti e stress che provocavano un aumento dell'acidità gastrica. La terapia proposta ai pazienti era sostanzialmente a base di antiacidi, ma non era una soluzione definitiva e costringeva a cure prolungate o ripetute, rendendo sostanzialmente cronico il disturbo.Alla fine degli anni '70, Warren osserva la presenza di un batterio durante la biopsia di una mucosa gastrica e nei successivi due anni realizza che esiste un'associazione tra il microrganismo e la gastrite dei pazienti sottoposti all'esame. Insieme a Marshall portano avanti la ricerca nel tentativo di coltivare il batterio, a questo punto battezzato Helicobacter pylori, e nel frattempo trattano i pazienti, guarendoli, con antibiotici. Nel 1982, complice un lungo ponte vacanziero, una coltura di H. pylori rimasta più a lungo del previsto in laboratorio permette per la prima volta di coltivare il batterio in vitro. A quel punto si scoprono i segreti del microrganismo, tra cui la capacità di colonizzare un habitat così sfavorevole. E' infatti un enzima, di produzione propria, l'ureasi, che "scava" nella mucosa gastrica: trasforma per fermentazione l'urea in anidride carbonica. In questo modo, l'acidità gastrica viene contrastata (tamponata) a favore della crescita batterica. Ecco perché nel giro di poco tempo può cominciare l'erosione della mucosa dello stomaco fino alla formazione di un'ulcera.
La soluzione a portata di mano
Da quel momento in poi si ebbe la certezza che il 90% delle ulcere duodenali e l'80% di quelle gastriche sono attribuibili all'Helicobacter, e trattando i pazienti con antibiotici, in associazione con antiacidi, si otteneva un'efficacia terapeutica del 90%.Ma l'intuizione era andata oltre. Infatti mentre prima si riteneva che fosse la produzione di acidi la causa del disturbo, i due Nobel osservarono che nella metà dei pazienti era presente un'infiammazione in particolare nelle zone di colonizzazione batterica, ed era questa la causa del disturbo. Quindi anche se si inibiva la produzione di acidi (cosa che per altro favoriva la crescita batterica!) si aveva un'attenuazione dei sintomi ma solo temporanea, perché i batteri rimasti in loco continuavano ad alimentare lo stato infiammatorio.Lo studio venne pubblicato nel 1983 sulla rivista The Lancet, ma i due scienziati hanno dovuto aspettare più di vent'anni perché venisse riconosciuto il valore della loro scoperta che ha migliorato la qualità della vita di molte persone, più o meno nervose.
Simona Zazzetta
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