05 gennaio 2007
Aggiornamenti e focus
Geni fuorilegge
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C’è una particolare patologia cardiaca caratterizzata da una lunghezza anomala del segmento QT del tracciato dell’elettrocardiogramma, che si manifesta clinicamente con aritmie e morte improvvisa. Esistono diverse forme di sindrome da segmento QT lungo, le più comuni sono il tipo 1 e il tipo 2, per le quali è stata riconosciuta una componente genetica: sono associate alle mutazioni KCNQ1 e KCNH2, rispettivamente, di geni che codificano per i canali del potassio. Si verificano alterazioni della permeabilità di membrana delle fibre del miocardio, che provocano anomalie nel battito cardiaco, visualizzate dallo strumento come un prolungamento anomalo dell’intervallo QT tracciato. Le conseguenze cliniche sono l’aumento del rischio di sincope e morte improvvisa dovute ad aritmie ventricolari fatali.
In linea teorica tali mutazioni, essendo legate a cromosomi non sessuali, cioè mutazioni autosomiche, dovrebbero presentare un’ereditarietà di tipo mendeliano che non prevede differenze tra generi. Essendo alleli dominanti (anche se in alcuni casi recessivi) è sufficiente che ce ne sia una copia perchè l’anomalia si manifesti. Ma la realtà dei fatti sembra diversa in quanto è stato più volte rilevato che nella popolazione di soggetti con questo disturbo le donne rappresentano la percentuale maggiore. E questo si fa fatica a spiegarlo con le leggi del buon Mendel, al punto che si è pensato che ci fosse un vizio di forma nelle procedure di accertamento o di reclutamento del campione. E’ anche vero che nelle donne l’intervallo QT è già per natura più lungo, quindi se l’unico criterio di diagnosi è la lunghezza dell’intervallo diventa più probabile che loro la ricevano. La spiegazione alternativa è che le due mutazioni abbiano una maggiore penetranza, cioè comportino una maggiore probabilità di sviluppare la malattia.
Il dubbio è stato chiarito, in favore dell’ultima ipotesi da uno studio su 484 nuclei familiari con la sindrome di tipo 1 e 269 con quella di tipo 2. Nella progenie di 1534 soggetti, della quale si disponeva di una mappa genica completa, la proporzione soggetti con la mutazione era effettivamente più alta di quanto ci si aspettasse in accordo con l’ereditarietà mendeliana. Il 57% era infatti portatore dell’allele mutato per la sindrome che era stato trasmesso più spesso alla progenie femminile (55%) rispetto a quella maschile (45%). Il che spiegherebbe l’eccesso di donne con la patologia cardiaca in una popolazione di malati. Ciò che invece non è chiaro è perchè ciò accade, perchè cioè nelle donne è maggiore la tendenza a ereditare un carattere sfavorevole che determina una down-regulation dell’espressione dei geni dei canali cardiaci del potassio. Ciò che si comprende, in base a questi dati, è che si verifica una meiosi direzionale (meiotic drive), cioè la trasmissione preferenziale e non casuale, dei cromosomi in eterozigosi che favorisce la trasmissione degli alleli mutanti alle figlie. Questo fenomeno si somma alla maggior penetranza delle mutazioni studiate che determina la predominanza di donne tra i soggetti colpiti. Questa segregazione distorta è probabilmente dovuta alla selezione positiva delle mutazioni, cioè alla selezione positiva di gameti o di embrioni che sopravvivono nonostante siano portatori di una malattia. Ci si domanda se la mutazione conferisca un vantaggio riproduttivo, associato all’alterazione del flusso del potassio, nelle varie fasi di maturazione dei gameti e dopo la fecondazione. Certo, un vantaggio che non tiene molto conto degli effetti negativi a carico del cuore in fasi molto più tardive della vita.
Simona Zazzetta
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Progenie sbilanciata
In linea teorica tali mutazioni, essendo legate a cromosomi non sessuali, cioè mutazioni autosomiche, dovrebbero presentare un’ereditarietà di tipo mendeliano che non prevede differenze tra generi. Essendo alleli dominanti (anche se in alcuni casi recessivi) è sufficiente che ce ne sia una copia perchè l’anomalia si manifesti. Ma la realtà dei fatti sembra diversa in quanto è stato più volte rilevato che nella popolazione di soggetti con questo disturbo le donne rappresentano la percentuale maggiore. E questo si fa fatica a spiegarlo con le leggi del buon Mendel, al punto che si è pensato che ci fosse un vizio di forma nelle procedure di accertamento o di reclutamento del campione. E’ anche vero che nelle donne l’intervallo QT è già per natura più lungo, quindi se l’unico criterio di diagnosi è la lunghezza dell’intervallo diventa più probabile che loro la ricevano. La spiegazione alternativa è che le due mutazioni abbiano una maggiore penetranza, cioè comportino una maggiore probabilità di sviluppare la malattia.
Un vantaggio evolutivo?
Il dubbio è stato chiarito, in favore dell’ultima ipotesi da uno studio su 484 nuclei familiari con la sindrome di tipo 1 e 269 con quella di tipo 2. Nella progenie di 1534 soggetti, della quale si disponeva di una mappa genica completa, la proporzione soggetti con la mutazione era effettivamente più alta di quanto ci si aspettasse in accordo con l’ereditarietà mendeliana. Il 57% era infatti portatore dell’allele mutato per la sindrome che era stato trasmesso più spesso alla progenie femminile (55%) rispetto a quella maschile (45%). Il che spiegherebbe l’eccesso di donne con la patologia cardiaca in una popolazione di malati. Ciò che invece non è chiaro è perchè ciò accade, perchè cioè nelle donne è maggiore la tendenza a ereditare un carattere sfavorevole che determina una down-regulation dell’espressione dei geni dei canali cardiaci del potassio. Ciò che si comprende, in base a questi dati, è che si verifica una meiosi direzionale (meiotic drive), cioè la trasmissione preferenziale e non casuale, dei cromosomi in eterozigosi che favorisce la trasmissione degli alleli mutanti alle figlie. Questo fenomeno si somma alla maggior penetranza delle mutazioni studiate che determina la predominanza di donne tra i soggetti colpiti. Questa segregazione distorta è probabilmente dovuta alla selezione positiva delle mutazioni, cioè alla selezione positiva di gameti o di embrioni che sopravvivono nonostante siano portatori di una malattia. Ci si domanda se la mutazione conferisca un vantaggio riproduttivo, associato all’alterazione del flusso del potassio, nelle varie fasi di maturazione dei gameti e dopo la fecondazione. Certo, un vantaggio che non tiene molto conto degli effetti negativi a carico del cuore in fasi molto più tardive della vita.
Simona Zazzetta
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