20 dicembre 2007
Aggiornamenti e focus
Eccesso di carne, eccesso di rischio
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L'associazione del consumo di carni rosse al tumore al seno e al tumore colorettale è stata più volte dimostrata, ma i rischi non si fermano a questi distretti e interessano anche altri siti e altre neoplasie meno prevalenti. O per lo meno sugli altri e su quelli rari c'è meno chiarezza e meno solidità nei dati epidemiologici disponibili. Gli studi e le revisioni di studi riguardano soprattutto gli Stati Uniti dove il consumo di carne, e carne rossa è particolarmente elevato, di certo superiore ai consumi tipici delle aree mediterranee, asiatiche o nord europee ma un occhio agli ultimi dati vale la pena darla in quanto si confermano le correlazioni positive, più o meno marcate, tra consumo e sviluppo di neoplasie, anche se in alcuni casi la tendenza si inverte.
I risultati più recenti sono stati elaborati su una coorte di uomini e donne, tra 50 e 71 anni in pensione, nell'ambito dell'indagine National Institutes of Health-AARP Diet and Health Study. In sostanza, mezzo milione di persone sono state intervistate con un questionario, che con 124 domande ha accertato e quantificato il consumo e la dimensione delle porzioni di carni rosse e derivati. La distinzione tra le due tipologie di alimenti prevedeva in un caso carne di manzo, di maiale o di agnello, nell'altro le carni lavorate o incluse in preparazioni: salsicce, pancetta, prosciutto, insaccati, carne pressata in scatola bianca o rossa, affetti misti, hot dog e hot dog a basso contenuto di grassi fatti con carne di pollo, ma anche in aggiunta a pizze, lasagne, sughi, chili e stufati. Durante i quasi sette anni di monitoraggio, ci sono state circa 53 mila diagnosi di tumore, quasi 37 mila tra gli uomini e circa 16 mila tra le donne, e, per ogni mille calorie, il consumo medio di carne o derivati era di 34,6 grammi. Già una prima associazione la si notava nella distinzione di genere: il consumo medio tra gli uomini era 38 grammi, più alto di quello delle donne, 29,5 grammi. A voler suddividere i consumi in quote, la più bassa per le carni rosse era di 9,8 g/1000kcal, la più alta era di 62,7 g/1000kcal; per le carni lavorate era 1,6 g/1000kcal e 22,6 g/1000kcal, rispettivamente.
Sovrapponendo i dati dei consumi a quelli delle diagnosi di tumore si confermava l'associazione positiva con aumento del rischio relativo in base alla quota di carni consumate. Rispetto al consumo minimo, il più alto era associato a un maggior rischio relativo di tumore esofageo (1,51), colorettale (1,24), epatico (1,61), polmonare (1,20). E anche eliminando il fumo come fattore di rischio l'associazione non si alterava e rimaneva comunque forte. Non è stata invece riscontrata la correlazione con tumori gastrici o della prostata, con leucemie linfomi o melanomi. La tendenza generale si confermava anche con i consumi di carne lavorata in vari modi, anche se con valori al limite della significatività. I consumi maggiori comportavano un rischio relativo maggiore, rispetto a quelli minimi: 1,20 per il tumore colorettale, 1,16 per il tumore polmonare e alla prostata, 1,30 per il mieloma. Un dato inatteso, invece, era l'associazione inversa con leucemia e melanoma: 0,70 e 0,88, rispettivamente, il rischio relativo per le due malattie.
Molecole dannose
Indipendentemente dal tipo di lavorazione o cottura, la carne rossa può essere connessa alla carcinogenesi attraverso vari meccanismi biologici. Per esempio è una fonte di grassi saturi e ferro, che sono stati associati in modo indipendente alla formazione di masse tumorali: i primi rappresentano un carico nel bilancio energetico e recentemente sono stati associati al tumore mammario; il ferro genera radicali liberi, produce uno stress ossidativo ed è stato associato a tumore epatico e colorettale. La carne è anche fonte di sostanze mutagene come i composti nitrosi (NOCs), idrocarburi policiclici aromatici (PAHs) e amine eterocicliche (HCAs). L'esposizione ai NOCs dipende dalla loro formazione endogena a sua volta direttamente correlata alla quantità di carne mangiata e alla quantità di nitriti presenti per conservarla e di ferro organico. Gli altri due gruppi di sostanze dipendono, invece, dalla cottura della carne: si formano quando viene portata a temperature elevate. Producono, con effetto dose-dipendente, una frammentazione del DNA e nei roditori hanno dimostrato di provocare tumore in diversi organi e tessuti con somiglianze forti con modelli umani.
Simona Zazzetta
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Domande per misurare
I risultati più recenti sono stati elaborati su una coorte di uomini e donne, tra 50 e 71 anni in pensione, nell'ambito dell'indagine National Institutes of Health-AARP Diet and Health Study. In sostanza, mezzo milione di persone sono state intervistate con un questionario, che con 124 domande ha accertato e quantificato il consumo e la dimensione delle porzioni di carni rosse e derivati. La distinzione tra le due tipologie di alimenti prevedeva in un caso carne di manzo, di maiale o di agnello, nell'altro le carni lavorate o incluse in preparazioni: salsicce, pancetta, prosciutto, insaccati, carne pressata in scatola bianca o rossa, affetti misti, hot dog e hot dog a basso contenuto di grassi fatti con carne di pollo, ma anche in aggiunta a pizze, lasagne, sughi, chili e stufati. Durante i quasi sette anni di monitoraggio, ci sono state circa 53 mila diagnosi di tumore, quasi 37 mila tra gli uomini e circa 16 mila tra le donne, e, per ogni mille calorie, il consumo medio di carne o derivati era di 34,6 grammi. Già una prima associazione la si notava nella distinzione di genere: il consumo medio tra gli uomini era 38 grammi, più alto di quello delle donne, 29,5 grammi. A voler suddividere i consumi in quote, la più bassa per le carni rosse era di 9,8 g/1000kcal, la più alta era di 62,7 g/1000kcal; per le carni lavorate era 1,6 g/1000kcal e 22,6 g/1000kcal, rispettivamente.
Più probabile ammalarsi
Sovrapponendo i dati dei consumi a quelli delle diagnosi di tumore si confermava l'associazione positiva con aumento del rischio relativo in base alla quota di carni consumate. Rispetto al consumo minimo, il più alto era associato a un maggior rischio relativo di tumore esofageo (1,51), colorettale (1,24), epatico (1,61), polmonare (1,20). E anche eliminando il fumo come fattore di rischio l'associazione non si alterava e rimaneva comunque forte. Non è stata invece riscontrata la correlazione con tumori gastrici o della prostata, con leucemie linfomi o melanomi. La tendenza generale si confermava anche con i consumi di carne lavorata in vari modi, anche se con valori al limite della significatività. I consumi maggiori comportavano un rischio relativo maggiore, rispetto a quelli minimi: 1,20 per il tumore colorettale, 1,16 per il tumore polmonare e alla prostata, 1,30 per il mieloma. Un dato inatteso, invece, era l'associazione inversa con leucemia e melanoma: 0,70 e 0,88, rispettivamente, il rischio relativo per le due malattie.
Molecole dannose
Indipendentemente dal tipo di lavorazione o cottura, la carne rossa può essere connessa alla carcinogenesi attraverso vari meccanismi biologici. Per esempio è una fonte di grassi saturi e ferro, che sono stati associati in modo indipendente alla formazione di masse tumorali: i primi rappresentano un carico nel bilancio energetico e recentemente sono stati associati al tumore mammario; il ferro genera radicali liberi, produce uno stress ossidativo ed è stato associato a tumore epatico e colorettale. La carne è anche fonte di sostanze mutagene come i composti nitrosi (NOCs), idrocarburi policiclici aromatici (PAHs) e amine eterocicliche (HCAs). L'esposizione ai NOCs dipende dalla loro formazione endogena a sua volta direttamente correlata alla quantità di carne mangiata e alla quantità di nitriti presenti per conservarla e di ferro organico. Gli altri due gruppi di sostanze dipendono, invece, dalla cottura della carne: si formano quando viene portata a temperature elevate. Producono, con effetto dose-dipendente, una frammentazione del DNA e nei roditori hanno dimostrato di provocare tumore in diversi organi e tessuti con somiglianze forti con modelli umani.
Simona Zazzetta
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