Grassi marini spazza-arterie

02 aprile 2004
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Grassi marini spazza-arterie



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Secondo le statistiche dell'ISTAT il pesce non è certo l'alimento più frequente sulle tavole italiane: in base alla spesa per famiglia, le risorse destinate alla carne sono quattro volte superiori. Oltretutto il consumo è notevolmente sbilanciato su base regionale: mentre nelle regioni meridionali e insulari arrivano ogni anno 11,4 chili di pesce a testa, in quelle settentrionali e centrali la razione cala a soli 5,4 chilogrammi.
E' un errore, perché sostituendo in tavola il pesce alla carne e ai derivati del latte non soltanto si riduce la quota di grassi saturi e colesterolo che viene introdotta, ma si può anche ridurre il livello ematico di colesterolo e trigliceridi, la forma in cui i grassi viaggiano nel sangue.

Sani come eschimesi


La carne del pesce è ricca di particolari acidi grassi polinsaturi che fanno parte della dell'acido alfa linolenico. I più importanti sono l'acido eicosapentaenoico o EPA e l'acido docosaesaenoico o DHA, noti anche come omega-3. Nella dieta normale queste sostanze sono piuttosto rare, in quanto nei grassi vegetali e animali gli acidi polinsaturi sono rappresentati in maggioranza dall'acido linoleico e da quello arachidonico.
Che cosa fanno in particolare gli omega-3? La loro presenza nella dieta, in poche parole, fa sì che si abbassi il livello ematico del colesterolo totale, ma in particolare delle lipoproteine a bassa densità (LDL) che sono quelle realmente pericolose per il sorgere dell'aterosclerosi e anche il livello dei trigliceridi, che se troppo elevato contribuisce alla genesi della malattia aterosclerotica.
Il ruolo del pesce è stato individuato grazie soprattutto a studi su popolazioni che hanno sempre riservato al pesce un posto d'onore. Per primi ci sono, ovviamente, gli eschimesi. Questa popolazione mangia ogni giorno 400 grammi di pesce e la mortalità per coronaropatie è bassissima. Questo ovviamente è un caso limite e un simile stile alimentare non è proponibile in paesi come l'Italia, tuttavia altri studi hanno dimostrato che quando in un paese c'è un alto consumo di prodotti ittici si abbassano le morti dovute agli accidenti coronarici. E' il caso del Giappone, dove il consumo di pesce è pari a 36 chilogrammi all'anno a testa, cioè quasi cinque volte superiore a quello italiano. Per inciso, in Giappone la minore mortalità per coronaropatia si registra nell'isola di Okinawa, dove il consumo di pesce è il doppio della media nazionale.
Alcuni studi hanno riportato che già con soli 20 grammi di pesce al giorno, la mortalità si riduceva del 50 per cento, indipendentemente da tutti gli altri fattori di rischio (età, pressione arteriosa, colesterolemia di partenza, abitudine al fumo). La deduzione dei ricercatori è stata che basta mangiare due piatti a base di pesce alla settimana per ottenere un drastica diminuzione dei rischi per il cuore.

C'è pesce e pesce


Sfortunatamente c'è un rovescio della medaglia: mentre nella scelta delle carni vanno privilegiate quelle magre, con il pesce è vero il contrario e i maggiori benefici si ottengono dai pesci grassi. Questi ultimi, però, non sono frequenti nel Mediterraneo: il cosiddetto pesce azzurro (sgombri, sardine...) è relativamente magro, quindi con meno Omega-3. D'altra parte il pesce grasso tipico dei mari del Nord è più frequentemente inquinato da mercurio. Quello del pesce, quindi è uno dei non molti casi in cui il supplemento (cioè le capsule di Omega-3) può essere un'alternativa. Anche se, associando il più magro pesce del Mediterraneo ad altri alimenti antiaterogeni, per esempio la soia, è ben possibile ottenere risultati analoghi.

Davide Minzoni



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