11 luglio 2003
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Timidi per poca serotonina? Pillola in arrivo
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Già da qualche tempo alcuni antidepressivi serotoninergici hanno ottenuto l'indicazione per la cosiddetta ansia sociale. Siccome in sostanza questo disturbo può essere descritto anche come una sorta di degenerazione della timidezza, ecco che all'epoca, soprattutto negli Stati Uniti, si parlò di pillola della disinvoltura e altri slogan più o meno fuorvianti
In ogni caso, è necessario prevenire i facili entusiasmi: si tratta di farmaci che il medico può prescrivere solo quando si tratta di una vera e propria patologia diagnosticata da un esperto in materia. Non è, quindi, un trattamento per gli episodi di timidezza del tutto fisiologici che possono cogliere chiunque in varie circostanze e momenti di vita.
A tale proposito, è necessario fare un po' di chiarezza sul significato di alcuni termini molto spesso usati e, forse, anche abusati.
Nelle situazioni sociali è possibile sperimentare un determinato grado di ansia che può differire in termini di intensità, di frequenza delle manifestazioni e del legame ad una situazione specifica o generalizzata. In base a tali parametri è possibile distinguere tra ansia "normale" e "patologica", anche se, a volte, i confini possono essere piuttosto sfumati.
Per semplificare si può schematizzare la distinzione in questo modo:
L'agitazione è una forma di ansia sociale limitata ad una situazione specifica, come prendere la parola in pubblico, sostenere una prova di esame, partecipare ad una gara sportiva. Essa genera una forma di disagio che, però, non intacca in modo sostanziale la qualità della vita. L'agitazione può anche provocare dei sintomi somatici, quali l'accelerazione del battito cardiaco. Si tratta di situazioni che, in linea di massima, ognuno di noi ha avuto modo di affrontare almeno una volta nella propria vita.
La timidezza è un tipo particolare di ansia sociale caratterizzato dalla tendenza a tenersi in disparte, a non prendere iniziative nell'ambito delle situazioni sociali, ad essere impacciati nelle relazioni, nonostante ci si senta animati dal desiderio di entrare in contatto con gli altri. La goffaggine esteriore ha alla base un disagio interiore, che, però, è caratterizzato da una capacità di adattamento superiore a quella riscontrata nella forme patologiche di ansia sociale.
Il comportamento della persona timida è caratterizzato dall'inibizione nelle situazioni sociali. In particolare, la timidezza si manifesta in occasione dei primi incontri con le persone e si attenua sensibilmente con il progredire della conoscenza delle stesse. Non è un caso che in famiglia, spesso, le persone timide non appaiano affatto tali. In genere, la timidezza viene scatenata dagli sconosciuti e dalle persone dell'altro sesso, oltre che dal parlare in pubblico, dal trovarsi all'interno di un gruppo numeroso o dall'avvertire un senso di inferiorità rispetto agli interlocutori.
Il disagio, tuttavia, rimane entro certi limiti, tali da consentire un discreto adattamento alla realtà.
Esistono anche manifestazioni fisiche e comportamentali tipiche delle persone timide: parlare e sorridere poco, guardare raramente negli occhi l'interlocutore, fare molte pause nel corso di una conversazione, usare poca mimica e gestualità nel corso delle conversazioni. La persona timida, inoltre, dimostra di essere consapevole del suo stato emotivo.
Il timido ha numerose qualità, come essere un buon osservatore, avere la capacità di ascoltare, essere discreto, desiderare di essere apprezzato, che lo rende benvoluto dalla maggior parte delle persone.
D'altro canto, la timidezza, in sé, pur non essendo una patologia, può essere avvertita come fonte di notevole disagio, anche perché può comportare delle complicazioni psicologiche quali l'abuso di alcool e la depressione. A causa della difficoltà iniziale di avviare delle relazioni sociali, inoltre, essa può portare alla solitudine.
La fobia sociale è una vera e propria malattia psicologica che comporta notevole sofferenza e disagio. La fobia è una paura intensa, irragionevole, incontrollabile che si manifesta in situazioni ben precise, che tendono ad essere evitate.
Il fobico teme una o più situazioni specifiche in cui sa di correre il rischio di essere esposto allo sguardo ed al giudizio altrui, alla possibilità di essere umiliato o messo in imbarazzo. Anche se le situazioni temute sono accuratamente evitate, l'eventuale contatto con esse provoca delle emozioni molto intense, anche dei veri e propri attacchi di panico. La attività di evitamento interferiscono in modo ingente con le attività quotidiane (lavorative, scolastiche, affettive, ecc.).
La fobia sociale, inoltre, può essere specifica, cioè riferita ad una singola situazione sociale ben precisa, oppure generalizzata alla maggior parte delle situazioni sociali.
Spesso i fobici appaiono freddi e distanti, oppure aggressivi o, addirittura violenti, per allontanare l'interlocutore e per non svelare la propria vulnerabilità.
La fobia sociale, spesso, è all'origine di altri disturbi psicologici quali l'ansia generalizzata, l'agorafobia, la depressione e l'alcolismo.
La personalità evitante è una forma di inibizione sociale caratterizzata da senso di inadeguatezza e ipersensibilità allo sguardo altrui.
Si manifesta in molteplici situazioni, che vengono sistematicamente evitate. Le personalità evitanti fanno di tutto per cercare di anticipare ed evitare le situazioni che sanno che li metteranno in imbarazzo: evitano il contatto con i colleghi di lavoro, perché temono di essere disapprovati, così come quelli affettivi, in quanto hanno paura di non piacere e di essere umiliati e ridicolizzati. Inoltre, temono il rifiuto sociale, si sentono privi di abilità sociali, non si dedicano a nuove attività per timore di sentirsi in imbarazzo, in caso di insuccesso.
La fobia sociale e la personalità evitante sono delle vere e proprie patologie, dei disturbi mentali, classificati nel DSM IV (lo strument6o usatoin psichiatria per classificare i diversi disturbi conosciuti) in relazione ai quali si può parlare di terapia psicologica o/ farmacologica.
Per concludere, da quanto espresso finora, si può affermare che, ad oggi, non esiste una pillola "miracolosa" in grado di trattare l'ansia sociale e, molto probabilmente, mai ci sarà.
Esistono dei principi attivi che possono costituire un valido approccio terapeutico, a patto che vengano somministrati sotto stretto controllo medico ed integrati in un approccio terapeutico che veda procedere di pari passo l'intervento farmacologico e quello psicoterapico. La medicina, infatti, non può e non deve essere considerata una via facile e veloce per la remissione dei sintomi, atta a celare la mancanza di motivazione profonda del paziente. La sua somministrazione deve essere valutata attentamente dal professionista che sarà in grado di indirizzare il paziente verso il tipo di trattamento ideale per il singolo individuo.
L'approccio cognitivo-comportamentale, che si propone di fare capire e cambiare i propri pensieri e comportamenti disfunzionali, si è rivelato molto utile per il trattamento dell'ansia sociale. In ogni caso, non si deve escludere del tutto l'approccio psicoanalitico nel caso di ansia sociale, perché, anche se i benefici si hanno in tempi maggiori rispetto a quello cognitivo-comportamentale, per alcuni pazienti rimane l'approccio più adatto. In tale senso, la scelta dell'approccio terapeutico dipende, in ultima analisi, non solo dallo specialista, che valuta i soggetti caso per caso, di cui rispetta l'individualità e l'unicità, ma anche dal paziente che, in questo senso, diventa parte attiva del processo terapeutico, fin dal suo esordio, a partire dalla scelta dell'orientamento che sente essergli maggiormente consono.
Anna Fata
In evidenza:
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
In ogni caso, è necessario prevenire i facili entusiasmi: si tratta di farmaci che il medico può prescrivere solo quando si tratta di una vera e propria patologia diagnosticata da un esperto in materia. Non è, quindi, un trattamento per gli episodi di timidezza del tutto fisiologici che possono cogliere chiunque in varie circostanze e momenti di vita.
Ansiosi? Timidi? Bisogna distinguere
A tale proposito, è necessario fare un po' di chiarezza sul significato di alcuni termini molto spesso usati e, forse, anche abusati.
Nelle situazioni sociali è possibile sperimentare un determinato grado di ansia che può differire in termini di intensità, di frequenza delle manifestazioni e del legame ad una situazione specifica o generalizzata. In base a tali parametri è possibile distinguere tra ansia "normale" e "patologica", anche se, a volte, i confini possono essere piuttosto sfumati.
Per semplificare si può schematizzare la distinzione in questo modo:
- Livello "normale" di ansia
- Livello patologico di ansia
- Ansia legata ad una situazione specifica
- Agitazione
- Fobia sociale
- Ansia legata a molte situazioni
- Timidezza
- Personalità evitante
L'agitazione è una forma di ansia sociale limitata ad una situazione specifica, come prendere la parola in pubblico, sostenere una prova di esame, partecipare ad una gara sportiva. Essa genera una forma di disagio che, però, non intacca in modo sostanziale la qualità della vita. L'agitazione può anche provocare dei sintomi somatici, quali l'accelerazione del battito cardiaco. Si tratta di situazioni che, in linea di massima, ognuno di noi ha avuto modo di affrontare almeno una volta nella propria vita.
La timidezza è un tipo particolare di ansia sociale caratterizzato dalla tendenza a tenersi in disparte, a non prendere iniziative nell'ambito delle situazioni sociali, ad essere impacciati nelle relazioni, nonostante ci si senta animati dal desiderio di entrare in contatto con gli altri. La goffaggine esteriore ha alla base un disagio interiore, che, però, è caratterizzato da una capacità di adattamento superiore a quella riscontrata nella forme patologiche di ansia sociale.
Il comportamento della persona timida è caratterizzato dall'inibizione nelle situazioni sociali. In particolare, la timidezza si manifesta in occasione dei primi incontri con le persone e si attenua sensibilmente con il progredire della conoscenza delle stesse. Non è un caso che in famiglia, spesso, le persone timide non appaiano affatto tali. In genere, la timidezza viene scatenata dagli sconosciuti e dalle persone dell'altro sesso, oltre che dal parlare in pubblico, dal trovarsi all'interno di un gruppo numeroso o dall'avvertire un senso di inferiorità rispetto agli interlocutori.
Il disagio, tuttavia, rimane entro certi limiti, tali da consentire un discreto adattamento alla realtà.
Esistono anche manifestazioni fisiche e comportamentali tipiche delle persone timide: parlare e sorridere poco, guardare raramente negli occhi l'interlocutore, fare molte pause nel corso di una conversazione, usare poca mimica e gestualità nel corso delle conversazioni. La persona timida, inoltre, dimostra di essere consapevole del suo stato emotivo.
Il timido ha numerose qualità, come essere un buon osservatore, avere la capacità di ascoltare, essere discreto, desiderare di essere apprezzato, che lo rende benvoluto dalla maggior parte delle persone.
D'altro canto, la timidezza, in sé, pur non essendo una patologia, può essere avvertita come fonte di notevole disagio, anche perché può comportare delle complicazioni psicologiche quali l'abuso di alcool e la depressione. A causa della difficoltà iniziale di avviare delle relazioni sociali, inoltre, essa può portare alla solitudine.
La fobia sociale, però, è un altro discorso
La fobia sociale è una vera e propria malattia psicologica che comporta notevole sofferenza e disagio. La fobia è una paura intensa, irragionevole, incontrollabile che si manifesta in situazioni ben precise, che tendono ad essere evitate.
Il fobico teme una o più situazioni specifiche in cui sa di correre il rischio di essere esposto allo sguardo ed al giudizio altrui, alla possibilità di essere umiliato o messo in imbarazzo. Anche se le situazioni temute sono accuratamente evitate, l'eventuale contatto con esse provoca delle emozioni molto intense, anche dei veri e propri attacchi di panico. La attività di evitamento interferiscono in modo ingente con le attività quotidiane (lavorative, scolastiche, affettive, ecc.).
La fobia sociale, inoltre, può essere specifica, cioè riferita ad una singola situazione sociale ben precisa, oppure generalizzata alla maggior parte delle situazioni sociali.
Spesso i fobici appaiono freddi e distanti, oppure aggressivi o, addirittura violenti, per allontanare l'interlocutore e per non svelare la propria vulnerabilità.
La fobia sociale, spesso, è all'origine di altri disturbi psicologici quali l'ansia generalizzata, l'agorafobia, la depressione e l'alcolismo.
La personalità evitante è una forma di inibizione sociale caratterizzata da senso di inadeguatezza e ipersensibilità allo sguardo altrui.
Si manifesta in molteplici situazioni, che vengono sistematicamente evitate. Le personalità evitanti fanno di tutto per cercare di anticipare ed evitare le situazioni che sanno che li metteranno in imbarazzo: evitano il contatto con i colleghi di lavoro, perché temono di essere disapprovati, così come quelli affettivi, in quanto hanno paura di non piacere e di essere umiliati e ridicolizzati. Inoltre, temono il rifiuto sociale, si sentono privi di abilità sociali, non si dedicano a nuove attività per timore di sentirsi in imbarazzo, in caso di insuccesso.
La fobia sociale e la personalità evitante sono delle vere e proprie patologie, dei disturbi mentali, classificati nel DSM IV (lo strument6o usatoin psichiatria per classificare i diversi disturbi conosciuti) in relazione ai quali si può parlare di terapia psicologica o/ farmacologica.
Per concludere, da quanto espresso finora, si può affermare che, ad oggi, non esiste una pillola "miracolosa" in grado di trattare l'ansia sociale e, molto probabilmente, mai ci sarà.
Esistono dei principi attivi che possono costituire un valido approccio terapeutico, a patto che vengano somministrati sotto stretto controllo medico ed integrati in un approccio terapeutico che veda procedere di pari passo l'intervento farmacologico e quello psicoterapico. La medicina, infatti, non può e non deve essere considerata una via facile e veloce per la remissione dei sintomi, atta a celare la mancanza di motivazione profonda del paziente. La sua somministrazione deve essere valutata attentamente dal professionista che sarà in grado di indirizzare il paziente verso il tipo di trattamento ideale per il singolo individuo.
L'approccio cognitivo-comportamentale, che si propone di fare capire e cambiare i propri pensieri e comportamenti disfunzionali, si è rivelato molto utile per il trattamento dell'ansia sociale. In ogni caso, non si deve escludere del tutto l'approccio psicoanalitico nel caso di ansia sociale, perché, anche se i benefici si hanno in tempi maggiori rispetto a quello cognitivo-comportamentale, per alcuni pazienti rimane l'approccio più adatto. In tale senso, la scelta dell'approccio terapeutico dipende, in ultima analisi, non solo dallo specialista, che valuta i soggetti caso per caso, di cui rispetta l'individualità e l'unicità, ma anche dal paziente che, in questo senso, diventa parte attiva del processo terapeutico, fin dal suo esordio, a partire dalla scelta dell'orientamento che sente essergli maggiormente consono.
Anna Fata
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