20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
Plastica sotto accusa
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Bisfenolo A, è questa la nuova parola che suscita preoccupazioni tra consumatori e genitori, da quando è salita alla ribalta come componente potenzialmente pericoloso di bottiglie di plastica e altri contenitori alimentari compresi i biberon. Sì, perché questa sostanza è utilizzata per il policarbonato e le resine epossidiche, ossia la plastica dura e trasparente delle bottiglie o i rivestimenti delle lattine, ma anche per molte altre applicazioni. Di recente è diventata d'attualità anche in Italia come possibile contaminante a rischio disfunzioni endocrine, rilasciato soprattutto per aumenti di temperatura, come nel caso di bottigliette o lattine lasciate al sole. Negli Stati Uniti in particolare, dove se ne produce e utilizza molto, è cresciuta la preoccupazione bisfenolo, per possibili conseguenze soprattutto sullo sviluppo e la sfera riproduttiva. Poche settimane fa l'FDA aveva diffuso una bozza di valutazione della sostanza per le applicazioni a contatto con il cibo: a seguire è uscito un rapporto del National Toxicology Program (NTP) che cerca di fare il punto sui suoi rischi reali o presunti, analizzando una serie di lavori di letteratura. Impresa difficile dato che, ammette il direttore NTP John Bucher, rimangono notevoli incertezze sulla possibilità di trasferire i risultati degli studi sull'animale all'uomo, e i dati relativi all'uomo sono scarsi. Intanto uno studio sul tessuto adiposo umano appena pubblicato indica il bisfenolo come possibile fattore di rischio per la sindrome metabolica, condizione legata a coronaropatie, ictus e diabete.
Le ricerche di laboratorio sul bisfenolo A ne hanno descritto un effetto "debolmente" estrogenico, e dati emergenti suggeriscono altre possibili attività su recettori cellulari o sistemi coinvolti nello sviluppo. La fonte primaria dell'esposizione umana risultano cibi e bevande (possibili anche aria, polvere, acqua per contatto), nei quali può migrare dai contenitori; la quantità che passa nei liquidi sarebbe appunto maggiore con il crescere della temperatura. A parte i lavoratori esposti professionalmente per inalazione o contatto (c'è bisfenolo anche in plastiche poliviniliche, carta termica, vernici epossidiche, parti di cellulari e automobili, materiali odontoiatrici, confezioni di alimenti), teoricamente chiunque può quindi assumere bisfenolo, in particolare lattanti e bambini (può esserci anche nel latte materno). Secondo l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), riferisce comunque l'Istituto superiore di sanità, l'esposizione per via alimentare degli europei al bisfenolo anche per i neonati allattati con biberon in plastica resta notevolmente al di sotto della dose giornaliera tollerabile, stabilita a 0,05 mg/kg di peso corporeo. Tornando al rapporto dell'NTP, si classificano cinque livelli di tossicità e relativa preoccupazione, calcolati in base agli effetti sull'animale a dosi simili a quelle a cui sono soggette le persone. Si va cioè da chiara evidenza di nessun effetto avverso e quindi preoccupazione trascurabile, fino a chiara evidenza di effetti avversi e quindi seria preoccupazione; in mezzo il livello di qualche preoccupazione. In tal modo risultano di preoccupazione trascurabile il rischio di mortalità fetale o basso peso alla nascita o scarsa crescita neonatale, così come di effetti sulle capacità riproduttive di adulti non professionalmente esposti; inoltre di preoccupazione minima sono gli effetti sullo sviluppo mammario o l'accelerazione della pubertà, così come le conseguenze per lavoratori esposti. Di qualche preoccupazione invece gli effetti sullo sviluppo della prostata e del cervello e quelli comportamentali, rispetto a feti e bambini.
La conclusione dell'NTP è che l'eventualità d'interferenze sullo sviluppo da parte del bisfenolo A non possa essere archiviata, e che occorrono ulteriori studi sull'impatto sulla salute umana. Una scelta individuale per essere ancora più rassicurati, specie per i genitori, resta quella di ridurre l'esposizione dei piccoli; il Canada aveva addirittura annunciato la messa al bando prudenziale della sostanza dai biberon. I dati da studi sull'uomo sono ancora limitati, si diceva. E proprio un recentissimo studio su tessuti umani, pubblicato su Environmental Health Perspectives, sembra aggiungere nuovi timori. Ricercatori dell'Università di Cincinnati hanno raccolto campioni di grasso viscerale, sottocutaneo e della mammella e li hanno messi in coltura per qualche ora con bisfenolo A a dosi che mimano un intervallo di esposizione umana "media", e non elevata come in gran parte degli studi sull'animale. Hanno così osservato che a questi livelli di tipo realistico il bisfenolo sopprime l'adiponectina, ormone che regola la sensibilità dell'organismo all'insulina, proteggendo in tal modo dalla sindrome metabolica. La sostanza potrebbe cioè aggiungersi all'elenco dei fattori di rischio per questa condizione, che solo negli Stati Uniti riguarderebbe un quarto degli abitanti. Un'imputazione non da poco. Urgono ulteriori ricerche.
Elettra Vecchia
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Contaminazione primaria dal cibo
Le ricerche di laboratorio sul bisfenolo A ne hanno descritto un effetto "debolmente" estrogenico, e dati emergenti suggeriscono altre possibili attività su recettori cellulari o sistemi coinvolti nello sviluppo. La fonte primaria dell'esposizione umana risultano cibi e bevande (possibili anche aria, polvere, acqua per contatto), nei quali può migrare dai contenitori; la quantità che passa nei liquidi sarebbe appunto maggiore con il crescere della temperatura. A parte i lavoratori esposti professionalmente per inalazione o contatto (c'è bisfenolo anche in plastiche poliviniliche, carta termica, vernici epossidiche, parti di cellulari e automobili, materiali odontoiatrici, confezioni di alimenti), teoricamente chiunque può quindi assumere bisfenolo, in particolare lattanti e bambini (può esserci anche nel latte materno). Secondo l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), riferisce comunque l'Istituto superiore di sanità, l'esposizione per via alimentare degli europei al bisfenolo anche per i neonati allattati con biberon in plastica resta notevolmente al di sotto della dose giornaliera tollerabile, stabilita a 0,05 mg/kg di peso corporeo. Tornando al rapporto dell'NTP, si classificano cinque livelli di tossicità e relativa preoccupazione, calcolati in base agli effetti sull'animale a dosi simili a quelle a cui sono soggette le persone. Si va cioè da chiara evidenza di nessun effetto avverso e quindi preoccupazione trascurabile, fino a chiara evidenza di effetti avversi e quindi seria preoccupazione; in mezzo il livello di qualche preoccupazione. In tal modo risultano di preoccupazione trascurabile il rischio di mortalità fetale o basso peso alla nascita o scarsa crescita neonatale, così come di effetti sulle capacità riproduttive di adulti non professionalmente esposti; inoltre di preoccupazione minima sono gli effetti sullo sviluppo mammario o l'accelerazione della pubertà, così come le conseguenze per lavoratori esposti. Di qualche preoccupazione invece gli effetti sullo sviluppo della prostata e del cervello e quelli comportamentali, rispetto a feti e bambini.
Sospetti per la sindrome metabolica
La conclusione dell'NTP è che l'eventualità d'interferenze sullo sviluppo da parte del bisfenolo A non possa essere archiviata, e che occorrono ulteriori studi sull'impatto sulla salute umana. Una scelta individuale per essere ancora più rassicurati, specie per i genitori, resta quella di ridurre l'esposizione dei piccoli; il Canada aveva addirittura annunciato la messa al bando prudenziale della sostanza dai biberon. I dati da studi sull'uomo sono ancora limitati, si diceva. E proprio un recentissimo studio su tessuti umani, pubblicato su Environmental Health Perspectives, sembra aggiungere nuovi timori. Ricercatori dell'Università di Cincinnati hanno raccolto campioni di grasso viscerale, sottocutaneo e della mammella e li hanno messi in coltura per qualche ora con bisfenolo A a dosi che mimano un intervallo di esposizione umana "media", e non elevata come in gran parte degli studi sull'animale. Hanno così osservato che a questi livelli di tipo realistico il bisfenolo sopprime l'adiponectina, ormone che regola la sensibilità dell'organismo all'insulina, proteggendo in tal modo dalla sindrome metabolica. La sostanza potrebbe cioè aggiungersi all'elenco dei fattori di rischio per questa condizione, che solo negli Stati Uniti riguarderebbe un quarto degli abitanti. Un'imputazione non da poco. Urgono ulteriori ricerche.
Elettra Vecchia
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