02 dicembre 2011
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Elettrosmog: cambiano i limiti. Allarme dagli esperti
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Elettrodomestici in casa, monitor dei computer, telefoni cellulari, cavi elettrici, tutti ormai, chi più chi meno, siamo esposti a campi elettromagnetici ma secondo molti esperti l'esposizione continuata potrebbe provocare gravi danni alla salute. In più recenti provvedimenti legislativi contenuti nel Decreto Sviluppo modificano i valori massimi di esposizione al cosiddetto elettrosmog. «Non sono tanto i limiti a essere cambiati» spiega Maria Grazia Petronio, vicepresidente Isde Italia (Associazione medici per l'ambiente) «quanto la modalità per rilevarli. Se prima, infatti, i limiti venivano calcolati nei minuti di picco, ora si calcolano le medie registrate nel corso delle 24 ore. Ma poiché di notte la potenza è notevolmente ridotta non si tratta di una stima affidabile». Il risultato è che i gestori delle compagnie telefoniche potranno aumentare le potenze dei loro impianti, offrendo agli utenti una maggiore qualità dei propri servizi ma, almeno stando alla denuncia di alcune associazioni, tra cui l'Isde, con più rischi per la salute in particolare di ammalarsi di cancro. Ma quali sono le fonti di elettrosmog?
«Si distinguono due tipologie di fonte» risponde la Vicepresidente Isde «quelle a bassa frequenza, sotto i 50 Hertz, che sono elettrodotti (ossia infrastrutture destinate alla trasmissione di energia elettrica) o apparecchiature collegate alla corrente. Si tratta di modalità di trasmissione in studio da diversi anni e classificate dallo Iarc (Agenzia della ricerca sul cancro dell'Oms), come possibili cancerogeni per l'uomo, in particolare per le leucemie infantili». Uno studio effettuato dall'Iss a Longarina, le cui abitazioni distano meno di cento metri da una linea ad alta tensione, ha individuato un incremento dei casi di tumore anche negli adulti (leucemia ed altri tipi di cancro, in particolare al pancreas). L'aumento è stato osservato soprattutto in chi vive più vicino alla linea da più tempo. «La seconda tipologia di fonte» riprende Petronio «è data dalle emissioni elettromagnetiche ad alta frequenza (radiofrequenze e microonde), come quelle delle antenne di telefonia mobile, dei cellulari e delle reti wireless ma anche di radio e tv». Gli studi a disposizione in questo caso sono pochissimi e spesso discordanti. «Possiamo distinguere tre tipologie di studio» riprende l'esperta «quelli condotti sui lavoratori hanno evidenziato un eccesso di rischio considerevole. Poi ci sono gli studi in ambito residenziale ma sono pochi perché è un'esposizione molto recente. Infine il filone più eclatante è quello sull'uso dei telefoni cellulari. Il periodo di verifica è sempre piuttosto breve, ma si tratta di un uso talmente smodato da essere facilmente rilevabile». Le ricerche più significative in questo ambito sono quelle dello svedese Lennart Hardell (Università di Orebro) che dimostrano un significativo aumento del rischio di tumori della stessa parte della testa in cui si usa il telefono, in chi ha utilizzato in modo intenso il cellulare o il cordless per almeno dieci anni. «Anche in questo caso la Iarc ha classificato i campi elettromagnetici come potenzialmente cancerogeni, in particolare per il rischio di glioma (un particolare tumore cerebrale)» puntualizza la vicepresidente Isde. «Una precauzione sarebbe, perciò d'obbligo. Invece...».
La normativa in vigore sulla protezione dall'esposizione a campi elettromagnetici, che recepisce le indicazioni europee, dice che le radiazioni non ionizzanti a cui ci esponiamo non devono superare i 10 microtesla per le abitazioni già situate in prossimità di linee elettriche e un obiettivo di qualità di 3 microtesla per le nuove opere. Ma secondo molti esperti, con l'Isde in prima fila, non può bastare. E i rischi non sono solo quelli di tumori e leucemie. Esistono, per esempio, studi condotti anche in ambito occupazionale, che hanno suggerito che i campi a bassa frequenza favoriscano lo sviluppo di malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer e la sclerosi laterale amiotrofica. «Alcuni studi hanno identificato anche una ipersensibilità ai campi elettromagnetici. Una condizione caratterizzata da sintomi aspecifici, che la stessa Organizzazione mondiale della sanità invita a non sottovalutare» aggiunge Petronio. Ma che cosa può fare il normale cittadino per cercare di ridurre i rischi? «Innanzitutto» risponde l'esperta «distanziarsi il più possibile dagli emettitori e non stare troppo vicino a elettrodomestici in funzione, poi utilizzare meno i telefoni cellulari, che dovrebbero essere considerati apparecchi di emergenza, e, comunque usare gli auricolari. Poi non tenere mai il telefono cellulare nella tasca dei pantaloni, in particolare per i soggetti di sesso maschile. Studi recenti» spiega Petronio «hanno evidenziato effetti sugli spermatozoi. Ma persino il Wifi, nonostante emissioni molto basse, può rappresentare un rischio con un'esposizione prolungata, che si va ad aggiungere alle altre fonti di elettrosmog».
Marco Malagutti
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