13 aprile 2012
Interviste
Ludopatia, quando giocare d’azzardo diventa malattia
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Quando il gioco d'azzardo, dal superenalotto al videopoker, da semplice divertimento occasionale diventa un'abitudine e poi una dipendenza, con conseguenze negative sulla salute e sull'economia personale e familiare si entra in un ambito patologico di pertinenza della medicina psichiatrica. Le stesse istituzioni sanitarie, preoccupate di un fenomeno in aumento, hanno espresso l'intenzione di prendere provvedimenti con un disegno di legge che, oltre a inserire le terapie per curare queste persone nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), regolamenti gli spot pubblicitari e la collocazione dei punti in cui si può accedere ai giochi. Dica33 ne parla con Ferdinando Pellegrino, psichiatra e dirigente medico presso il Dipartimento di salute mentale dell''Asl Salerno.
Come viene inquadrata la malattia del gioco, o ludopatia?
Il gioco d'azzardo patologico o gambling, è un disturbo mentale incluso nel manuale diagnostico e statistico di disturbi mentali, il Dsm-IV, nell'ambito del capitolo dei Disturbi del controllo degli impulsi in cui sono inseriti i quadri clinici caratterizzati dalla incapacità a resistere a un impulso, a un desiderio impellente o alla tentazione di compiere un'azione pericolosa per sé e per gli altri. Tra questi anche la piromania e la cleptomania. Il quadro clinico tipico è caratterizzato dall'irresistibile impulso a giocare, senza alcun controllo. Spesso coesistono altri sintomi come iperalimentazione, depressione, abuso di alcolici, irritabilità, difficoltà alla concentrazione. Il comportamento del gioco per essere patologico deve essere persistente, ricorrente e maladattivo, nel senso che arriva a compromettere le attività personali, familiari e lavorative. Tuttavia il soggetto tende a nascondere tali sintomi, sperando di essere in grado di poter risolvere tutto da solo.
Ma che cosa accade in queste persone?
Dal punto di vista psicologico il soggetto prova una sensazione crescente di tensione, di eccitazione prima di compiere l'azione del giocare e dopo aver compiuto l'azione prova piacere, gratificazione. E nonostante in molti soggetti subentri il rimorso o il senso di colpa, ciò non appare sufficiente a far cambiare comportamento. In altri termine sembrerebbe che il soggetto sia incapace di avere il controllo della situazione, può arrivare a chiedere prestiti, a rubare, a commettere frodi pur di arrivare al livello di eccitazione desiderato. Sul piano personale le conseguenze possono essere fisiche legate allo stress, come ipertensione e ulcera, o psichiche, con irritabilità in famiglia e bassa performance lavorativa, fino ad arrivare al tentato suicidio. In molti casi vi sono associate altre patologie, per esempio, depressione, attacchi di panico, e in ogni caso i soggetti possono avere la tendenza a sviluppare altre dipendenze da alcol, da droghe o da farmaci.
Quali sono i segnali e i comportamenti che devono sollevare il sospetto da parte dei familiari o amici?
ntanto, se c'è un'attenta gestione dell'economia familiare, da parte del coniuge o dei genitori, è più facile accorgersi che c'è qualcosa che non va e che i conti non tornano. La sensibilità dei familiari e un'osservazione dei comportamenti del soggetto può cogliere alcuni segnali. In genere una famiglia attenta si accorge subito del problema. Naturalmente la storia del soggetto è importante; alcuni parametri (pregresso abuso di alcol, uso di droghe), fanno sì che il soggetto sia a rischio. Ma anche una depressione non trattata, una difficoltà non superata, un'ansia non ben gestita, possono indurre il soggetto ad avere uno stile di vita disfunzionale e quindi un comportamento a rischio.
Ci sono soggetti più esposti a questo rischio?
I minori sono più a rischio perché più predisposti ad assumere comportamenti disfunzionali. Naturalmente non è una predisposizione specifica per il gioco d'azzardo ma, una predisposizione generica ad assumere stili di vita-comportamenti non funzionali, come l'uso di droghe, per esempio. Laddove la famiglia non è attenta, la scuola non è presente, i ragazzi sono abbandonati a se stessi e sono presenti punti di vendita o di gioco capillari, è più facile che il ragazzo possa arrivare a giocare molto, come hanno dimostrato alcuni studi condotti in Italia. A Roma, per esempio, uno studio su 300 ragazzi ha evidenziato che il 32% degli intervistati spende 25-30 euro a settimana per il gioco.
Esiste già un trattamento per queste persone?
Essendo un disturbo multifattoriale il trattamento può e deve essere operato su più fronti, dalla terapia psicologica individuale, a quella di coppia, a gruppi di mutuo auto-aiuto. Se necessario si interviene anche farmacologicamente. Dal punto di vista clinico occorre, innanzitutto formulare una diagnosi corretta, valutare la presenza di altre patologie, come la depressione, che vanno trattate, studiare la personalità del soggetto e mirare a sviluppare un programma individuale di intervento, centrato sul soggetto. Ciò può essere fatto solo in ambito specialistico. Il gioco d'azzardo è un disturbo mentale, per cui rientra nell'ambito delle prestazioni già previste dal Servizio sanitario nazionale, e i pazienti vengono presi in carico presso servizi di salute mentale operanti in Italia o a specifici centri organizzati in diverse aziende ospedaliere. Il disegno di legge proposto dal ministero della salute sarà una norma che darà un'attenzione specifica a questi pazienti, destinando fondi dedicati alla terapia e alla prevenzione.
Qual è il modo migliore per fare prevenzione?
Servono politiche adeguate che diano messaggi chiari e coerenti. Se il gioco d'azzardo è un pericolo si può dire "gioca poco". I messaggi dissocianti influiscono notevolmente sulle persone più fragili, come i più giovani. Una buona prevenzione è quella che aiuta i ragazzi ad avere una maggiore autostima, a essere più autoefficaci e a sviluppare un personalità più matura. Credo che questa sia la grossa sfida, perché resistere a un barattolo di nutella, a un gratta e vinci, o a un bicchiere di vino è possibile solo se si ha una personalità forte e capace di essere coerente. In altri casi vince l'incoerenza sincronica, cioè non resistere all'impulso nel momento in cui occorrerebbe resistere, che annulla la prospettiva del futuro in favore della soddisfazione del momento.
Simona Zazzetta
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