#coronavirus: vaccino e terapia - Il commento del prof. Giuseppe Ippolito
Mentre la curva del contagio sta scendendo ed è iniziata la Fase 2, gli scienziati e i centri di ricerca stanno lavorando su due fronti: da una parte si cerca un vaccino, che possa essere utilizzato su larga scala per prevenire ulteriore diffusione dell'infezione, dall'altra si cercano terapie efficaci contro il Covid-19. Hanno fatto il punto su questo argomento gli esperti in occasione del webinar dal titolo "Pandemia Covid-19: la strada per una cura. L'impatto scientifico, sociale ed economico dei vaccini e delle terapie, oggi e domani" promosso da Edra e moderato dall'Onorevole Beatrice Lorenzin, già ministro della Salute.
Covid-19, manca una cura ma sono tante le sperimentazioni
In questa occasione è emerso che non ci sono ancora cure, ma la ricerca è molto attiva sia per lo sviluppo di vaccini, sia per la ricerca di terapie specifiche contro l'infezione virale.
«Manca un modello unitario nella gestione delle terapie. Non abbiamo nessun farmaco contro Covid-19 e molte terapie sono state troppo medializzate» ha spiegato Giuseppe Ippolito, direttore scientifico Inmi Spallanzani di Roma ospite dell'evento online "Pandemia Covid-19 la strada per una cura". «L'esperienza della disponibilità di farmaci è stata simile a quella dei primi anni dell'Hiv, non abbiamo ancora farmaci e stiamo ripercorrendo l'esplorazione fatta 35 anni fa con l'Aids e rifatto con Ebola. Spesso non avendo imparato molto delle situazioni» ed ha aggiunto «La prima cosa è che l'uso di alcuni farmaci è stato guidato da esperienze limitate, portate avanti da singoli anche con la buona volontà e nel tentativo di recuperare quello fatto con la Sars e la Mers. Ma le persone hanno poi avuto bisogno delle rianimazioni, queste sono state lo strumento più importante per gestire l'epidemia».
Covid-19, per il vaccino si devono seguire i tempi della sperimentazione
Della sperimentazione vaccinale, Giuseppe Ippolito ha spiegato che «ci sono varie fasi di sperimentazione da rispettare, per questo i tempi non saranno così brevi». E ha inoltre ricordato che «La scienza si fa con gli Open Data. E soprattutto durante una pandemia i dati devono essere pubblici, così tutti i centri di ricerca possono utilizzarli per sconfiggere il virus». Pensiero condiviso anche Stefano Bertuzzi, CEO dell'American Society of Microbiology che ha portato l'esperienza USA sottolineando che le fasi della sperimentazione «Non ci possono essere scorciatoie nella sperimentazione. Le fasi I, II, III sono state messe a punto per testare sicurezza ed efficacia e vanno rispettate, senza forzare i tempi».
Mentre Pier Paolo Pandolfi della Harvard Medical School di Boston ha spiegato che «gli Stati Uniti hanno dato 450 mln di dollari all'azienda biotecnologica Moderna per sviluppare il vaccino contro Covid-19». Attualmente è in fase II di sviluppo, «questo vuol dire che le prime dosi ovviamente andranno agli americani e forse in Italia arriveranno tre anni dopo».
Il vaccino sperimentale oggetto del finanziamento è un vaccino a base di Rna messaggero diretto contro la SARS-CoV-2 ed è stato selezionato da Moderna, azienda biotech con sede a Cambridge nel Massachusetts, in collaborazione con i ricercatori del Vaccine Research Center (VRC) presso il National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID).
Il vaccino è stato progettato per codificare una forma stabilizzata della proteina spike del coronavirus. Questa proteina, una volta espressa sulla superficie della cellula, viene riconosciuta dal sistema immunitario che la terrà così in memoria in caso di infezione per innescare una risposta immunitaria. Si tratta di un metodo alternativo rispetto a quello più tradizionale che consiste nell'inserire all'interno di una cellula un virus innocuo capace però di produrre alcune proteine virali tipiche del virus che causa la malattia. Uno dei principali vantaggi dei vaccini a base di Rna è che possono essere prodotti in modo molto più veloce.
Covid-19 e anticorpi monoclonali
«Non ci sarà un vaccino a breve, ma vogliamo portare in Italia la sperimentazione clinica e la produzione degli anticorpi monoclonali contro Covid-19» spiegato Giuseppe Novelli ha genetista dell'Università di Roma Tor Vergata, «Se tutto andrà bene speriamo a breve di realizzare allo Spallanzani studi in vitro e poi la sperimentazione in 2-3 centri clinici su un gruppo di pazienti. L'Italia ha tutte le carte in regola per ospitare la sperimentazione e la produzione». Gli anticorpi monoclonali sono stati identificati dal gruppo di Pier Paolo Pandolfi dell'Harvard Medical School di Boston, mentre Novelli dall'Italia sta collaborando allo studio.
Gli anticorpi monoclonali
Per capire cosa sono gli anticorpi monoclonali, si deve partire, dagli anticorpi. Gli anticorpi sono molecole complesse prodotte dai linfociti B, cellule che fanno parte del sistema di difesa del corpo umano (sistema immunitario), in risposta alla presenza di un'altra molecola estranea all'organismo, detta antigene, come ad esempio batteri o virus. Gli anticorpi riconoscono in modo specifico l'antigene, grazie alla sua conformazione e hanno il compito di neutralizzarne l'effetto. Gli anticorpi monoclonali (MAB) sono molecole prodotte in laboratorio, a partire dai linfociti B estratti dalla milza del topo, e fuse con cellule tumorali del sangue (cellule di mieloma) che hanno la caratteristica di essere immortali. Queste cellule fuse, chiamate ibridoma, sono coltivate singolarmente; la singola cellula divenuta immortale successivamente si divide formando un clone di cellule identiche capaci di produrre quantità illimitate dello stesso anticorpo chiamato, appunto, monoclonale che può essere purificato. Gli anticorpi monoclonali sono progettati per riconoscere specificamente un unico, determinato antigene e si legano ad esso neutralizzandolo.
Gli anticorpi monoclinali possono essere prodotti in grandi quantità contro gli antigeni derivanti da una serie di malattie infiammatorie, di infezioni ed anche di tumore. Gli anticorpi monoclonali sono utilizzati: per scopi diagnostici, per scopi terapeutici. Infatti, possono essere legati (coniugati) a farmaci o a molecole radioattive (radioimmunoterapia) per veicolare e indirizzare con estrema precisione il principio attivo verso il suo bersaglio. Inoltre, sono impiegati anche per potenziare le difese naturali del corpo.
Chiara Romeo
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