Scuola, a settembre regole chiare su certificati di malattia
La Federazione Italiana Medici Pediatri, sindacato maggioritario dei pediatri di famiglia, ha presentato ai Ministri di Istruzione e Salute un documento in otto punti per la ripresa delle lezioni scolastiche a settembre. E ha posto un problema preciso: intercettare i bambini con coronavirus per impedire un boom di contagi e un nuovo lockdown non è semplice se non dà al pediatra del territorio un ruolo nel prescrivere tamponi e nell'ottenere gli esiti in tempi rapidi. Nelle classi che tornano a ripopolarsi, studenti asintomatici o quasi potrebbero essere in realtà vettori di coronavirus, esiziale per docenti, personale ATA, altri genitori. Sul certificato medico per la riammissione a scuola dopo assenze per malattia dell'alunno di oltre 5 giorni esiste un problema.
Il Covid-19 ha impattato su un panorama in cui avevano abolito l'incombenza sette regioni e due province autonome e altre 12 regioni lo avevano tenuto; il 1° marzo un decreto legge ha imposto il certificato a tutte le regioni per le sole assenze dovute a malattia infettiva soggetta a notifica obbligatoria: morbillo, pertosse, rosolia, orecchioni ma anche Covid. Questo per tutta la durata dell'emergenza, fino al 31 luglio. E dopo? «Dopo, bisognerà avere le idee chiare se mantenere l'obbligo o no, e legiferare a livello nazionale perché la malattia non ha frontiere e colpisce tutti allo stesso modo», spiega Paolo Biasci, Presidente Fimp. «Innanzi tutto va fatta assoluta chiarezza sulla necessità del certificato».
L'obbligo di certificare la malattia era stato imposto nel 1967 dal decreto del presidente della Repubblica numero 1518. Nel 1994 il Testo Unico della Pubblica Istruzione n.297 lo tolse: stare a casa un giorno in più non sempre contribuisce a far tornare il bambino a scuola meno contagioso. «Di fatto può accadere che pur di evitare il viaggio dal pediatra la famiglia faccia tornare il minore a scuola un giorno prima, dopo 4 di assenza, ancora non guarito», avverte Biasci. «C'è però da tener presente che in caso di Covid anche da guariti per giorni si resta potenzialmente contagiosi. Allora è il governo che deve fare una riflessione: il certificato di riammissione è necessario o no? Se è necessario, anche solo per il coronavirus, si deve imporre a livello nazionale, non è ammissibile che in una regione si chieda e in un'altra no». Ma la questione non si chiude con il confronto stato-regioni. «Una volta si decidesse che il certificato serve - sottolinea Biasci - il pediatra di libera scelta deve avere la diagnosi. In particolare, fermo restando che tutte le infreddature andrebbero trattate come sospetti Covid, perché la malattia nel bambino può manifestarsi con lievi sintomi di raffreddore, per fare la certificazione servono sia la constatata guarigione clinica, sia l'accertamento di non contagiosità attraverso tampone con esito negativo. Non solo noi pediatri di libera scelta dobbiamo poter prescrivere i tamponi, e al momento non possiamo, ma dobbiamo avere l'esito in tempi utili, 24-48 ore. Oggi si attende sul territorio in media una settimana, molto minore è l'attesa in ambiente ospedaliero. Questi tempi devono diminuire».
Biasci sottolinea come le politiche del territorio più recenti non siano andate in direzione del potenziamento. «Fimp non è stata invitata all'Osservatorio sulla scuola, un tavolo dove dovrebbe esserci: tutta la patologia da Covid-19 nei minori è stata gestita sul territorio con ottimi esiti, e rappresentiamo oltre il 50% dei pediatri italiani. Ciò detto, abbiamo visto in questi mesi come, per evitare i contagi, le Asl abbiano chiuso i servizi vaccinali e nessuno ci abbia ascoltati quando ci siamo fatti avanti noi per sostituirle, vaccinando i bambini nei nostri studi. Le famiglie ci chiedono perché le vaccinazioni sono rinviate, perché l'immunizzazione non si può fare da noi e da nessun'altra parte, perché bisogna aspettare».
Nella proposta di strategie assistenziali ed organizzative per l'anno scolastico 2020-21 consegnata al governo, Fimp prevede altre sette misure per ridurre il rischio contagi: orari scaglionati di ingresso ed uscita, misurazione della temperatura con termo-scanner, attenzione all'igiene delle mani, no a giochi da casa o scambio di materiali tra alunni, buona aerazione degli ambienti, mascherina solo se non è possibile rispettare la distanza di almeno un metro. Inoltre, «tutti gli alunni devono essere in regola con il calendario vaccinale ed è raccomandato che, dai 6 mesi di vita, siano sottoposti a vaccinazione contro l'influenza stagionale. Opportuni anche requisiti strutturali: ampiezza dei locali rispetto al numero di bambini e adeguata aerazione, arredi e giochi idonei dal punto di vista igienico, sanificazione con procedure codificate e verificate con regolarità. Prima di inizio anno ogni scuola dovrebbe disporre momenti formativi per il personale».
Fonte: Doctor33
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