05 gennaio 2017
Aggiornamenti e focus
Pochi passi per essere più in forma anche in dialisi
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Venti minuti di esercizio di intensità leggera-moderata a giorni alterni sono sufficienti per migliorare la forma fisica e mentale di chi è sottoposto a dialisi. Sono questi in sintesi i risultati di uno studio italiano da poco pubblicato sulla rivista Journal of the american society of nephrology nel quale sono state coinvolte poco meno di 300 persone dializzate.
«Studi precedenti hanno messo in luce i benefici dell'esercizio fisico nei pazienti in dialisi» afferma Carmine Zoccali, del Cnr di Reggio Calabria e coordinatore della ricerca, che con i colleghi ha cercato di capire se ciò fosse vero anche per livelli di attività piuttosto bassi e praticabili dalla maggior parte dei pazienti nonostante la dialisi. E a conti fatti i dati ottenuti dimostrano che 20 minuti di camminata leggera-moderata a giorni alterni possono fare la differenza.
«Abbiamo suddiviso i partecipanti allo studio in due gruppi: in uno veniva seguito il programma di esercizio lieve-moderato, mentre nell'altro le persone non avevano ricevuto alcuna indicazione in merito all'attività fisica» spiegano gli autori che hanno misurato alcuni parametri indicativi all'inizio dello studio e dopo 6 mesi. «In particolare, ci siamo concentrati sulla distanza percorsa in 6 minuti di cammino, aumentata in modo significativo dopo 6 mesi di esercizi, ma rimasta immutata nel gruppo controllo» precisa Zoccaliche poi aggiunge: «Nel gruppo che ha seguito il programma di attività fisica abbiamo inoltre osservato miglioramenti significativi in un altro test che misura la forza negli arti inferiori e in test sulle capacità cognitive».
Anche in questi casi nessun miglioramento è emerso dalla valutazione del gruppo controllo. «È molto interessante vedere come il nostro organismo sia in grado di rispondere in modo positivo all'esercizio, anche quando serve la dialisi» commenta Maria DeVita, nefrologa al Lenox Hill Hospital di New York City che poi conclude: «Il programma presentato dai ricercatori italiani dovrebbe essere messo subito in atto in tutti gli ospedali».
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