26 ottobre 2015
Aggiornamenti e focus
Attività fisica, incidenti cardio-vascolari e salute
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Da sempre sentiamo dire che fare attività fisica "fa bene", ormai i media lo ripetono da almeno 20 anni. Probabilmente poche volte ci concentriamo sui freddi numeri statistici, che, pur rimanendo mere analisi, ben rappresentano le potenzialità dei benefici legati all'attività fisica. Questa efficacia è dirittamente proporzionale alla quantità, frequenza e intensità dell'attività fisica stessa. A conferma di quanto detto basta seguire la "storia" delle raccomandazioni fatte dall'ACSM rispetto all'attività minima consigliata per un uomo adulto.
1978: ACSM - raccomandazioni per almeno 3 sedute da 30 minuti di una attività al 50% del Vo2 Max (percentuale del massimo consumo di ossigeno, % VO2max, in cui avviene un maggiore tasso di ossidazione di lipidi durante l'allenamento aerobico, n.d.r.)
1990: ACSM - Revisione delle raccomandazioni per 4 o 5 sedute settimanali l'intensità dovrebbe variare fra il 50 e l'80% (compreso attività di tonificazione e lattacide
1995: ACSM - pubblica su JAMA una raccomandazione per tutti gli adulti verso I 30/40 minuti di attività fatta tutti I giorni sempre con intensità fra il 50/80% del Vo2
1996: le raccomandazioni suggerite nel 1995 vengono specificate come adatte a tutte le età
1998: Canada's Physical Activity Guide - raccomanda a tutti gli adulti di accumulare almeno 60 minuti di attività fisica giornaliera sommando attività leggere (camminare, salire scale) a vere attività sportive che comportino un intensità al 60/80% del Vo2 Max (sport o altri lavori più intensi)
2002: Dose- Response Symposium - Toronto October 2002. Viene decretato come un'attività fisica troppo bassa (40/50% del Vo2 Max) sia assolutamente insufficiente per aspettarsi un significativo miglioramento di fitness e salute (anche a livello preventivo) sulla popolazione media americana.
Come si può vedere si è passati con le 3 sedute da 30 minuti ai 60 min giornalieri alternando attività più a fondo aerobico e bassa intensità e attività a Vo2 più elevato, dove una soluzione potrebbe anche essere l'allenamento con i pesi. Lee e Blair hanno ben evidenziato l'enorme differenza della presenza di ICV (Incident Cardiovascular Disease) su soggetti in forma "fit" e soggetti non allenati "unfit". Il gruppo Fit svolgeva regolare attività fisica 4 volte a settimana. Gli ICV hanno certamente molte causa ma una di queste è certamente l'ipertensione, ipertensione che oltre a componenti genetiche ha un forte collegamento con il sovrappeso (che sappiamo potere essere combattuto efficacemente solo con alimentazione e attività fisica) . E sempre a proposito di sovrappeso è altamente indicativa una ricerca che mette direttamente in correlazione il sovrappeso non tanto con lo stile alimentare ma con la presenza nella propria famiglia di mezzi di trasposto a motore, TV, PC, ecc. In uno studio del 95 Prendice e Jebb hanno visto come dal 1950 al 1990 la dieta americana media sia "quasi stabile", questo considerando sia l'energia totale giornaliera che il contenuto di grassi ma la linea della presenza di obesi è sempre in continua salita. Viene stabilita anche una correlazione fra andamento degli obesi, ore passate davanti TV/PC e numero di auto presenti in casa: incredibilmente tutte e tre le linee sono ad andamento crescente! Quindi l'andamento del numero di obesi (con conseguente rischio cardiovascolare) è più in correlazione con la sedentarietà che con l'alimentazione.
Una bella conferma viene anche dallo studio di Jarret dell'Università del Texas, che ha valutato la correlazione fra attività fisica e problematiche di insufficienza cardiaca. Questo analizzando anche come tenersi a livelli superiori alle linee guida minime di attività portava a una sostanziale diminuzione delle problematiche cardiache (che negli Stati Uniti colpiscono 5,1 milioni di persone all'anno e implicano 30 miliardi di dollari di spesa sanitaria) . Emerge quindi lampante che la diminuzione di questo tipo di patologia risieda non nella cura ma nella prevenzione. Una prevenzione che parte dalla battaglia contro l'inattività fisica che fornisce un contributo determinante allo sviluppo delle malattie cardiovascolari (Cvd) . Negli ultimi trent'anni è stata stabilita un'associazione inversa dose- dipendente tra attività fisica e coronaropatia. L'American Heart Association (Aha) raccomanda almeno 150 minuti settimanali di attività fisica aerobica a intensità moderata (60/70%) per ridurre le probabilità di coronaropatia. Va detto che il ruolo preciso dell'attività fisica svolge nei confronti dello scompenso cardiaco è ancora da valutare nei dettagli. Probabilmente il ruolo nella prevenzione dello scompenso è diverso (soprattutto per ciò che concerne l'intensità) rispetto alla coronaropatia. Il ricercatore Barry ha svolto una metanalisi su vari studi ipotizzando che comunque esista una correlazione inversa (dose dipendente) anche fra attività fisica e scompenso cardiaco. In questo studio, che ha monitorato 370.460 partecipanti, 20.203 (5,5%) hanno sviluppato eventi di scompenso cardiaco e sono stati seguiti in media per 13 anni. I dati raccolti dimostrano che un esercizio fisico di maggiore intensità rispetto a quanto raccomandato dalle linee guida correnti si associa a un rischio di scompenso cardiaco significativamente ridotto. Viceversa, rispetto ai partecipanti che non svolgevano attività fisica nel tempo libero, coloro che si impegnavano in un'attività settimanale moderata avevano una riduzione altrettanto modesta del rischio di scompenso cardiaco.
In conclusione, dallo studio emerge un'associazione inversa dose- dipendente tra attività fisica e scompenso cardiaco. Inoltre, i dati raccolti suggeriscono che per ridurre in modo significativo le probabilità di scompenso serve un'attività fisica di intensità superiore ai livelli minimi raccomandati di 500 MET- minuti/settimana.
1 MET equivale a 3,5 Ml di ossigeno x Kg/min che grossolanamente equivale a 3,5 Kkal/kg/min.
La corsa tranquilla "costa" circa 4- 6 MET, la corsa media a 12 km/ora circa 8- 10 MET, la corsa veloce 12- 15 MET e oltre.
Questo significa che per "consumare" 500 Met correndo tranquillamente occorrono oltre 120 min settimana che potrebbero essere 4 sedute da 30 minuti (+ 5 min di riscaldamento e altri 5 di defaticamento) ; ma per ottenere l'azione di prevenzione è probabile occorra andare oltre questo valore.
Comunque mancano ancora dati certi sul quantitativo e intensità dell'attività fisica da svolgere come azione preventiva/protettiva contro lo scompenso cardiaco. Quello che è certo è che insieme allo stile alimentare l'attività fisica sia l'unico vero "scudo" che abbiamo per ridurre i principali rischi di problemi cardiovascolari.
Nota:
L'insufficienza cardiaca o scompenso cardiaco è una sindrome clinica definita come l'incapacità del cuore di fornire il sangue in quantità adeguata rispetto all'effettiva richiesta dell'organismo. È quindi una condizione in cui il cuore non riesce a pompare quantità di sangue adeguate alle necessità e determinando l'accumulo di liquidi a livello degli arti inferiori, dei polmoni e in altri tessuti. La coronaropatia è una problematica cardiaca responsabile di un apporto ematico inadeguato al muscolo cardiaco. Un altro termine usato per fare riferimento alle coronaropatie è "cardiopatia coronarica". Si tratta quindi di una qualsiasi alterazione, anatomica o funzionale, delle arterie coronarie, cioè dei vasi sanguigni che portano sangue al muscolo cardiaco.
Marco Neri
(Membro Comitato Scientifico FIF e Associazione Italiana Fitness e Medicina)
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