Malattie trapiantate?

12 marzo 2004
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Malattie trapiantate?



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Un paio di anni fa fece scalpore il caso di una paziente cui era stato trapiantato, a Modena, un fegato poi rivelatosi portatore di un tumore. Si trattò di un caso limite, visto che i test eseguiti sui potenziali donatori dovrebbero escludere errori macroscopici di questo tipo. Quel che è certo, però, è che il rapporto tra trapianti e possibili "contagi" di varia natura tra donatore e ricevente è una possibilità. Ovviamente una possibilità che si è in grado di ridurre al minimo.

Contagio attraverso l'organo


Come nel caso del sangue, è chiaro che se il donatore aveva in atto una malattia infettiva questa può essere trasmessa. E' il caso di infezioni virali come l'epatite B e C, come l'HIV, ma anche l'herpes virus. Ed è altrettanto ovvio che controlli attivi a scoprire le infezioni rientrano nella routine quando si ha a che fare con donazioni da cadavere. E' chiaro che si deve sapere che cosa cercare, come nel caso del sangue. In effetti era difficile diagnosticare la presenza del virus dell'epatite C prima che fosse identificato il virus e, di conseguenza, messo a punto il test. Nel caso dei tumori la situazione è meno netta. In primo luogo è ancora difficile nella maggior parte dei casi individuare tumori nella primissima fase di sviluppo.
Le indagini sui linfonodi, infatti, possono anche individuare la possibilità di metastasi di un tumore localizzato e già sviluppato, ma è ben più laborioso individuare un tumore primario nelle fasi iniziali. Difficile avere dati relativi al numero di pazienti che hanno ricevuto un organo da donatore portatore di tumore, più facile invece determinare qual è la possibilità di "importare" il tumore. Secondo la letteratura scientifica, quando si preleva un organo da un m,alato di cancro, la possibilità di trasmissione è del 40-50% e questi tumori possono svilupparsi sia nelll'organo impiantato sia nelle strutture adiacenti sia, infine, in orgnai distanti.
Tuttavia non è così semplice: non tutti i tumori hanno le stesse possibilità di essere trasmessi, particolarmente aggressivi risultano il melanoma cutaneo o alcune forme che colpiscono il sistema nervoso centrale (glioblastoma multiforme, medulloblastoma). Infatti, un'indagine condotta sul destino di oltre 1200 pazienti cghe avevano ricevuto organi da donatori morti per tumore del SNC, ha rivelato che soltanto 39 avevano poi sviluppato una neoplasia e che nessuna di queste è tata trasmessa dal donatore. In effetti, la costante penuria di organi da impiantare ha portato ad allargare la platea dei possibili donatori e quindi si cerca soprattutto di graduare il rischio. Non stupisce quindi che un recente studio israeliana concluda che, per esempio, i tumori renali confinati al tessuto, che cioè non hanno interessato i vasi, sono relativamente sicuri.
L'unico tipo di trapianto per il quale non si è dimostrata l'eventuale trasmissione di tumori è quello delle cornee, come ricorda anche un recente studio francese.

Non è solo questione di trasmissione


In realtà, però, il legame tra trapianti e tumori è un po' più complesso. La possibilità che sorga un tumore in seguito al trapianto è c'è comunque, ma è dovuta alla terapia antirigetto. Infatti, per evitare questo fenomeno è necessario somministrare farmaci immunosoppressivi, anche per tutta la vita. Tra gli effetti di questi farmaci c'è anche la diminuzione delle resistenze alle infezioni, ed è noto, così come il favorire la formazione di tumori "de novo". Non tutti i tipi di tumori: infatti i più frequenti sono il linfoma non-Hodgkin e i tumori cutanei (in particolare il basalioma). Spesso questi tumori si presentano altresì come abbastanza aggressivi. Secondo una ricerca statunitense, la morte dei pazienti che avevano subito un trapianto si deve nel 5-8% dei casi a un tumore. L'insoregere delle neoplasie può poi essere aumentato dall'infezione concomitante con virus che hanno a loro volta la capacità di indurre tumori (per esempio il papilloma virus).
Certamente anche questo rischio può essere limitato sia personalizzando la terapia antirigetto sia controllando assiduamente il paziente così da intercettare la malattia neoplastica il prima possibile. Sia, è l'augurio dei ricercatori, con l'arrivo dei vaccini antitumorali oggi allo studio. Del resto, quando si ricorre al trapianto è perché non esiste altra soluzione e, quindi, spesso il rapporto tra il rischio di queste complicanze e il rischio insito nel non fare nulla è decisamente vantaggioso per il paziente.

Maurizio Imperiali



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