15 settembre 2006
Aggiornamenti e focus
Dura vita da FANS
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Tempi duri per gli antinfiammatori non steroidei, cioè i FANS, cioè, in pratica, dall'aspirina ai più recenti COX-2 inibitori. Infatti, tre studi comparsi negli ultimi 10 giorni mettono in dubbio o l'efficacia o la sicurezza di questi medicinali che, è bene ricordarlo, sono tra i più consumati in tutto il mondo. Meglio, però, andare per ordine.
Il primo studio riguarda l'ibuprofene, antinfiammatorio non certo recente, che viene impiegato, per la sua rilevata sicurezza, in molte occasioni. In particolare, per trattare il dolore articolare che si presenta nei pazienti sottoposti a protesi dell'anca. Questo disturbo, viene spesso attribuito alla formazione di osso ectopico, cioè "fuori posto", successivamente all'intervento. Di qui la scelta di somministrare l'ibuprofene (al dosaggio di 1200 mg/die per via intramuscolare) per un duplice scopo:diminuire il dolore e la riduzione della mobilità e impedire o ridurre la formazione di osso ectopico. Infatti, è dimostrato che i FANS, in diversa misura, hanno questa capacità. Qualcuno però dubitava che la terapia fosse davvero efficace e quindi si è proceduto a uno studio controllato. Sono stati selezionati 900 pazienti sottoposti all'intervento, metà è stata trattata con il farmaco per 2 settimane, metà con il placebo.
Risultati deludenti: dolore e disabilità non erano differenti tra i due gruppi, anche se effettivamente, in chi riceveva il farmaco si osservava una riduzione della formazione di osso ectopico. Quindi? Quindi una terapia poco utile, accompagnata oltretutto dagli effetti collaterali classici (sanguinamenti gastrointestinali).
Il secondo studio, invece si è occupato soltanto di effetti collaterali: quelli cardiovascolari (in particolare l'infarto) già da tempo segnalati per il rofecoxib, che hanno portato al ritiro dal mercato del medicinale. In questa analisi di studi, però, sono stati considerati anche altri antinfiammatori, sia altri COX2 inibitori sia i vecchi FANS classici. I risultati sono abbastanza netti. Il rofecoxib effettivamente comporta un aumento del rischio cardiovascolare: del 30% se il dosaggio è di 25 mg al giorno o meno, addirittura di oltre il 200% se la dose è superiore, in particolare nel primo mese di assunzione.
I vecchi farmaci, invece, non riservano sorprese di questo genere: il rischio relativo si alza di poco o nulla con naprossene, piroxicam e ibuprofene. C'è però un'eccezione: il diclofenac, che secondo l'analisi dei dati comporterebbe un aumento del 40%. Però, anche il diclofenac, pur essendo un vecchio farmaco, aveva anch'esso una certa selettività per la COX2, cioè era più simile ai nuovi farmaci.
L'altro COX2 inibitore preso in considerazione, celecoxib, non presentava effetti collaterali cardiovascolari. Ed è da questo punto che parte il terzo studio, che ha esaminato gli studi riferiti a tutti i COX2 inibitori disponibili (40 studi per il rofecoxib, 37 per il celecoxib, 29 per il valdecoxib + parecoxib, 15 per l'etoricoxib, e 6 per il lumiracoxib). Lo scopo era valutare se tutta questa classe di farmaci presentava pericoli per i pazienti, oppure se si trattava di una caratteristica del solo rofecoxib. In questo caso si è considerata la frequenza non soltanto degli effetti cardiovascolari (ma qui si considerava l'aritmia), ma anche di quelli renali (edema, ipertensione e diminuzione della funzionalità renale). In effetti, anche questa analisi dei dati ha confermato gli effetti collaterali del rofecoxib sul cuore: il rischio di aritmia era quasi triplo, mentre nel complesso il rischio di effetti sul rene aumentava del 50%. Gli altri COX2, invece, non presenterebbero questi pericoli o almeno non ai dosaggi usuali. Tutto bene, allora? Rofecoxib cattivo e tutti gli altri buoni? Un editoriale che accompagna questi due studi, apparsi entrambi su JAMA, non pare di questo avviso. Anzi, adombra che in almeno un caso, quello dell'etoricoxib, gli studi dicano poco, visto che il confronto è fatto con il diclofenac. Inoltre, sottolinea, altre ricerche recenti hanno mostrato che il celecoxib, ad alti dosaggi, ha un comportamento più aggressivo. Quindi, si dice, se un paziente va incontro a un trattamento di lunga durata potrebbe essere ancora una buona idea un vecchio farmaco come il naprossene, associato a un altro farmaco che protegga lo stomaco.
Può anche darsi che l'insieme costi meno...
Maurizio Imperiali
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Il primo studio riguarda l'ibuprofene, antinfiammatorio non certo recente, che viene impiegato, per la sua rilevata sicurezza, in molte occasioni. In particolare, per trattare il dolore articolare che si presenta nei pazienti sottoposti a protesi dell'anca. Questo disturbo, viene spesso attribuito alla formazione di osso ectopico, cioè "fuori posto", successivamente all'intervento. Di qui la scelta di somministrare l'ibuprofene (al dosaggio di 1200 mg/die per via intramuscolare) per un duplice scopo:diminuire il dolore e la riduzione della mobilità e impedire o ridurre la formazione di osso ectopico. Infatti, è dimostrato che i FANS, in diversa misura, hanno questa capacità. Qualcuno però dubitava che la terapia fosse davvero efficace e quindi si è proceduto a uno studio controllato. Sono stati selezionati 900 pazienti sottoposti all'intervento, metà è stata trattata con il farmaco per 2 settimane, metà con il placebo.
Cuore e reni nel mirino
Risultati deludenti: dolore e disabilità non erano differenti tra i due gruppi, anche se effettivamente, in chi riceveva il farmaco si osservava una riduzione della formazione di osso ectopico. Quindi? Quindi una terapia poco utile, accompagnata oltretutto dagli effetti collaterali classici (sanguinamenti gastrointestinali).
Il secondo studio, invece si è occupato soltanto di effetti collaterali: quelli cardiovascolari (in particolare l'infarto) già da tempo segnalati per il rofecoxib, che hanno portato al ritiro dal mercato del medicinale. In questa analisi di studi, però, sono stati considerati anche altri antinfiammatori, sia altri COX2 inibitori sia i vecchi FANS classici. I risultati sono abbastanza netti. Il rofecoxib effettivamente comporta un aumento del rischio cardiovascolare: del 30% se il dosaggio è di 25 mg al giorno o meno, addirittura di oltre il 200% se la dose è superiore, in particolare nel primo mese di assunzione.
I vecchi farmaci, invece, non riservano sorprese di questo genere: il rischio relativo si alza di poco o nulla con naprossene, piroxicam e ibuprofene. C'è però un'eccezione: il diclofenac, che secondo l'analisi dei dati comporterebbe un aumento del 40%. Però, anche il diclofenac, pur essendo un vecchio farmaco, aveva anch'esso una certa selettività per la COX2, cioè era più simile ai nuovi farmaci.
Andare oltre l'apparenza
L'altro COX2 inibitore preso in considerazione, celecoxib, non presentava effetti collaterali cardiovascolari. Ed è da questo punto che parte il terzo studio, che ha esaminato gli studi riferiti a tutti i COX2 inibitori disponibili (40 studi per il rofecoxib, 37 per il celecoxib, 29 per il valdecoxib + parecoxib, 15 per l'etoricoxib, e 6 per il lumiracoxib). Lo scopo era valutare se tutta questa classe di farmaci presentava pericoli per i pazienti, oppure se si trattava di una caratteristica del solo rofecoxib. In questo caso si è considerata la frequenza non soltanto degli effetti cardiovascolari (ma qui si considerava l'aritmia), ma anche di quelli renali (edema, ipertensione e diminuzione della funzionalità renale). In effetti, anche questa analisi dei dati ha confermato gli effetti collaterali del rofecoxib sul cuore: il rischio di aritmia era quasi triplo, mentre nel complesso il rischio di effetti sul rene aumentava del 50%. Gli altri COX2, invece, non presenterebbero questi pericoli o almeno non ai dosaggi usuali. Tutto bene, allora? Rofecoxib cattivo e tutti gli altri buoni? Un editoriale che accompagna questi due studi, apparsi entrambi su JAMA, non pare di questo avviso. Anzi, adombra che in almeno un caso, quello dell'etoricoxib, gli studi dicano poco, visto che il confronto è fatto con il diclofenac. Inoltre, sottolinea, altre ricerche recenti hanno mostrato che il celecoxib, ad alti dosaggi, ha un comportamento più aggressivo. Quindi, si dice, se un paziente va incontro a un trattamento di lunga durata potrebbe essere ancora una buona idea un vecchio farmaco come il naprossene, associato a un altro farmaco che protegga lo stomaco.
Può anche darsi che l'insieme costi meno...
Maurizio Imperiali
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