Quando uno studio non cambia nulla

05 marzo 2008
Aggiornamenti e focus

Quando uno studio non cambia nulla



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A volte stare "sulla cronaca", buttarsi sulle prime notizie, non è una buona cosa. Lo prova oltre ogni dubbio la vicenda dello studio Enhance. Siccome i fatti sono ormai parecchi, è bene procedere un po' schematicamente. Esiste un farmaco per ridurre l'ipercolesterolemia che associa due principi attivi, uno nuovo, l'ezetimibe, e uno vecchiotto, la simvastatina. Il farmaco ha alle spalle alcuni studi che ne provano l'efficacia nel ridurre il livello di colesterolo, in particolare le LDL, e quindi è stato registrato dalla FDA. Poco dopo è partita, come usa negli Stati Uniti, un'imponente campagna pubblicitaria rivolta anche al pubblico. Nel mezzo di questa campagna, scoppia una bomba: sono stati nascosti i risultati di uno studio (ENHANCE, appunto) in cui, dalle prime notizie, la nuova associazione non presentava vantaggi rispetto all'impiego della simvastatina da sola. Lo studio, in effetti, era terminato nel 2006 e a tutto il 2007 poco e nulla si sapeva dei risultati, almeno in forma ufficiale. Però, prima ancora che se ne sapesse di più sono intervenuti alcuni politici e, ovviamente, i media. Lo studio, in sé, non aveva un obiettivo clinico: infatti doveva valutare la riduzione dello spessore della parete delle arterie carotidi, per la precisione dell'intima-media. Lo spessore della parete vasale è considerato un indice surrogato del rischio cardiovascolare, ricorda un editoriale di JAMA, ma per la Food and Drug Administration non è un elemento sul quale valutare l'efficacia di un farmaco. Comunque era proprio a questo riguardo che il nuovo farmaco a doppia azione si rivelava analogo per efficacia alla statina da sola, mentre per quanto riguarda i livelli di colesterolo LDL, effettivamente anche in questo caso l'associazione si rivelava più efficace.

Un risultato non influente


Lo studio, dunque, non avrebbe comunque detto nulla di interessante ai fini del valore del farmaco nell'unico aspetto che conta, cioè la riduzione del colesterolo e, quindi, della mortalità per infarto e malattie correlate. E' quello che provarono a dire l'American Heart Association e l'American College of Cardiology, un po' allarmate per le notizie scorrette che cominciarono a circolare. Mal gliene incolse, però, perché una commissione parlamentare comunicò di stare indagando sui rapporti tra le due associazioni e l'industria, e laddove si scrive rapporti va letto finanziamenti. Quindi le due associazioni dovettero chiarire che se anche c'erano stati finanziamenti per alcune attività di ricerca, queste non avevano nulla a che vedere con le loro dichiarazioni a proposito dello studio ENHANCE. Mentre tutto questo accadeva, la stampa statunitense, ma non solo, cominciava a revocare in dubbio l'efficacia del farmaco e, per buona misura, anche la veridicità del rapporto tra colesterolo elevato e infarto, come se bastasse un singolo studio su 370 pazienti, che oltretutto si occupa d'altro, a mettere in discussione 50 anni di ricerche. Ed è qui che la vicenda tocca anche l'Italia, perché queste affermazioni sono state riprese anche dal Corriere della Sera, suscitando le reazione di diversi ricercatori, a cominciare del farmacologo Rodolfo Paoletti, uno dei principali studiosi italiani della materia.

Una vicenda mal gestita


L'editoriale di JAMA già citato dice che da questa vicenda si traggono almeno tre insegnamenti. Il primo è che non dovrebbero essere condotti studi che non aggiungono niente di utile perché sottraggono tempo e risorse al resto. Se se ne fanno anche parecchi è per ragioni commerciali: i farmaci nuovi per forza di cose non dispongono di molti dati clinici a lungo termine, quindi per aumentare il volume si propongono risultati positivi ma poco importanti. E non è certo questo l'unico caso, anzi. Il secondo insegnamento è che si devono evitare conflitti di interesse tra società scientifiche e aziende e anche quando non vi sono, è bene chiarire sempre quali siano i rapporti, peraltro inevitabili. Il terzo è che la stampa deve stare più attenta nel maneggiare dati incompleti o indiscrezioni e magari smetterla con il sensazionalismo, che è ottimo resocontando sul Grande Fratello (per chi apprezza il genere) ma assolutamente fuori luogo in medicina. Si potrebbe aggiungere, poi, che questa vicenda prova anche come sia controproducente la politica statunitense di permettere la pubblicità rivolta al pubblico dei farmaci con obbligo di prescrizione. Se il farmaco in questione non fosse stato oggetto di tanta promozione non si sarebbe sollevato questo polverone. Un certo genere di discorsi mal si presta alle semplificazioni dello spot, a meno di disporre di conoscenze che non sono quelle del pubblico generale. E poi, se tanto deve prescrivere il medico, a che serve? Probabilmente a far arrabbiare quest'ultimo che magari si sente rivolgere richieste improprie. In Europa non si può, ma va detto che un giorno sì e uno no scappa di bocca a qualche presentatore, comico o giocoliere qualche nome di farmaco. Non è proprio logico...

Maurizio Imperiali



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