04 febbraio 2005
Aggiornamenti e focus
Questione di cultura
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Sono passati quasi 4 anni dall'introduzione del farmaco generico in Italia, o meglio, dall'introduzione delle norme che consentono al farmacista di sostituire al farmaco di marca il prodotto generico equivalente anche qualora il medico di famiglia non lo abbia indicato sulla ricetta. Malgrado di tempo ne sia passato, questo tipo di prodotti non è deccolatto in Italia. I dati resi noti da Assogenerici, l'associazione che raggruppa le case produttrici non testimoniano di grandi scalate del mercato. Se a maggio 2001 erano stati venduti 8 milioni di confezioni di generici, a maggio 2002 erano diventati 25 e, un anno dopo, 45. Che sembra un'enormità, ma è invece piuttosto poco, tanto che se si guarda il dato in termini di percentuale delle vendite complessive ancora a luglio 2004 le confezioni di generici vendute erano il 4,4 di tutti medicinali consumati. Qualche paragone potrà aiutare a capire il dato. In Danimarca, i generici costituiscono poco meno del 60% del mercato, in Gran Bretagna il 52%, in Germania il 50%, in Olanda poco meno del 40%. E' vero che la Francia arriva sì e no al 10%, ma lì il costo dei farmaci di marca è decisamente più basso, anche perché tradizionalmente c'è stata una politica favorevole ai farmaci fotocopia, cioè prodotti ben poco differenti uno dall'altro ma la cui competizione abbassava il prezzo.
Il mancato decollo in Italia ha diverse ragioni. Per esempio, il medico può ancora esigere che venga fornito al paziente il farmaco di marca, pagando la differenza, e questo spesso accade come può notare chiunque frequenti le farmacie. Inoltre, in Italia la tutela del brevetto è più lunga e, infine, c'è un fenomeno abbastanza caratteristico che è stato sottolineato a un recente convegno da Paolo Gradnik, segretario della Federfarma lombarda (l'associazione dei farmacisti titolari). In Italia hanno molta fortuna le molecole "parzialmente innovative", cioè farmaci costruiti modificando leggermente la formulazione originale, per conferire nuove caratteristiche (per esempio un'assimilazione più rapida) ma che sostanzialmente non cambiano il profilo di efficacia del farmaco originale. Queste sono di fatto novità, quindi coperte dal brevetto; su questo si innesta la corsa al nuovo a tutti i costi, ragion per cui tra il vecchio farmaco Y e il nuovo Y modificato, è quest'ultimo a essere prescritto più spesso, anche se i risultati sono sovrapponibili. Sia chiaro che questa non è una tendenza solo italiana e il caso degli antinfiammatori COX-2 selettivi negli Stati Uniti lo dimostra: il farmaco nuovo spiazza il più vecchio anche quando non è esattamente necessario. Ed è un errore, perché in medicina il fatto che un farmaco sia "vecchio" eppure ancora disponibile significa che è efficace e, a questo punto, sicuro a ragion veduta. Un altro elemento che non ha giovato all'imporsi dei generici è stato il fatto che molte case hanno preferito abbassare il prezzo allo stesso livello del generico pur di non perdere quote di mercato. Dal punto di vista della spesa sanitaria in effetti poco cambia, ma a questa stregua è difficile che l'industria del generico trovi una base sufficiente.
Questo è un danno anche per altri aspetti. Per esempio, un'azienda farmaceutica tradizionale può avere scarso interesse economico a produrre un certo farmaco e, difatti, alcuni prodotti vengono ritirati dalle case stesse perché non (più) redditizi. Però ci può essere un'azienda interessata a questa produzione e, se non c'è brevetto, potrebbe occuparsene. Per questo la nuova normativa europea sul generico, che dovrebbe entrare in vigore a partire dalla metà del 2005, prevede che le aziende potranno produrre generici quando l'equivalente di marca è stato ritirato per ragioni di mercato, vi sia o meno un brevetto. Altre misure comprendono la possibilità di avviare le procedure per la produzione e la registrazione del generico anche prima della scadenza del brevetto, lo snellimento delle procedure di registrazione e altro ancora. Però, anche se sembra una delle solite frasi a effetto, è una questione culturale: finché si è disposti a spendere di tasca propria solo perché cambia il colore della scatola...
Maurizio Imperiali
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Innovazioni di comodo
Il mancato decollo in Italia ha diverse ragioni. Per esempio, il medico può ancora esigere che venga fornito al paziente il farmaco di marca, pagando la differenza, e questo spesso accade come può notare chiunque frequenti le farmacie. Inoltre, in Italia la tutela del brevetto è più lunga e, infine, c'è un fenomeno abbastanza caratteristico che è stato sottolineato a un recente convegno da Paolo Gradnik, segretario della Federfarma lombarda (l'associazione dei farmacisti titolari). In Italia hanno molta fortuna le molecole "parzialmente innovative", cioè farmaci costruiti modificando leggermente la formulazione originale, per conferire nuove caratteristiche (per esempio un'assimilazione più rapida) ma che sostanzialmente non cambiano il profilo di efficacia del farmaco originale. Queste sono di fatto novità, quindi coperte dal brevetto; su questo si innesta la corsa al nuovo a tutti i costi, ragion per cui tra il vecchio farmaco Y e il nuovo Y modificato, è quest'ultimo a essere prescritto più spesso, anche se i risultati sono sovrapponibili. Sia chiaro che questa non è una tendenza solo italiana e il caso degli antinfiammatori COX-2 selettivi negli Stati Uniti lo dimostra: il farmaco nuovo spiazza il più vecchio anche quando non è esattamente necessario. Ed è un errore, perché in medicina il fatto che un farmaco sia "vecchio" eppure ancora disponibile significa che è efficace e, a questo punto, sicuro a ragion veduta. Un altro elemento che non ha giovato all'imporsi dei generici è stato il fatto che molte case hanno preferito abbassare il prezzo allo stesso livello del generico pur di non perdere quote di mercato. Dal punto di vista della spesa sanitaria in effetti poco cambia, ma a questa stregua è difficile che l'industria del generico trovi una base sufficiente.
Vecchio ma sicuro
Questo è un danno anche per altri aspetti. Per esempio, un'azienda farmaceutica tradizionale può avere scarso interesse economico a produrre un certo farmaco e, difatti, alcuni prodotti vengono ritirati dalle case stesse perché non (più) redditizi. Però ci può essere un'azienda interessata a questa produzione e, se non c'è brevetto, potrebbe occuparsene. Per questo la nuova normativa europea sul generico, che dovrebbe entrare in vigore a partire dalla metà del 2005, prevede che le aziende potranno produrre generici quando l'equivalente di marca è stato ritirato per ragioni di mercato, vi sia o meno un brevetto. Altre misure comprendono la possibilità di avviare le procedure per la produzione e la registrazione del generico anche prima della scadenza del brevetto, lo snellimento delle procedure di registrazione e altro ancora. Però, anche se sembra una delle solite frasi a effetto, è una questione culturale: finché si è disposti a spendere di tasca propria solo perché cambia il colore della scatola...
Maurizio Imperiali
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