Malattia eccezionale?

06 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Malattia eccezionale?



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L'UNAIDS, cioè l'agenzia dell'OMS dedicata alla lotta all'HIV, è l'oggetto di un articolo molto duro pubblicato dal British Medical Journal. Articolo che, per la verità, prende di petto molti dei capisaldi della lotta all'AIDS, non certo dal punto di vista medico, ma da quello politico. Secondo l'autore, per cominciare, considerare l'AIDS come una malattia "particolare" è stato controproducente, oltre che smentito dai fatti. Per esempio, le esortazioni a evitare gli screening di routine, che in altre malattie hanno dato ottima prova, alla fine ha contribuito alla diffusione del contagio, soprattutto della prima fase. Anche l'aver classificato l'infezione da HIV come una malattia della povertà è stato fuorviante, visto che è ormai dimostrato che in Etiopia, Kenya, e Tanzania la malattia ha una prevalenza maggiore nelle classi medio-alte e istruite.

Un settore economico indipendente


C'è stato, di conseguenza, un proliferare di iniziative non direttamente legate alla cura e all'assistenza che hanno fatto sì che dei 5,8 miliardi di euro che si spendono annualmente per la lotta all'HIV ne basti un decimo per pagare i farmaci antiretrovirali somministrati ai pazienti in trattamento. Il resto, si dice, è andato nella creazione di commissioni governative, programmi di intervento i più diversi e via di questo passo. In pratica, l'AIDS causa il 3,7% dei decessi a livello mondiale, meno di quelli registrati annualmente in India tra i bambini di meno di 5 anni, ma assorbe il 25% degli aiuti sanitari internazionali e una parte non trascurabile della spesa sanitaria dei singoli paesi. Oggi l'UNAIDS dice che entro il 2010 gli stanziamenti dovranno salire a 42 miliardi di dollari e a 54 miliardi nel 2015. Per tagliare corto, la tesi è che questi finanziamenti servano ormai a mantenere un vero e proprio settore economico dedicato, più che alla cura dell'AIDS, alla politica, anche di immagine, legata alla malattia.

Agire su tutto il sistema


Il fatto è che ormai non servono interventi speciali, ma è necessario finanziare il potenziamento dei servizi sanitari nel loro complesso, e gli stanziamenti finalizzati non solo sottraggono risorse economiche, ma anche risorse umane. Infatti, se in un paese relativamente povero si crea un circuito dedicato all'AIDS capace di pagare adeguatamente medici e infermieri, mentre il servizio sanitario langue, è evidente che si accaparrerà i migliori, peggiorando ulteriormente la situazione generale. Uscire da questo stallo non è facile, tanto che i responsabili della sanità della Guyana hanno esplicitamente dichiarato le difficoltà che si incontrano a spiegare ai partner della cooperazione che le risorse andrebbero destinate non a una singola malattia determinata a priori, ma alle effettive aree di sofferenza dei sistemi sanitari. Gli esempi citati dall'articolo sono moltissimi, e la conclusione è netta: per l'autore l'UNAIDS va chiusa, non perché abbia svolto male il suo lavoro, cosa che non è, ma perché era sbagliata la finalità con la quale è stata organizzata. Ovviamente questa posizione ha suscitato parecchie reazioni, a cominciare da quella dell'UNAIDS, che ha negato che si siano creati circuiti paralleli che danneggiano l'attività di cura normale. E certamente ha ragione chi dice che fare i conti soltanto a livello globale significa trascurare che nell'Africa Subsahariana l'AIDS è effettivamente una catastrofe, cioè un evento eccezionale. A rendere eccezionale l'infezione da HIV, per esempio, è la trasmissione per via sessuale, e il fatto che trascina con sé anche un'epidemia di tubercolosi multiresistente. Tuttavia quest'ultimo aspetto, in parte conferma la necessità di andare a un potenziamento complessivo delle capacità sanitarie dei paesi colpiti. Certamente il tono è duro, e suona tale anche perché va contro una certa retorica generale, che non riguarda soltanto l'AIDS, anzi. Ogni malattia viene dipinta come speciale, dimenticata e particolare. Cose vere, ma vere per tutte le malattie gravi, specie se infettive, e la soluzione è migliorare il complesso dell'assistenza, non basta ottenere "trattamenti di favore" che spesso, poi, tali non sono.

Maurizio Imperiali



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