20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
Galline in fuga (dal virus)
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Tutto ha avuto inizio nel 1961 quando un virus influenzale denominato H5N1 è risultato fatale negli allevamenti di polli, uccidendone a milioni. Ma per lungo tempo la sigla H5N1 è stata rassicurante per gli infettivologi, essendo la trasmissione agli uomini categoricamente esclusa. Nel maggio del 1997, però, le cose sono cambiate quando in un ospedale di Hong Kong si registrò il decesso di un bambino di tre anni colpito dallo stesso virus aviario H5N1. Stessa diagnosi in rapida sequenza per una ragazzina di 13 anni e un uomo di 54, sempre a Hong Kong. È scattato così l'allarme pandemia come conferma l'immediata missione in terra asiatica di ricercatori del CDC (Center for Disease Control) di Atlanta per studiare i familiari delle vittime. Il pericolo pandemia è stato fortunatamente stroncato sul nascere, ma alcuni punti sono rimasti oscuri.
Al di là degli avvenimenti dell'Estremo in tempi più recenti si sono avuti episodi anche in Italia. Per esempio, seicentomila galline ovaiole abbattute presso un allevamento del mantovano. La causa? Un influenza aviaria presumibilmente del ceppo H5N1. La conseguenza diretta è stata il sequestro del centro di confezionamento e delle uova prodotte. Non bastasse a Hong Kong sono state uccise anatre di un parco pubblico, proprio nel tentativo dichiarato di prevenite una nuova epidemia influenzale killer. Un episodio dovuto al riscontro, in due anatre morte, di un virus aviario di un ceppo non meglio identificato.
Dall'inizio di quest'anno il bilancio parla di 39 casi di influenza aviaria umana, 28 dei quali mortali. La Thailandia resta uno dei punti caldi: 16 casi confermati in laboratorio di cui 11 mortali. L'ultimo è quello di una bambina di nove anni, spirata il 4 ottobre. Ma come è possibile una simile epidemia trasversale?
Difficile rispondere. Il segreto del successo dei virus influenzali sta nella variazione antigenica, cioè la capacità di cambiare parti di RNA fino a dare un virus diverso, in grado di ingannare il sistema immunitario di persone immuni alle forme originarie e di dare luogo a nuove infezioni. Tuttavia in questo caso il virus dei volatili non ha mutato neppure una base del proprio RNA, gettando nello sconforto i ricercatori, per i quali era impossibile il salto da una specie a un'altra. Il virus fatale per gli uomini è, infatti, esattamente lo stesso che ha provocato la morte di quasi due milioni di volatili e che ha costretto le autorità asiatiche all'abbattimento preventivo di anatre ed oche. Inoltre, sempre in Thailandia, cominciano a manifestarsi probabili casi di trasmissione del virus aviario da uomo a uomo. E allora?
Lo studio di Lancet
Una prima risposta agli interrogativi ancora aperti è arrivata da un recente studio di Lancet e sembra legata a una proliferazione eccessiva delle citochine, sostanze prodotte dalle cellule immunitarie. Riprendendo la linea tracciata da un precedente studio statunitense, che aveva messo in evidenza come il virus H5N1 fosse in grado di resistere agli effetti inibitori di citochine come gli interferoni e il TNF-alfa, i ricercatori asiatici hanno confermato l'associazione tra questa infezione e gli alti livelli delle citochine presenti. Non solo. Essendo la produzione di citochine correlata con i sintomi influenzali più gravi, il passaggio successivo è consistito nel mettere in relazione gli effetti severi dell'infezione da H5N1 con l'eccessiva produzione di citochine nell'organismo ospite. Una iperproduzione che può indurre polmonite virale e quindi insufficienza respiratoria acuta, emofagocitosi e in ultima analisi disfunzioni multiorgano. La nuova ipotesi è così in contrasto alle precedenti teorie che sostenevano fosse il virus in sé, e non tanto la risposta immunitaria, ad avere un ruolo nella gravità degli effetti della trasmissione del virus aviario all'uomo.
L'interpretazione
La chiave genetica alla base di questo fenomeno sembra risiedere in una proteina non strutturale del virus, la NS1. Sebbene piccola, questa proteina ha molte funzioni ed è indiziata come il principale strumento utilizzato dal virus influenzale per evitare l'innescarsi della risposta immunitaria. Va detto che virus come H5N1 hanno come caratteristica fondamentale quella di essere predisposti per coesistere con l'organismo animale e non con quello umano. Un fenomeno simile, infatti, non si verifica per altri virus di origine avicola per i quali non si ha un'analoga risposta massiccia delle citochine. Ma qual è la mutazione responsabile? Già studi precedenti avevano dimostrato che una sola modifica aminoacidica basta a conferire resistenza alle citochine. Non è del tutto chiaro agli autori della ricerca se una modifica analoga determini il rilascio eccessivo di citochine, quello che è certo è il coinvolgimento del gene NS1 che codifica per la proteina. Si tratta ora di stabilire che tipo di evoluzione abbia condotto a queste mutazioni e se si possano riscontrare analoghe mutazioni nei ceppi influenzali che scatenano le epidemie annuali, diverse a ogni nuova stagione.
Se questa può essere una strategia curativa, resta il fatto che secondo gli esperti la soluzione ideale è la prevenzione. Infatti il virus ha un'elevata mortalità (il 90%), inoltre chi è infettato diviene contagioso prima di manifestare i sintomi, cosa che rende più arduo contenere la diffusione isolando le persone colpite. La soluzione ideale è quindi il vaccino. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha già provveduto a consegnare a industrie e laboratori gli isolati virali necessari alla produzione di un vaccino pandemico, come viene definito. Però dall'aprile scorso solo due aziende tra le 12 maggiori produttrici di vaccini si sono attivate al riguardo. Secondo l'OMS pesano problemi di brevetti sulle tecniche genetiche necessarie a elaborare l'immunizzazione contro il virus aviario, e anche la scarsa propensione a investire in vista di un vento, la pandemia di influenza dei polli, che, per quanto molto probabile, non è dato sapere quando si presenterà. Questioni di mercato, insomma.
Marco Malagutti
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I precedenti e la situazione attuale
Al di là degli avvenimenti dell'Estremo in tempi più recenti si sono avuti episodi anche in Italia. Per esempio, seicentomila galline ovaiole abbattute presso un allevamento del mantovano. La causa? Un influenza aviaria presumibilmente del ceppo H5N1. La conseguenza diretta è stata il sequestro del centro di confezionamento e delle uova prodotte. Non bastasse a Hong Kong sono state uccise anatre di un parco pubblico, proprio nel tentativo dichiarato di prevenite una nuova epidemia influenzale killer. Un episodio dovuto al riscontro, in due anatre morte, di un virus aviario di un ceppo non meglio identificato.
Dall'inizio di quest'anno il bilancio parla di 39 casi di influenza aviaria umana, 28 dei quali mortali. La Thailandia resta uno dei punti caldi: 16 casi confermati in laboratorio di cui 11 mortali. L'ultimo è quello di una bambina di nove anni, spirata il 4 ottobre. Ma come è possibile una simile epidemia trasversale?
Dal pollo all'uomo
Difficile rispondere. Il segreto del successo dei virus influenzali sta nella variazione antigenica, cioè la capacità di cambiare parti di RNA fino a dare un virus diverso, in grado di ingannare il sistema immunitario di persone immuni alle forme originarie e di dare luogo a nuove infezioni. Tuttavia in questo caso il virus dei volatili non ha mutato neppure una base del proprio RNA, gettando nello sconforto i ricercatori, per i quali era impossibile il salto da una specie a un'altra. Il virus fatale per gli uomini è, infatti, esattamente lo stesso che ha provocato la morte di quasi due milioni di volatili e che ha costretto le autorità asiatiche all'abbattimento preventivo di anatre ed oche. Inoltre, sempre in Thailandia, cominciano a manifestarsi probabili casi di trasmissione del virus aviario da uomo a uomo. E allora?
Lo studio di Lancet
Una prima risposta agli interrogativi ancora aperti è arrivata da un recente studio di Lancet e sembra legata a una proliferazione eccessiva delle citochine, sostanze prodotte dalle cellule immunitarie. Riprendendo la linea tracciata da un precedente studio statunitense, che aveva messo in evidenza come il virus H5N1 fosse in grado di resistere agli effetti inibitori di citochine come gli interferoni e il TNF-alfa, i ricercatori asiatici hanno confermato l'associazione tra questa infezione e gli alti livelli delle citochine presenti. Non solo. Essendo la produzione di citochine correlata con i sintomi influenzali più gravi, il passaggio successivo è consistito nel mettere in relazione gli effetti severi dell'infezione da H5N1 con l'eccessiva produzione di citochine nell'organismo ospite. Una iperproduzione che può indurre polmonite virale e quindi insufficienza respiratoria acuta, emofagocitosi e in ultima analisi disfunzioni multiorgano. La nuova ipotesi è così in contrasto alle precedenti teorie che sostenevano fosse il virus in sé, e non tanto la risposta immunitaria, ad avere un ruolo nella gravità degli effetti della trasmissione del virus aviario all'uomo.
L'interpretazione
La chiave genetica alla base di questo fenomeno sembra risiedere in una proteina non strutturale del virus, la NS1. Sebbene piccola, questa proteina ha molte funzioni ed è indiziata come il principale strumento utilizzato dal virus influenzale per evitare l'innescarsi della risposta immunitaria. Va detto che virus come H5N1 hanno come caratteristica fondamentale quella di essere predisposti per coesistere con l'organismo animale e non con quello umano. Un fenomeno simile, infatti, non si verifica per altri virus di origine avicola per i quali non si ha un'analoga risposta massiccia delle citochine. Ma qual è la mutazione responsabile? Già studi precedenti avevano dimostrato che una sola modifica aminoacidica basta a conferire resistenza alle citochine. Non è del tutto chiaro agli autori della ricerca se una modifica analoga determini il rilascio eccessivo di citochine, quello che è certo è il coinvolgimento del gene NS1 che codifica per la proteina. Si tratta ora di stabilire che tipo di evoluzione abbia condotto a queste mutazioni e se si possano riscontrare analoghe mutazioni nei ceppi influenzali che scatenano le epidemie annuali, diverse a ogni nuova stagione.
Se questa può essere una strategia curativa, resta il fatto che secondo gli esperti la soluzione ideale è la prevenzione. Infatti il virus ha un'elevata mortalità (il 90%), inoltre chi è infettato diviene contagioso prima di manifestare i sintomi, cosa che rende più arduo contenere la diffusione isolando le persone colpite. La soluzione ideale è quindi il vaccino. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha già provveduto a consegnare a industrie e laboratori gli isolati virali necessari alla produzione di un vaccino pandemico, come viene definito. Però dall'aprile scorso solo due aziende tra le 12 maggiori produttrici di vaccini si sono attivate al riguardo. Secondo l'OMS pesano problemi di brevetti sulle tecniche genetiche necessarie a elaborare l'immunizzazione contro il virus aviario, e anche la scarsa propensione a investire in vista di un vento, la pandemia di influenza dei polli, che, per quanto molto probabile, non è dato sapere quando si presenterà. Questioni di mercato, insomma.
Marco Malagutti
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