20 gennaio 2006
Aggiornamenti e focus
ACE inibitori, ma con prudenza
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L’insufficienza renale cronica è una condizione patologica caratterizzata da perdita permanente della funzione renale. Spesso si manifesta come conseguenza di altre patologie quali l’ipertensione, il diabete e la glomerulonefrite (malattia infiammatoria del rene). Il decorso è irreversibile e progressivo e porta a uremia, cioè a intossicazione, dovuta all’accumulo nel sangue dei prodotti terminali del metabolismo delle proteine e dell’urea. L’andamento della patologia impone la “sostituzione” dell’organo ricorrendo alla dialisi o al trapianto, anche se, con un regime nutrizionale controllato e farmaci specifici, è possibile rallentarne la progressione.
L’utilizzo di farmaci ACE inibitori (antipertensivi) si è rivelato efficace nel rallentare il decorso dell’insufficienza renale da lieve a moderata caratterizzata, cioè, da livelli di creatinina sierica da 1,5 a 3,0 mg/dl. Attualmente per stadi più avanzati della patologia gli ACE inibitori non vengono somministrati in quanto non vi sono prove sufficienti della loro efficacia e, anzi, sembrano dannosi in quanto responsabili dell’eccessivo aumento dei livelli di potassio (iperpotassiemia). Tuttavia, uno studio condotto in Cina e pubblicato sul New England Journal of Medicine, sembra dimostrare il contrario.
L’indagine è stata condotta su due gruppi di pazienti non diabetici con insufficienza renale avanzata; il primo costituito da circa 100 individui con insufficienza cronica da lieve a moderata, ai quali sono stati somministrati 20 mg di benazapril al giorno. Il secondo gruppo era formato da pazienti con livelli di creatinina sierica da 3,2 a 5 mg/dl e comprendeva 112 pazienti che ricevevano la stessa dose di farmaco del gruppo precedente e 108 che assumevano placebo. Tutti i pazienti erano, inoltre, sottoposti a terapia antipertensiva. Al termine dello studio la somministrazione di benazapril (rispetto al placebo) è stata associata, nel secondo gruppo, a una riduzione del 43% del rischio di veder progredire la malattia fino alla totale insufficienza o alla morte. Inoltre l’assunzione del farmaco ha contribuito alla riduzione del 52% dei livelli di proteinuria e a un rallentamento del 23% dell’evoluzione della patologia. Alla luce dei risultati i ricercatori hanno concluso, quindi, che l’utilizzo di benazepril, in associazione con la terapia antipertensiva standard, è efficace anche in pazienti con livelli di creatinina sierica superiori a 3 mg/dl.
In un editoriale pubblicato sullo stesso numero della rivista il dottor Lee A. Hebert dell’Ohio State University, commenta lo studio e puntualizza alcuni concetti. Infatti, pur sottolineando l’importanza della scoperta, che può contribuire a rallentare il progredire della patologia da 3,5 a 7 anni, esprime alcune preoccupazioni legate soprattutto al rischio di iperpotassiemia. Nello studio, infatti, vengono utilizzate dosi di ACE inibitori pari alla metà della dose massima raccomandata per i pazienti affetti da insufficienza renale, mentre solitamente la dose utilizzata negli studi è circa il 15-25% di quella massima. Inoltre la somministrazione avveniva due volte al giorno, riducendo la possibilità dell’organismo di recuperare durante la notte, mediante aumento dell’escrezione di potassio con le urine, all’eventuale accumulo prodottosi durante il giorno.
Tuttavia, nel corso dello studio, sono stati riportati solo 8 casi di iperpotassiemia nei pazienti che assumevano benazepril, rispetto ai 5 casi nel gruppo placebo. Secondo Hebert, uno dei motivi dell’assenza di gravi aumenti nei livelli di potassio potrebbe risiedere nelle caratteristiche della popolazione in esame. Lo studio, infatti, è stato condotto in Cina su pazienti asiatici il cui apporto proteico è pari a 0,5 g/kg di peso corporeo, mentre l’apporto medio di un paziente occidentale affetto da insufficienza renale cronico è di circa 1-1,5 g/kg. Un’altra spiegazione potrebbe essere che circa l’80% dei pazienti del secondo gruppo è stato trattato, durante il periodo di studio con diuretici, che sono farmaci che promuovono l’escrezione renale di potassio.
Le indicazioni
Infine il dottor Hebert consiglia alcune precauzioni nel corso della terapia con ACE inibitori per il trattamento dell’insufficienza renale cronica, soprattutto per evitare iperpotassiemia. Innanzitutto prima di iniziare la terapia è necessario controllare l’apporto dietetico di potassio, riducendolo nel caso in cui sia troppo elevato. Per quanto riguarda la somministrazione sarebbe bene iniziare con dosi pari al 15-25% di quella massima raccomandata e, se ben tollerata dal paziente, aumentare gradualmente; l’assunzione dovrebbe, inoltre, avvenire in un’unica dose giornaliera preferibilmente al mattino, in modo da permettere un’elevata escrezione di potassio durante la notte. Infine, durante la terapia è necessario tenere sotto controllo l’apporto di sale, in quanto, se troppo elevato, può annullare l’effetto antiproteinurico (riduzione dell’eliminazione di proteine nelle urine) degli ACE inibitori.
Ombretta Bandi
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Lo studio cinese
L’utilizzo di farmaci ACE inibitori (antipertensivi) si è rivelato efficace nel rallentare il decorso dell’insufficienza renale da lieve a moderata caratterizzata, cioè, da livelli di creatinina sierica da 1,5 a 3,0 mg/dl. Attualmente per stadi più avanzati della patologia gli ACE inibitori non vengono somministrati in quanto non vi sono prove sufficienti della loro efficacia e, anzi, sembrano dannosi in quanto responsabili dell’eccessivo aumento dei livelli di potassio (iperpotassiemia). Tuttavia, uno studio condotto in Cina e pubblicato sul New England Journal of Medicine, sembra dimostrare il contrario.
L’indagine è stata condotta su due gruppi di pazienti non diabetici con insufficienza renale avanzata; il primo costituito da circa 100 individui con insufficienza cronica da lieve a moderata, ai quali sono stati somministrati 20 mg di benazapril al giorno. Il secondo gruppo era formato da pazienti con livelli di creatinina sierica da 3,2 a 5 mg/dl e comprendeva 112 pazienti che ricevevano la stessa dose di farmaco del gruppo precedente e 108 che assumevano placebo. Tutti i pazienti erano, inoltre, sottoposti a terapia antipertensiva. Al termine dello studio la somministrazione di benazapril (rispetto al placebo) è stata associata, nel secondo gruppo, a una riduzione del 43% del rischio di veder progredire la malattia fino alla totale insufficienza o alla morte. Inoltre l’assunzione del farmaco ha contribuito alla riduzione del 52% dei livelli di proteinuria e a un rallentamento del 23% dell’evoluzione della patologia. Alla luce dei risultati i ricercatori hanno concluso, quindi, che l’utilizzo di benazepril, in associazione con la terapia antipertensiva standard, è efficace anche in pazienti con livelli di creatinina sierica superiori a 3 mg/dl.
Il commento
In un editoriale pubblicato sullo stesso numero della rivista il dottor Lee A. Hebert dell’Ohio State University, commenta lo studio e puntualizza alcuni concetti. Infatti, pur sottolineando l’importanza della scoperta, che può contribuire a rallentare il progredire della patologia da 3,5 a 7 anni, esprime alcune preoccupazioni legate soprattutto al rischio di iperpotassiemia. Nello studio, infatti, vengono utilizzate dosi di ACE inibitori pari alla metà della dose massima raccomandata per i pazienti affetti da insufficienza renale, mentre solitamente la dose utilizzata negli studi è circa il 15-25% di quella massima. Inoltre la somministrazione avveniva due volte al giorno, riducendo la possibilità dell’organismo di recuperare durante la notte, mediante aumento dell’escrezione di potassio con le urine, all’eventuale accumulo prodottosi durante il giorno.
Tuttavia, nel corso dello studio, sono stati riportati solo 8 casi di iperpotassiemia nei pazienti che assumevano benazepril, rispetto ai 5 casi nel gruppo placebo. Secondo Hebert, uno dei motivi dell’assenza di gravi aumenti nei livelli di potassio potrebbe risiedere nelle caratteristiche della popolazione in esame. Lo studio, infatti, è stato condotto in Cina su pazienti asiatici il cui apporto proteico è pari a 0,5 g/kg di peso corporeo, mentre l’apporto medio di un paziente occidentale affetto da insufficienza renale cronico è di circa 1-1,5 g/kg. Un’altra spiegazione potrebbe essere che circa l’80% dei pazienti del secondo gruppo è stato trattato, durante il periodo di studio con diuretici, che sono farmaci che promuovono l’escrezione renale di potassio.
Le indicazioni
Infine il dottor Hebert consiglia alcune precauzioni nel corso della terapia con ACE inibitori per il trattamento dell’insufficienza renale cronica, soprattutto per evitare iperpotassiemia. Innanzitutto prima di iniziare la terapia è necessario controllare l’apporto dietetico di potassio, riducendolo nel caso in cui sia troppo elevato. Per quanto riguarda la somministrazione sarebbe bene iniziare con dosi pari al 15-25% di quella massima raccomandata e, se ben tollerata dal paziente, aumentare gradualmente; l’assunzione dovrebbe, inoltre, avvenire in un’unica dose giornaliera preferibilmente al mattino, in modo da permettere un’elevata escrezione di potassio durante la notte. Infine, durante la terapia è necessario tenere sotto controllo l’apporto di sale, in quanto, se troppo elevato, può annullare l’effetto antiproteinurico (riduzione dell’eliminazione di proteine nelle urine) degli ACE inibitori.
Ombretta Bandi
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