06 settembre 2006
Aggiornamenti e focus
Mano leggera sul rene
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Uno degli effetti del miglioramento della diagnostica per immagini, non si sa quanto positivo, è che spesso si localizzano lesioni che non si stavano cercando, perché non vi erano segni che ne facessero supporre l'esistenza. Tra i casi più frequenti vi è quello dei piccoli tumori renali. L'aumento di queste diagnosi incidentali, quando la lesione riguarda un solo rene, ha determinato un problema di cui si sono occupati, ultimi in ordine di tempo, uno studio di Lancet Oncology e un commento di Lancet.Infatti, quando solo uno dei reni è colpito, e quando la lesione è piccola, come è quasi la regola quando viene scoperta per caso, può essere sufficiente asportare soltanto il tumore e una porzione del tessuto circostante per maggiore sicurezza, sempre che, ovviamente, la lesione sia accessibile. E' dagli anni ottanta del secolo scorso, del resto, che gli interventi di nefrectomia parziale vengono praticati e hanno raggiunto la maturità tecnica, sia in aperto sia per via laparoscopica o mininvasiva che dir si voglia.
Eppure, nota il commento di Lancet, sono ben pochi i tumori di piccole dimensioni (fino a quattro centimetri, ma anche fino a sette) che vengono trattati così. Negli stati Uniti soltanto il 20%, in Gran Bretagna soltanto il 4%, negli altri casi si ricorre all'asportazione totale del rene interessato, del tessuto fasciale e della ghiandola surrenale ipsilaterale(cioè posta sullo stesso lato). Perché? Le ragioni, dice il commento, possono essere diverse. Per esempio, la scarsa dimestichezza del chirurgo con la nefrectomia parziale, che è effettivamente più complessa; oppure, il fatto che l'asportazione completa dell'organo, eseguita per via mini-invasiva, finisce con l'essere più rapida, e richiedere meno giorni di degenza, di un'asportazione parziale eseguita in aperto. Se le conseguenze dei due interventi fossero identiche, si potrebbe anche approvare questo principio di prudenza: si asporta l'organo al completo e non si corre il rischio di nuove lesioni.
Tuttavia, ed è questo l'oggetto dello studio di Lancet Oncology, non pare che i due approcci abbiano gli stessi risultati. In questa ricerca, infatti sono stati presi in considerazione 662 pazienti trattati al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, con la nefrectomia sia parziale sia totale in presenza appunto di una lesione, su un solo rene, di diametro inferiore ai 4 centimetri. Lo scopo era individuare in quale misura si sviluppava insufficienza renale dopo l'intervento, e se il rischio variava in funzione del tipo di intervento condotto. Innanzitutto, i ricercatori hanno scoperto che di solito i pazienti con questo tipo di tumori hanno una funzionalità renale meno buona di quanto si creda, soprattutto se la valutazione viene fatta con il test più indicativo, cioè il tasso di filtrazione glomerulare: il 26% dei pazienti, infatti, presentava già un'insufficienza. Quanto all'effetto dell'intervento, l'asportazione totale si rivela un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di un'insufficienza renale grave, cioè con tasso di filtrazione glomerulare inferiore a 45 mL/min per 1•73 mq: il rischio aumenta di 11 volte. Rovesciando la considerazione, se si esegue la nefrectomia parziale, nel 95% dei casi non si verifica questa circostanza. Insomma, agendo in maniera radicale, sempre parlando di piccoli tumori, c'è il rischio che il rimedio non sia poi tanto migliore del danno iniziale.
Maurizio Imperiali
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Poche le asportazioni parziali
Eppure, nota il commento di Lancet, sono ben pochi i tumori di piccole dimensioni (fino a quattro centimetri, ma anche fino a sette) che vengono trattati così. Negli stati Uniti soltanto il 20%, in Gran Bretagna soltanto il 4%, negli altri casi si ricorre all'asportazione totale del rene interessato, del tessuto fasciale e della ghiandola surrenale ipsilaterale(cioè posta sullo stesso lato). Perché? Le ragioni, dice il commento, possono essere diverse. Per esempio, la scarsa dimestichezza del chirurgo con la nefrectomia parziale, che è effettivamente più complessa; oppure, il fatto che l'asportazione completa dell'organo, eseguita per via mini-invasiva, finisce con l'essere più rapida, e richiedere meno giorni di degenza, di un'asportazione parziale eseguita in aperto. Se le conseguenze dei due interventi fossero identiche, si potrebbe anche approvare questo principio di prudenza: si asporta l'organo al completo e non si corre il rischio di nuove lesioni.
L'insufficienza è in agguato
Tuttavia, ed è questo l'oggetto dello studio di Lancet Oncology, non pare che i due approcci abbiano gli stessi risultati. In questa ricerca, infatti sono stati presi in considerazione 662 pazienti trattati al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, con la nefrectomia sia parziale sia totale in presenza appunto di una lesione, su un solo rene, di diametro inferiore ai 4 centimetri. Lo scopo era individuare in quale misura si sviluppava insufficienza renale dopo l'intervento, e se il rischio variava in funzione del tipo di intervento condotto. Innanzitutto, i ricercatori hanno scoperto che di solito i pazienti con questo tipo di tumori hanno una funzionalità renale meno buona di quanto si creda, soprattutto se la valutazione viene fatta con il test più indicativo, cioè il tasso di filtrazione glomerulare: il 26% dei pazienti, infatti, presentava già un'insufficienza. Quanto all'effetto dell'intervento, l'asportazione totale si rivela un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di un'insufficienza renale grave, cioè con tasso di filtrazione glomerulare inferiore a 45 mL/min per 1•73 mq: il rischio aumenta di 11 volte. Rovesciando la considerazione, se si esegue la nefrectomia parziale, nel 95% dei casi non si verifica questa circostanza. Insomma, agendo in maniera radicale, sempre parlando di piccoli tumori, c'è il rischio che il rimedio non sia poi tanto migliore del danno iniziale.
Maurizio Imperiali
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