Il link tra rene e osso

18 marzo 2005
Aggiornamenti e focus

Il link tra rene e osso



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"Oggi la dialisi garantisce una sopravvivenza fino a 30 anni, ma questo non significa che non vi siano complicanze anche pesanti", questo l'esordio di uno dei maggiori esperti di insufficienza renale, il professor Diego Brancaccio, direttore dell'Unità operativa di nefrologia e dialisi dell'Ospedale San Paolo di Milano. Una delle più frequenti complicanze sono le malattie dell'osso: osteoporosi, osteomalacia con il loro corredo di fratture e, soprattutto nelle persone giovani, di modificazioni somatiche anche gravi, come l'incurvamento delle gambe. Per questi disordini del metabolismo osseo è da poco tempo disponibile anche in Italia un nuovo farmaco capace di riequilibrare la situazione con minori effetti collaterali rispetto alle terapie attuali.

Il rene attiva la D


Anche se può parere strano, il metabolismo dell'osso è strettamente correlato alla funzionalità del rene, attraverso un complicato gioco metabolico. Infatti tra le funzioni di questo organo c'è la produzione della forma attivata della vitamina D. A sua volta questa sostanza, che come spiega il professor Brancaccio è ormai considerata un ormone a tutti gli effetti, vi è la regolazione del metabolismo del calcio. La conseguenza prima è che nei dializzati si assiste a una riduzione dei livelli ematici di calcio, e a un aumento di quelli di fosforo. Di qui, l'attivazione di un altro meccanismo endocrino. L'ipocalcemia provoca la stimolazione delle ghiandole paratiroidi, che passano a produrre il paratormone. Il compito di questo ormone è riportare i livelli del sangue nella norma, e per farlo preleva il calcio dove lo trova, cioè nello scheletro. "In pratica quello che i nefrologi hanno fatto finora è stato procedere a una sostituzione ormonale, cioè fornire la forma attiva della vitamina D, il calcitriolo, dall'esterno". A ogni seduta di dialisi, la sostanza veniva iniettata per via endovenosa. Tutto risolto? Sì e no, in quanto l'uso del calcitriolo non è, a successive ricerche, apparso esente da effetti collaterali. "Si è osservato nel tempo che le morti dei pazienti in dialisi sono quasi sempre dovute a cause cardiovascolari. La spiegazione si è avuta quando, grazie all'uso della TAC ad alta velocità si è potuto osservare che le coronarie dei pazienti in dialisi sottoposti a questa terapia sostitutiva presentavano vistose calcificazioni". In definitiva, il rischio di un paziente dializzato di andare incontro a morte per cause cardiovascolari è circa 500 volte superiore a quella della popolazione generale.

La mortalità si riduce


E' qui che si innesta la novità terapeutica. Va premesso che per la sua importanza, anche come antitumorale, sono allo studio centinaia di analoghi della vitamina D, cioè sostanze capaci di riprodurne soltanto alcuni effetti ma non altri. Una di queste sostante è il paracalcitolo, messo a punto dalla Abbott e impiegato già da tre anni negli Stati Uniti al posto del calcitriolo. "Le due sostanze sono state messe a confronto in un grande studio retrospettivo, che ha coinvolto circa 60000 persone" spiga Diego Brancaccio. "Uno studio importante anche perché è stato condotto senza finanziamento da parte dell'azienda produttrice". Lo studio ha dimostrato che il paracalcitolo agisce più rapidamente ed efficacemente del calcitriolo nel ridurre i livelli di paratormone. Ma soprattutto ha dimostrato che nei pazienti trattati con il paracalcitolo la mortalità diminuisce di oltre il 16%" conclude Brancaccio. Anche il paracalcitolo è somministrato per via endovenosa il che, per ora, ne preclude l'impiego in altre patologie, come l'osteoporosi postmenopausale, ma è in corso di realizzazione una formulazione orale. Infine, una nota positiva: la mortalità dei pazienti in dialisi è in Italia pari al 14-15% anno, mentre negli Stati Uniti è del 25% circa. "Inizialmente i medici statunitensi sostenevano che fosse dovuto al fatto che il loro pazienti in dialisi sono più spesso diabetici di quelli europei, ma anche depurando le casistiche da questo gruppo, la differenza rimane" dice il nefrologo del San Paolo. "Il fatto è che da noi il paziente dializzato è seguito in modo molto più assiduo: si verifica l'adesione alla terapia prescritta, si ha cura di limitare al minimo le perdite di sangue a causa delle sedute di dialisi...". Insomma si cura meglio qui, checché si dica del Servizio Sanitario Nazionale.

Maurizio Imperiali



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