31 ottobre 2007
Aggiornamenti e focus
Una terapia a più taglie
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La parola cancro non è più sinonimo di destino segnato, perché in non pochi casi oggi lo si sconfigge. E la stessa parola non indica una sola malattia anche se dello stesso tipo e allo stesso organo, ma diverse malattie. Questo complica non poco gli schemi di trattamento, che devono essere sempre più su misura per casi specifici. Un esempio tipico di tutta questa complessità è il tumore del seno, contro il quale si sono compiuti enormi progressi terapeutici (insieme alla diagnosi precoce) tradotti in straordinari miglioramenti di sopravvivenza rispetto al passato. Ma molto resta da fare, soprattutto da quando si è profilata l'importanza per il successo terapeutico della differenziazione delle forme in base alla presenza o meno di determinati recettori. Un passo avanti che ha notevolmente aumentato anni liberi da malattia e sopravvivenza è stata la terapia adiuvante, eseguita dopo l'asportazione del tumore: si è visto però che non è altrettanto efficace con le stesse sostanze in tutte le pazienti. Per esempio usando il tamoxifen, modulatore selettivo dei recettori per gli estrogeni, si è migliorata la sopravvivenza a 15 anni del 30% nelle donne positive per quei recettori, ma non in quelle invece negative. Un nuovo tassello viene da uno studio relativo a un altro recettore del quale è emersa più di recente l'importanza per la terapia, e il commento a questa ricerca s'intitola "Guardare indietro verso il futuro". Ecco perché.
Il recettore in questione è l'HER2, per un fattore di crescita epiteliale, che risulta in eccesso o sovraespresso nel 15-20% dei tumori mammari: l'uso di trastuzumab, anticorpo monoclonale anti-HER2, aumenta del 50% circa la sopravvivenza nelle pazienti HER2-positive. In aggiunta ad approcci come questo oppure alla terapia con tamoxifen si ricorre alla chemioterapia adiuvante, che include sostanze che migliorano ulteriormente gli esiti, come doxorubicina, paclitaxel, ciclofosfamide, e della quale beneficiano di più le pazienti estrogeno-negative. Nel 1994 si è avviato un trial di chemioterapia, su 1.500 donne con linfonodi positivi per cancro mammario, per valutare il beneficio dell'aggiunta di cicli di paclitaxel dopo cicli di doxorubicina più ciclofosfamide. Nel 1998 il piccolo ma significativo vantaggio così ottenuto ha dato il via a un marcato aumento dell'uso del paclitaxel, prima della pubblicazione dei risultati nel 2003. Il nuovo studio è un'analisi retrospettiva di quel trial per vedere se il beneficio fosse uguale in tutti i sottogruppi di pazienti, rispetto allo stato HER2. Ebbene, la risposta è no. L'effetto è stato significativo per l'aggiunta di paclitaxel nelle donne HER2-positive, indipendentemente dallo stato dei recettori estrogenici, mentre nelle HER2-negative ed estrogeno-positive, cioè la situazione più frequente, non c'è stato beneficio aggiuntivo. La questione, come riflette l'editoriale, è se sia possibile definire un programma ottimale di chemioterapia adiuvante per le singole pazienti, estrogeno-positive o estrogeno-negative, in modo da massimizzare i benefici e minimizzare la tossicità. Quest'ultima si manifesta nel caso del paclitaxel con reazioni d'ipersensibilità, o neurotossiche o dolori a muscoli e articolazioni temporanei, o intorpidimento e prurito a mani e piedi anche per mesi o anni.
Dall'arruolamento della prima paziente nel trial di partenza sono passati tredici anni, si fa notare, nei quali cambiamenti intercorsi nella pratica clinica possono aver ridimensionato il ruolo del paclitaxel nella chemioterapia adiuvante nelle donne HER2-negative estrogeno-positive. Per esempio, nelle pazienti in post-menopausa l'aggiunta di inibitori dell'aromatasi ha prolungato la sopravvivenza oltre il tamoxifen. Gli autori stessi invitano alla cautela prima di cambiare i protocolli in base alla loro analisi. In ogni caso si può trarre una conclusione più generale: sarebbe molto utile, si sottolinea nel commento, se i ricercatori dei trial più recenti con indicazioni ancora differenti rianalizzassero retrospettivamente i loro risultati rispetto allo stato recettoriale HER2 ed estrogenico. Guardare indietro verso il futuro, appunto. Perché l'epoca della terapia "taglia unica" per il tumore del seno è decisamente al termine.
Elettra Vecchia
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Da valutare i recettori estrogeni ci e HER2
Il recettore in questione è l'HER2, per un fattore di crescita epiteliale, che risulta in eccesso o sovraespresso nel 15-20% dei tumori mammari: l'uso di trastuzumab, anticorpo monoclonale anti-HER2, aumenta del 50% circa la sopravvivenza nelle pazienti HER2-positive. In aggiunta ad approcci come questo oppure alla terapia con tamoxifen si ricorre alla chemioterapia adiuvante, che include sostanze che migliorano ulteriormente gli esiti, come doxorubicina, paclitaxel, ciclofosfamide, e della quale beneficiano di più le pazienti estrogeno-negative. Nel 1994 si è avviato un trial di chemioterapia, su 1.500 donne con linfonodi positivi per cancro mammario, per valutare il beneficio dell'aggiunta di cicli di paclitaxel dopo cicli di doxorubicina più ciclofosfamide. Nel 1998 il piccolo ma significativo vantaggio così ottenuto ha dato il via a un marcato aumento dell'uso del paclitaxel, prima della pubblicazione dei risultati nel 2003. Il nuovo studio è un'analisi retrospettiva di quel trial per vedere se il beneficio fosse uguale in tutti i sottogruppi di pazienti, rispetto allo stato HER2. Ebbene, la risposta è no. L'effetto è stato significativo per l'aggiunta di paclitaxel nelle donne HER2-positive, indipendentemente dallo stato dei recettori estrogenici, mentre nelle HER2-negative ed estrogeno-positive, cioè la situazione più frequente, non c'è stato beneficio aggiuntivo. La questione, come riflette l'editoriale, è se sia possibile definire un programma ottimale di chemioterapia adiuvante per le singole pazienti, estrogeno-positive o estrogeno-negative, in modo da massimizzare i benefici e minimizzare la tossicità. Quest'ultima si manifesta nel caso del paclitaxel con reazioni d'ipersensibilità, o neurotossiche o dolori a muscoli e articolazioni temporanei, o intorpidimento e prurito a mani e piedi anche per mesi o anni.
Utile analisi retrospettiva dei dati
Dall'arruolamento della prima paziente nel trial di partenza sono passati tredici anni, si fa notare, nei quali cambiamenti intercorsi nella pratica clinica possono aver ridimensionato il ruolo del paclitaxel nella chemioterapia adiuvante nelle donne HER2-negative estrogeno-positive. Per esempio, nelle pazienti in post-menopausa l'aggiunta di inibitori dell'aromatasi ha prolungato la sopravvivenza oltre il tamoxifen. Gli autori stessi invitano alla cautela prima di cambiare i protocolli in base alla loro analisi. In ogni caso si può trarre una conclusione più generale: sarebbe molto utile, si sottolinea nel commento, se i ricercatori dei trial più recenti con indicazioni ancora differenti rianalizzassero retrospettivamente i loro risultati rispetto allo stato recettoriale HER2 ed estrogenico. Guardare indietro verso il futuro, appunto. Perché l'epoca della terapia "taglia unica" per il tumore del seno è decisamente al termine.
Elettra Vecchia
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