20 ottobre 2004
Aggiornamenti e focus
Piccoli aspiranti suicidi
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Gli antidepressivi di ultimissima generazione hanno trovato ampio uso in psichiatria per trattare la sintomatologia depressiva e ansiosa. Le molecole in questione hanno un'azione specifica e per questo dette inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). Rispetto a farmaci più datati hanno meno effetti collaterali, sono efficaci già a basso dosaggio, non richiedono il controllo periodico dei livelli che il farmaco raggiunge nel sangue. Tuttavia tutti gli antidepressivi hanno in comune il principio di azione, cioè il controllo dei livelli cerebrali di alcune sostanze, i neurotrasmettitori, in questo caso la serotonina, la cui variazione determina cambiamenti dell'umore. Anche se non senza effetti collaterali, gli SSRI funzionano e bene, ma viene da chiedersi se sempre e comunque.
Come molti altri farmaci, gli SSRI sono stati pensati per un paziente adulto e non esiste formulazione pediatrica, in termini di dosaggio e di principio attivo, ragion per cui per trattare bambini che presentano un quadro clinico depressivo ci sono solo i farmaci che vengono somministrati agli adulti. Quindi usati "off label" cioè per indicazioni terapeutiche non previste dal foglietto illustrativo.
Ma in settembre un comitato della Food and Drug Administration ha promosso l'introduzione di un etichettatura diversa per questi farmaci che allerta sull'aumento del rischio di comportamenti e tendenze suicide nei pazienti pediatrici (suicidalità). Un'iniziativa che non passa certo inosservata, soprattutto alle aziende farmaceutiche interessate. La proposta è nata in seguito a una metanalisi, realizzata dall'FDA, nella quale è stato osservato un incremento quasi doppio (fattore 1,8) della suicidalità, misurata come la combinazione di nuovi tentativi di suicidio, nuove progettazioni di suicido e peggioramento delle progettazioni esistenti.
L'argomento ha interessato tutto il mondo scientifico e gli esperti hanno espresso il proprio parere, ovviamente non sempre concorde, come si evince da due articoli comparsi sulla rivista New England Journal of Medicine.
Secondo una prima opinione il rischio sarebbe quello di non fare nulla, cioè non dare questi farmaci ai bambini per la loro sicurezza ma nel contempo non avere altri strumenti a disposizione per curarli. In effetti l'autore, in questo caso, riconosce la non adeguatezza degli studi fatti in proposito, che a volte danno risultati positivi altre volte negativi. Tuttavia sottolinea l'importanza di un approccio multimodale, che non va escluso anche quando uno studio sulla fluoxetina (un SSRI) dimostra che il suo uso da solo ha un efficacia maggiore della combinazione con una terapia cognitiva sul trattamento della depressione. Combinazione che per altro si dimostrava superiore a qualsiasi altro trattamento nel ridurre l'intensità di pensieri suicidi. Insomma secondo l'autore il rischio c'è ma è piccolo.
Troppi interrogativi senza risposta
Di parere più drastico si dimostra un pediatra generalista ed epidemiologo, assolutamente a favore della nuova etichettatura. Sottolineando il raddoppio della suicidalità tra i bambini assegnati a ricevere gli antidepressivi rispetto al gruppo placebo. Che, secondo l'autore si traduce in un caso su 20 mila. E, per quanto anche egli giudichi inadeguati gli studi fatti, ritiene i dati di efficacia molto meno convincenti delle evidenze dei danni provocati. E soprattutto rimanevano insolute parecchie domande come, per esempio, in che modo calcolare l'aumento di rischio di suicidalità nel tempo. Perché se è vero che raddoppia dal 2,5% al 5% nello studio durato due o tre mesi, come cambia il rischio in un anno? E il rapporto rischio beneficio migliora? Inoltre non sono state individuate classi di età più esposte e viene quindi da domandarsi, provocatoriamente, se al diciottesimo anno di età improvvisamente decadono tutti i rischi. Quesiti tuttora non risolti, quello che invece si sa è che nessuno farmaco psicotropo è esente da potenziali effetti negativi e l'entità e la natura di tali effetti andrebbero discusse con il paziente e la famiglia, perché la scelta del trattamento sia quanto meno informata.
Simona Zazzetta
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Non depressi ma suicidi
Come molti altri farmaci, gli SSRI sono stati pensati per un paziente adulto e non esiste formulazione pediatrica, in termini di dosaggio e di principio attivo, ragion per cui per trattare bambini che presentano un quadro clinico depressivo ci sono solo i farmaci che vengono somministrati agli adulti. Quindi usati "off label" cioè per indicazioni terapeutiche non previste dal foglietto illustrativo.
Ma in settembre un comitato della Food and Drug Administration ha promosso l'introduzione di un etichettatura diversa per questi farmaci che allerta sull'aumento del rischio di comportamenti e tendenze suicide nei pazienti pediatrici (suicidalità). Un'iniziativa che non passa certo inosservata, soprattutto alle aziende farmaceutiche interessate. La proposta è nata in seguito a una metanalisi, realizzata dall'FDA, nella quale è stato osservato un incremento quasi doppio (fattore 1,8) della suicidalità, misurata come la combinazione di nuovi tentativi di suicidio, nuove progettazioni di suicido e peggioramento delle progettazioni esistenti.
L'argomento ha interessato tutto il mondo scientifico e gli esperti hanno espresso il proprio parere, ovviamente non sempre concorde, come si evince da due articoli comparsi sulla rivista New England Journal of Medicine.
Il rischio è il nulla
Secondo una prima opinione il rischio sarebbe quello di non fare nulla, cioè non dare questi farmaci ai bambini per la loro sicurezza ma nel contempo non avere altri strumenti a disposizione per curarli. In effetti l'autore, in questo caso, riconosce la non adeguatezza degli studi fatti in proposito, che a volte danno risultati positivi altre volte negativi. Tuttavia sottolinea l'importanza di un approccio multimodale, che non va escluso anche quando uno studio sulla fluoxetina (un SSRI) dimostra che il suo uso da solo ha un efficacia maggiore della combinazione con una terapia cognitiva sul trattamento della depressione. Combinazione che per altro si dimostrava superiore a qualsiasi altro trattamento nel ridurre l'intensità di pensieri suicidi. Insomma secondo l'autore il rischio c'è ma è piccolo.
Troppi interrogativi senza risposta
Di parere più drastico si dimostra un pediatra generalista ed epidemiologo, assolutamente a favore della nuova etichettatura. Sottolineando il raddoppio della suicidalità tra i bambini assegnati a ricevere gli antidepressivi rispetto al gruppo placebo. Che, secondo l'autore si traduce in un caso su 20 mila. E, per quanto anche egli giudichi inadeguati gli studi fatti, ritiene i dati di efficacia molto meno convincenti delle evidenze dei danni provocati. E soprattutto rimanevano insolute parecchie domande come, per esempio, in che modo calcolare l'aumento di rischio di suicidalità nel tempo. Perché se è vero che raddoppia dal 2,5% al 5% nello studio durato due o tre mesi, come cambia il rischio in un anno? E il rapporto rischio beneficio migliora? Inoltre non sono state individuate classi di età più esposte e viene quindi da domandarsi, provocatoriamente, se al diciottesimo anno di età improvvisamente decadono tutti i rischi. Quesiti tuttora non risolti, quello che invece si sa è che nessuno farmaco psicotropo è esente da potenziali effetti negativi e l'entità e la natura di tali effetti andrebbero discusse con il paziente e la famiglia, perché la scelta del trattamento sia quanto meno informata.
Simona Zazzetta
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