19 novembre 2004
Aggiornamenti e focus
Doppia terapia per un orecchio sano
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Circa il 70% dei bambini (il 90% entro i primi tre anni di età) ha sofferto almeno una volta di un episodio di otite media acuta. E' un'infezione della cavità dell'orecchio medio provocata da virus o batteri, che penetrano nella zona attraverso una lesione del timpano o dalle trombe di Eustachio. I sintomi, oltre al dolore pungente che disturba il sonno, sono senso di occlusione, aumento della temperatura e riduzione della capacità uditiva. Se gli agenti patogeni sono batteri, si forma anche del pus, che può premere dolorosamente contro il timpano, provocandone, in alcuni casi, la rottura.
Lo Streptococcus pneumoniae e l'Haemophilus influenzae sono i batteri che scatenano questo tipo di affezione; per contrastare la loro diffusione e aggressività sono state adottate due strategie diverse. La prima, lanciata nel 1998 dai Centers for Disease Control and Prevention, raccomandava l'uso di amoxicillina a dosaggio elevato. In questo modo la concentrazione dell'antibiotico nel fluido dell'orecchio medio raggiungeva livelli tali da riuscire a eradicare gli pneumococci suscettibili e non alla penicillina. Due anni più tardi, nel 2000, è stato introdotto universalmente il vaccino pneumococcico coniugato allestito con sette sierotipi batterici.
Con un recente studio, condotto in modo prospettico su un arco di tempo di nove anni, si è voluto verificare in che modo i patogeni responsabili della malattia avevano modificato la frequenza e la distribuzione nella popolazione infantile.
Sono stati selezionati 551 bambini che dopo uno o due cicli di trattamento antibiotico soffrivano ancora di otite acute media, definita quindi resistente; 195 di questi, che, anche dopo un terapia di 48 ore stavano ancora male venivano sottoposti alla timpanocentesi per prelevare l'essudato auricolare.
I nove anni di dati sono stati suddivisi in tre periodi di tempo proprio per distinguere la fase precedente l'introduzione delle linee guida sull'amoxicillina (1995-97), quella successiva alle linee guida (1998-2000) e, infine, quella successiva all'introduzione del vaccino (2000-2003). In ogni periodo vennero fatte circa 1200 visite con una percentuale di casi che praticamente restava immutata nelle prime due vasi (16,2 e 16% rispettivamente) mentre nel terzo periodo calava al 12,3%. Il decremento del 24% della percentuale dei casi era statisticamente significativo e quindi sufficiente a stabilire la validità della strategia terapeutica con vaccino coniugato e amoxicillina a dosi elevate. Non solo. Dall'esame dell'essudato timpanico è emersa una predominanza dell'H. influenzae a discapito dello S. pneumoniae, che più spesso aveva manifestato fenomeni di resistenza alla penicillina, e, in particolare, un declino proprio di quei ceppi streptococcici non suscettibili alla penicillina.
Gli autori si interrogano sul perché tale risultato non si sia ottenuto già nel triennio di introduzione della terapia a dosaggio elevato di amoxicillina, periodo in cui non ci sono state variazioni rispetto ai tre anni precedenti. Si dichiarano propensi a ipotizzare che sia stata la somministrazione del vaccino pneumococcico coniugato a fare la differenza.
Simona Zazzetta
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Due ceppi per una malattia
Lo Streptococcus pneumoniae e l'Haemophilus influenzae sono i batteri che scatenano questo tipo di affezione; per contrastare la loro diffusione e aggressività sono state adottate due strategie diverse. La prima, lanciata nel 1998 dai Centers for Disease Control and Prevention, raccomandava l'uso di amoxicillina a dosaggio elevato. In questo modo la concentrazione dell'antibiotico nel fluido dell'orecchio medio raggiungeva livelli tali da riuscire a eradicare gli pneumococci suscettibili e non alla penicillina. Due anni più tardi, nel 2000, è stato introdotto universalmente il vaccino pneumococcico coniugato allestito con sette sierotipi batterici.
Con un recente studio, condotto in modo prospettico su un arco di tempo di nove anni, si è voluto verificare in che modo i patogeni responsabili della malattia avevano modificato la frequenza e la distribuzione nella popolazione infantile.
Sono stati selezionati 551 bambini che dopo uno o due cicli di trattamento antibiotico soffrivano ancora di otite acute media, definita quindi resistente; 195 di questi, che, anche dopo un terapia di 48 ore stavano ancora male venivano sottoposti alla timpanocentesi per prelevare l'essudato auricolare.
Meno casi e meno resistenza
I nove anni di dati sono stati suddivisi in tre periodi di tempo proprio per distinguere la fase precedente l'introduzione delle linee guida sull'amoxicillina (1995-97), quella successiva alle linee guida (1998-2000) e, infine, quella successiva all'introduzione del vaccino (2000-2003). In ogni periodo vennero fatte circa 1200 visite con una percentuale di casi che praticamente restava immutata nelle prime due vasi (16,2 e 16% rispettivamente) mentre nel terzo periodo calava al 12,3%. Il decremento del 24% della percentuale dei casi era statisticamente significativo e quindi sufficiente a stabilire la validità della strategia terapeutica con vaccino coniugato e amoxicillina a dosi elevate. Non solo. Dall'esame dell'essudato timpanico è emersa una predominanza dell'H. influenzae a discapito dello S. pneumoniae, che più spesso aveva manifestato fenomeni di resistenza alla penicillina, e, in particolare, un declino proprio di quei ceppi streptococcici non suscettibili alla penicillina.
Gli autori si interrogano sul perché tale risultato non si sia ottenuto già nel triennio di introduzione della terapia a dosaggio elevato di amoxicillina, periodo in cui non ci sono state variazioni rispetto ai tre anni precedenti. Si dichiarano propensi a ipotizzare che sia stata la somministrazione del vaccino pneumococcico coniugato a fare la differenza.
Simona Zazzetta
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