15 luglio 2005
Aggiornamenti e focus
Il video che cattura la mente
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Che a star davanti a star davanti alla televisione si perde tempo, è una cantilena che tutti i bambini, ragazzi e adolescenti si sono sentiti ripetere un sacco di volte, se ci credessero o no poco importa ora, perché arriva uno studio dalla Nuova Zelanda che lo conferma. I ricercatori, più che sul tempo libero, hanno posto l'attenzione sul rendimento scolastico ed educativo considerando il mezzo di comunicazione sotto due aspetti. In effetti la televisione è un'efficace forma di comunicazione con le potenzialità per introdurre i bambini a molteplici nuove esperienze e idee che in altro modo non sarebbero accessibili. Tuttavia, il problema resta la qualità: i contenuti dei programmi televisivi per bambini sono di puro divertimento e di basso profilo educativo e sottraggono tempo ad altre attività educative come letture, compiti scolastici e giochi creativi.
La ricerca neozelandese si è limitata all'epidemiologia del fenomeno, valutando solo in fase di commento le possibili motivazioni dell'associazione tra quantità di tempo dedicato alla televisione e rendimento scolastico-educativo. Il parametro scelto per verificare il rendimento era il titolo di studio ottenuto a 26 anni, il punteggio più alto era considerato il diploma di scuola superiore o di grado più alto. E' stata selezionata una coorte di nati tra il 1972 e il 1973: di più di mille soggetti che sono stati invitati a una prima verifica all'età di tre anni, con appuntamenti successivi all'età di 5, 7, 9, 11, 13, 15, 18, 21 e 26 anni. Chiaramente fino agli 11 anni erano i genitori che rispondevano alle domande, riportando il comportamento dei figli nei confronti della televisione; in questa prima fascia di età il numero di ore passava da circa due tra i cinque e gli 11 anni a più di tre, tra 13 e 15 anni. Già in questa prima fase, l'aumentato numero di ore passate a guardare la televisione era associata a una maggiore possibilità di non ottenere a 26 anni una qualificazione formale e una minore probabilità di arrivare al titolo universitario. Sono state considerate altre variabili come il quoziente intellettivo e lo stato socioeconomico che, laddove erano più alti, si associavano a risultati scolastici migliori. Inoltre l'abitudine a guardare la televisione tra i cinque e i 15 anni era associata a una condizione economica e un quoziente intellettivo più bassi e a comportamenti iperattivi e antisociali all'età di cinque anni. Tuttavia l'analisi dimostrava che gli effetti della televisione sugli esiti scolastici erano indipendenti da questi altri fattori. Gli stessi autori non erano in grado di affermare con certezza che esistesse una relazione causale e nemmeno dedurne un'associazione inversa, vale a dire che i ragazzi che non avevano voglia di studiare spendevano il proprio tempo a guardare la televisione. Una scarsa motivazione allo studio e a svolgere i compiti a casa li spingeva a usare la televisione come riempitivo dei pomeriggi passati in casa. Ma questa possibilità non era abbastanza forte da considerarsi una spiegazione plausibile del mancato raggiungimento della laurea. Rimaneva quindi più convincente la versione secondo la quale era la televisione a sottrarre tempo ad altre attività educative. Per spiegare quest'associazione sarebbe stato utile avere informazioni sulla qualità dei programmi guardati. Nel frattempo perché non dare retta al buon senso dei genitori?
Simona Zazzetta
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Un dato "epidemiologico"
La ricerca neozelandese si è limitata all'epidemiologia del fenomeno, valutando solo in fase di commento le possibili motivazioni dell'associazione tra quantità di tempo dedicato alla televisione e rendimento scolastico-educativo. Il parametro scelto per verificare il rendimento era il titolo di studio ottenuto a 26 anni, il punteggio più alto era considerato il diploma di scuola superiore o di grado più alto. E' stata selezionata una coorte di nati tra il 1972 e il 1973: di più di mille soggetti che sono stati invitati a una prima verifica all'età di tre anni, con appuntamenti successivi all'età di 5, 7, 9, 11, 13, 15, 18, 21 e 26 anni. Chiaramente fino agli 11 anni erano i genitori che rispondevano alle domande, riportando il comportamento dei figli nei confronti della televisione; in questa prima fascia di età il numero di ore passava da circa due tra i cinque e gli 11 anni a più di tre, tra 13 e 15 anni. Già in questa prima fase, l'aumentato numero di ore passate a guardare la televisione era associata a una maggiore possibilità di non ottenere a 26 anni una qualificazione formale e una minore probabilità di arrivare al titolo universitario. Sono state considerate altre variabili come il quoziente intellettivo e lo stato socioeconomico che, laddove erano più alti, si associavano a risultati scolastici migliori. Inoltre l'abitudine a guardare la televisione tra i cinque e i 15 anni era associata a una condizione economica e un quoziente intellettivo più bassi e a comportamenti iperattivi e antisociali all'età di cinque anni. Tuttavia l'analisi dimostrava che gli effetti della televisione sugli esiti scolastici erano indipendenti da questi altri fattori. Gli stessi autori non erano in grado di affermare con certezza che esistesse una relazione causale e nemmeno dedurne un'associazione inversa, vale a dire che i ragazzi che non avevano voglia di studiare spendevano il proprio tempo a guardare la televisione. Una scarsa motivazione allo studio e a svolgere i compiti a casa li spingeva a usare la televisione come riempitivo dei pomeriggi passati in casa. Ma questa possibilità non era abbastanza forte da considerarsi una spiegazione plausibile del mancato raggiungimento della laurea. Rimaneva quindi più convincente la versione secondo la quale era la televisione a sottrarre tempo ad altre attività educative. Per spiegare quest'associazione sarebbe stato utile avere informazioni sulla qualità dei programmi guardati. Nel frattempo perché non dare retta al buon senso dei genitori?
Simona Zazzetta
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