24 marzo 2004
Aggiornamenti e focus
Bimbi depressi e disattenti
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Se già non è semplice diagnosticare e trattare la depressione negli adulti, figurarsi nei bambini e negli adolescenti. E non soltanto per l'intrinseca complessità del paziente pediatrico, ma anche per la scarsità di studi dedicati a questo tema. In pratica, spesso si cura il bambino per analogia con l'adulto. Senza contare, poi, che anche quando si è di fronte a disturbi e a malattie più tipicamente infantili come il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (in inglese ADHD) c'è la tendenza a largheggiare con le diagnosi e i trattamenti farmacologici.
Secondo una comunicazione del Laboratorio per la Salute Materna e Infantile dell'Istituto di Ricerche Framacologiche Mario Negri di Milano, in Italia si somministrano ai bambini, con frequenza allarmante, farmaci antidepressivi che non hanno questa indicazione. Secondo i dati del sistema ARNO, nell'anno 2002 ogni 1000 persone sotto i 18 anni, 2,8 hanno assunto antidepressivi, in larga maggioranza inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI). Si è lontani, concedono i ricercatori milanesi, dai dati degli Stati Uniti (1-2% della popolazione in questa fascia di età) e anche dell'Olanda (4,4 ogni mille). Si tratta comunque di una platea di 28000 giovani, e non è poi così poco se si pensa che nella più disinibita Gran Bretagna sono 40000. Ma quel che conta ancora di più è la tendenza, infatti, per quanto riguarda gli SSRI l'impiego pediatrico è aumentato di 4,5 volte tra il 2000 e il 2002. Il tutto, ricorda la comunicazione, senza che si sia mai dimostrata adeguatamente l'efficacia e la tollerabilità di queste sostanze nei bambini. L'allarme non è solo del Negri di Milano, comunque. Alla fine del 2003, l'ente britannico che si occupa della sicurezza dei farmaci, ha emanato una comunicazione ufficiale in cui si esorta a non trattare i più giovani con un buon numero di antidepressivi serotoninergici perché sono in grado di aumentare le tendenze suicide e gli atti di autolesionismo. Le molecole da scartare sarebbero tre (sertralina, citalopram, ed escitalopram), per una non vi sono dati sufficienti a consigliarne l'utilizzo (fluvoxamina). Per analogia, sempre in Gran Bretagna, si sconsiglia il ricorso alla venlafaxina e alla paroxetina che, per inciso, è il farmaco più spesso prescritto ai giovani e giovanissimi in Italia. Insomma cautela, perché una sola molecola, quanto meno sulla base delle autorizzazioni statunitensi, ha un'indicazione negli under 18: la fluoxetina. La più anziana.
Discorso diverso per l'ADHD. Qui le diagnosi sono fatte soprattutto su adolescenti e bambini in età scolare (dall'1 al 4% di questa popolazione). Vi è anche, negli Stati Uniti, un farmaco d'elezione: il metilfenidato apparso in grande stile anche in una puntata di ER. Il metilfenidato è stato oggetto, in Italia, di parecchie polemiche, in quanto si lamentava la sua indisponibilità sul territorio nazionale, con tanto di recriminazioni sul fatto che si "poteva" aveva la risorsa dell'acquisto in Svizzera. Ora sul farmaco si registra una novità: il Ministero della Salute ne ha approvato l'impiego e la rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario (vulgo: "lo passa la mutua"), fatti salvi alcuni punti che derivano direttamente da quanto emerso da una consensus conference tenuta a Cagliari giusto un anno fa, organizzata dal Dipartimento di Neuroscienze-Clinica di Neuropsichiatria Infantile dell'Università del capoluogo sardo e dal Laboratorio del Mario Negri. In pratica si dice che:
E intanto
Se un farmaco arriva, dunque, altri dovrebbero andarsene, gli antidepressivi "bocciati" in Gran Bretagna. Secondo un recentissimo editoriale del British Medical Journal, però, non è il caso di interrompere di colpo i trattamenti in atto: la somministrazione va ridotta gradualmente, per evitare che possano ripresentarsi i sintomi depressivi. D'altra parte, l'autore fa notare che soltanto un bambino su 10 è probabile abbia bisogno effettivamente dell'unica molecola passata indenne attraverso le maglie della sanità britannica. Il che non toglie che sarebbe ora venissero condotti studi controllati anche sulla popolazione pediatrica, visto che aspettare le segnalazioni successive all'impiego non è certo il modo migliore per trarre indicazioni valide.
Maurizio Imperiali
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Antidepressivi da usare con giudizio
Secondo una comunicazione del Laboratorio per la Salute Materna e Infantile dell'Istituto di Ricerche Framacologiche Mario Negri di Milano, in Italia si somministrano ai bambini, con frequenza allarmante, farmaci antidepressivi che non hanno questa indicazione. Secondo i dati del sistema ARNO, nell'anno 2002 ogni 1000 persone sotto i 18 anni, 2,8 hanno assunto antidepressivi, in larga maggioranza inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI). Si è lontani, concedono i ricercatori milanesi, dai dati degli Stati Uniti (1-2% della popolazione in questa fascia di età) e anche dell'Olanda (4,4 ogni mille). Si tratta comunque di una platea di 28000 giovani, e non è poi così poco se si pensa che nella più disinibita Gran Bretagna sono 40000. Ma quel che conta ancora di più è la tendenza, infatti, per quanto riguarda gli SSRI l'impiego pediatrico è aumentato di 4,5 volte tra il 2000 e il 2002. Il tutto, ricorda la comunicazione, senza che si sia mai dimostrata adeguatamente l'efficacia e la tollerabilità di queste sostanze nei bambini. L'allarme non è solo del Negri di Milano, comunque. Alla fine del 2003, l'ente britannico che si occupa della sicurezza dei farmaci, ha emanato una comunicazione ufficiale in cui si esorta a non trattare i più giovani con un buon numero di antidepressivi serotoninergici perché sono in grado di aumentare le tendenze suicide e gli atti di autolesionismo. Le molecole da scartare sarebbero tre (sertralina, citalopram, ed escitalopram), per una non vi sono dati sufficienti a consigliarne l'utilizzo (fluvoxamina). Per analogia, sempre in Gran Bretagna, si sconsiglia il ricorso alla venlafaxina e alla paroxetina che, per inciso, è il farmaco più spesso prescritto ai giovani e giovanissimi in Italia. Insomma cautela, perché una sola molecola, quanto meno sulla base delle autorizzazioni statunitensi, ha un'indicazione negli under 18: la fluoxetina. La più anziana.
Dall'umor nero alla disattenzione
Discorso diverso per l'ADHD. Qui le diagnosi sono fatte soprattutto su adolescenti e bambini in età scolare (dall'1 al 4% di questa popolazione). Vi è anche, negli Stati Uniti, un farmaco d'elezione: il metilfenidato apparso in grande stile anche in una puntata di ER. Il metilfenidato è stato oggetto, in Italia, di parecchie polemiche, in quanto si lamentava la sua indisponibilità sul territorio nazionale, con tanto di recriminazioni sul fatto che si "poteva" aveva la risorsa dell'acquisto in Svizzera. Ora sul farmaco si registra una novità: il Ministero della Salute ne ha approvato l'impiego e la rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario (vulgo: "lo passa la mutua"), fatti salvi alcuni punti che derivano direttamente da quanto emerso da una consensus conference tenuta a Cagliari giusto un anno fa, organizzata dal Dipartimento di Neuroscienze-Clinica di Neuropsichiatria Infantile dell'Università del capoluogo sardo e dal Laboratorio del Mario Negri. In pratica si dice che:
- la diagnosi di ADHD, e degli altri disturbi con sintomi simili, deve essere effettuata da operatori della salute mentale dell'età evolutiva e deve coinvolgere, sempre e sin dall'inizio, oltre al bambino, i suoi genitori, gli insegnanti e il pediatra di famiglia
- il programma di trattamento deve prevedere consigli e supporto per i genitori e gli insegnanti, oltre a interventi psicologici specifici. La terapia con farmaci dovrebbe essere intrapresa solo se indicata da un neuropsichiatra infantile, in accordo con le evidenze riconosciute dalla comunità internazionale. Il neuropsichiatra infantile deve anche coordinare e monitorare con gli altri operatori e la famiglia il percorso assistenziale del bambino
- occorre predisporre un piano nazionale (con un'articolazione a livello regionale) specifico riguardo a questa patologia, per una diagnosi che valuti in modo accurato il disturbo e per fornire un'assistenza adeguata al bambino malato e alla sua famiglia
E intanto
Se un farmaco arriva, dunque, altri dovrebbero andarsene, gli antidepressivi "bocciati" in Gran Bretagna. Secondo un recentissimo editoriale del British Medical Journal, però, non è il caso di interrompere di colpo i trattamenti in atto: la somministrazione va ridotta gradualmente, per evitare che possano ripresentarsi i sintomi depressivi. D'altra parte, l'autore fa notare che soltanto un bambino su 10 è probabile abbia bisogno effettivamente dell'unica molecola passata indenne attraverso le maglie della sanità britannica. Il che non toglie che sarebbe ora venissero condotti studi controllati anche sulla popolazione pediatrica, visto che aspettare le segnalazioni successive all'impiego non è certo il modo migliore per trarre indicazioni valide.
Maurizio Imperiali
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