20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus
I rischi dell'attività fisica
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Per carità, lo scopo non è parlare male dell'attività fisica o dello sport. Ci mancherebbe: sono trent'anni che vanno accumulandosi gli studi che ne illustrano i benefici e, comunque, l'effetto positivo del moto è un'acquisizione che precede di gran lunga la nascita dei trial clinici.
Tuttavia non esiste un'attività (non esiste nulla) che sia solo benefica. In questo caso alcuni "pericoli" sono ben definiti da tempo: da una parte i traumi dell'apparato muscolo-scheletrico e dall'altra la cosiddetta morte improvvisa, cioè l'infarto. C'è però un rischio, insito nel "fare movimento" in città, relativamente meno considerato, ovvero i danni dovuti all'inquinamento, soprattutto quello da traffico. Meglio cominciare da qui.
La prima e più facile prescrizione "ginnica" è riprendere a camminare o, meglio ancora, a correre. Ma dove? E' chiaro che per praticità viali e parchi cittadini sono la scelta più frequente. Peccato che nelle metropoli l'aria che si respira non sia soltanto aria. Lo ha ricordato recentemente anche uno studio italiano, condotto dal Dipartimento di Scienze della Salute dell'Università di Genova. I ricercatori hanno esaminato un gruppo di adepti del jogging che sia llena in città, valutando i livelli di idrossiprolina nelle urine, una sostanza che esprime il danno esercitato da quello che è attualmente il principale inquinante da traffico: il biossido d'azoto. Questo gas ha svariati effetti e, in particolare, quello di danneggiare e irritare direttamente il tessuto polmonare, oltre ad abbassarne le difese immunitarie, minando la naturale resistenza alle infezioni respiratorie.
I risultati del test sono stati confrontati con quelli condotti su un gruppo di corridori che invece si allenava in campagna. Come era lecito aspettarsi, nei joggers urbani l'idrossiprolina urinaria era significativamente più elevata e, di conseguenza, il danno. "La ricerca si è occupata di persone che si allenano intensamente, non corridori professionisti ma poco meno" spiega il professor Paolo Orlando, ordinario di Programmazione e organizzazione sanitaria dell'Università di Genova e uno degli autori della ricerca. "In queste persone il contatto tra il tessuto polmonare e gli inquinanti è fino a cento volte superiore a quello di una persona che sui muova normalmente nel traffico". Particolare interessante, anche gli impianti sportivi cittadini (arene, campi sportivi) non vanno esenti dall'inquinamento e di questo dovrebbero tenere conto le amministrazioni cittadine, magari dotando gli impianti di barriere quali zone alberate, oppure prevedendole in aree di scarso traffico. L'NO2, peraltro, non è l'unico inquinante cittadino, il piombo è diminuito (del 50%) ma c'è ancora, poi soprattutto d'estate va considerato l'ozono, che ha la capacità di scatenare le allergie respiratorie e altri ancora (il particolato emesso dai motori diesel, per esempio). La lezione da trarre è semplice: correre fa bene, ma meglio nel posto giusto.
La cosiddetta morte improvvisa è un evento non frequentissimo, ma che comunque non si può escludere, e che colpisce soprattutto i maschi fino a 35 anni di età. In linea di massima spingere l'organismo ai suoi limiti, soprattutto senza gradualità, può scatenare un'ischemia (ridotto afflusso di sangue al cuore) e di lì un infarto. In pratica può rendere manifesti dei piccoli guasti (per usare un termine medico si "slatentizzano") che in condizioni normali non si sarebbero mai rivelati. Per questo è fondamentale sottoporsi a una visita medico sportiva quando si decide di andare in palestra e, soprattutto, quando si decide di fare sul serio. Tuttavia si parla di morte improvvisa proprio perché si presenta in persone che non hanno i chiari segni di una cardiopatia. In questo caso la guida fondamentale sono i precedenti famigliari: se c'è stato qualche infarto, soprattutto in giovane età, tra i consanguinei, vale la pena di fare qualche indagine in più (al limite anche l'angiografia). L'eventuale individuazione di anomalie, peraltro, non è detto che comporti la cessazione dell'attività: basta calibrare lo sforzo alle reali condizioni della persona. Anche in questo caso, c'è peraltro una conclusione di fondo: non si deve mai sottovalutare la fatica, tantomeno cercare di sopprimerla (non bisogna pensare a "bombe" esoteriche: anche esagerare con la caffeina funge da doping) è un chiaro segnale che si è raggiunto il limite e che, quindi, occorre fermarsi. Anche senza strafare, se la stoffa c'è, il limite si sposta ogni volta di più.
Botte da orbi
I traumi sono certamente l'inconveniente più frequente in chi fa sport, a tutte le età. Basti pensare che negli Stati Uniti, e nei bambini e negli adolescenti (di solito meno delicati di adulti e anziani), il 35% di tutti gli incidenti è dovuto ad attività sportive e ricreative. Il che significa 4.379.000 lesioni l'anno, di cui 1.363.000 gravi (da frattura in su), nella fascia di età compresa tra 5 e 17 anni.
Per quanto riguarda distorsioni, lussazioni eccetera i punti più colpiti sono ginocchia e caviglie un po in tutti gli sport, ma in particolare nella corsa, nello sci, negli sport di contatto e combattimento. Non ci sono però soltanto questi incidenti "acuti". Sono sempre più diffusi i disturbi dovuti a microtraumi ripetuti, soprattutto a carico di tendini e legamenti. Un po come accade per alcuni disturbi occupazionali (cioè dovuti al lavoro), la costante ripetizione di un certo gesto che provoca una sollecitazione "al limite" di un organo conduce all'accumulo di questi mini danni che, alla fine, si traducono o in una lesione vera e propria o a uno stato infiammatorio che impedisce l'esecuzione di quel particolare movimento (o di altri). Perché capita soprattutto coi tendini è presto detto. Queste strutture non hanno una capacità di rigenerazione pari a quella , per esempio, della cute, così come non hanno la capacità di accrescimento e irrobustimento del muscolo. Spesso, dunque, alla ripetizione si associa il fatto che muscoli sviluppati esercitano una sollecitazione maggiore su strutture (i tendini appunto) che non si sono rafforzate di pari passo. Come montare il motore di una Formula 1 su di un'utilitaria. Per questo gli incidenti, di tutti i tipi, aumentano paradossalmente con l'aumentare dell'abilità, quindi del carico di lavoro e delle ore di allenamento.
Anche le articolazioni in sé risentono di un eccesso di attività, tanto che qualche studio ha portato l'attività fisica come uno dei possibili fattori che determinano l'artrosi. Secondo uno studio retrospettivo pubblicato l'anno scorso, negli uomini di età inferiore a 50 anni che hanno un'intensa attività fisica (correre per più di 30 chilometri la settimana, per esempio) comporta un rischio superiore per questa malattia.
Evitare questo genere di inconvenienti non è difficile, però. Intanto è bene orientarsi su attività armoniche, che non costringano a ripetere sempre gli stessi movimenti e, comunque, variare l'allenamento senza intestardirsi (Karate Kid è un film, anche se ben fatto, non un manuale di arti marziali). Poi, anche se può semrare superfluo, non riprendere mai gli allenamenti dopo una distorsione o una semplice tendinite (infiammazione) se non si è guariti completamente: nuove lesioni sono più facili se non si è ristabiliti al 100%. Senza contare il rischio che i disturbi divengano cronici.
Maurizio Imperiali
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Tuttavia non esiste un'attività (non esiste nulla) che sia solo benefica. In questo caso alcuni "pericoli" sono ben definiti da tempo: da una parte i traumi dell'apparato muscolo-scheletrico e dall'altra la cosiddetta morte improvvisa, cioè l'infarto. C'è però un rischio, insito nel "fare movimento" in città, relativamente meno considerato, ovvero i danni dovuti all'inquinamento, soprattutto quello da traffico. Meglio cominciare da qui.
Jogging sulla circonvallazione
La prima e più facile prescrizione "ginnica" è riprendere a camminare o, meglio ancora, a correre. Ma dove? E' chiaro che per praticità viali e parchi cittadini sono la scelta più frequente. Peccato che nelle metropoli l'aria che si respira non sia soltanto aria. Lo ha ricordato recentemente anche uno studio italiano, condotto dal Dipartimento di Scienze della Salute dell'Università di Genova. I ricercatori hanno esaminato un gruppo di adepti del jogging che sia llena in città, valutando i livelli di idrossiprolina nelle urine, una sostanza che esprime il danno esercitato da quello che è attualmente il principale inquinante da traffico: il biossido d'azoto. Questo gas ha svariati effetti e, in particolare, quello di danneggiare e irritare direttamente il tessuto polmonare, oltre ad abbassarne le difese immunitarie, minando la naturale resistenza alle infezioni respiratorie.
I risultati del test sono stati confrontati con quelli condotti su un gruppo di corridori che invece si allenava in campagna. Come era lecito aspettarsi, nei joggers urbani l'idrossiprolina urinaria era significativamente più elevata e, di conseguenza, il danno. "La ricerca si è occupata di persone che si allenano intensamente, non corridori professionisti ma poco meno" spiega il professor Paolo Orlando, ordinario di Programmazione e organizzazione sanitaria dell'Università di Genova e uno degli autori della ricerca. "In queste persone il contatto tra il tessuto polmonare e gli inquinanti è fino a cento volte superiore a quello di una persona che sui muova normalmente nel traffico". Particolare interessante, anche gli impianti sportivi cittadini (arene, campi sportivi) non vanno esenti dall'inquinamento e di questo dovrebbero tenere conto le amministrazioni cittadine, magari dotando gli impianti di barriere quali zone alberate, oppure prevedendole in aree di scarso traffico. L'NO2, peraltro, non è l'unico inquinante cittadino, il piombo è diminuito (del 50%) ma c'è ancora, poi soprattutto d'estate va considerato l'ozono, che ha la capacità di scatenare le allergie respiratorie e altri ancora (il particolato emesso dai motori diesel, per esempio). La lezione da trarre è semplice: correre fa bene, ma meglio nel posto giusto.
All'improvviso il cuore cede
La cosiddetta morte improvvisa è un evento non frequentissimo, ma che comunque non si può escludere, e che colpisce soprattutto i maschi fino a 35 anni di età. In linea di massima spingere l'organismo ai suoi limiti, soprattutto senza gradualità, può scatenare un'ischemia (ridotto afflusso di sangue al cuore) e di lì un infarto. In pratica può rendere manifesti dei piccoli guasti (per usare un termine medico si "slatentizzano") che in condizioni normali non si sarebbero mai rivelati. Per questo è fondamentale sottoporsi a una visita medico sportiva quando si decide di andare in palestra e, soprattutto, quando si decide di fare sul serio. Tuttavia si parla di morte improvvisa proprio perché si presenta in persone che non hanno i chiari segni di una cardiopatia. In questo caso la guida fondamentale sono i precedenti famigliari: se c'è stato qualche infarto, soprattutto in giovane età, tra i consanguinei, vale la pena di fare qualche indagine in più (al limite anche l'angiografia). L'eventuale individuazione di anomalie, peraltro, non è detto che comporti la cessazione dell'attività: basta calibrare lo sforzo alle reali condizioni della persona. Anche in questo caso, c'è peraltro una conclusione di fondo: non si deve mai sottovalutare la fatica, tantomeno cercare di sopprimerla (non bisogna pensare a "bombe" esoteriche: anche esagerare con la caffeina funge da doping) è un chiaro segnale che si è raggiunto il limite e che, quindi, occorre fermarsi. Anche senza strafare, se la stoffa c'è, il limite si sposta ogni volta di più.
Botte da orbi
I traumi sono certamente l'inconveniente più frequente in chi fa sport, a tutte le età. Basti pensare che negli Stati Uniti, e nei bambini e negli adolescenti (di solito meno delicati di adulti e anziani), il 35% di tutti gli incidenti è dovuto ad attività sportive e ricreative. Il che significa 4.379.000 lesioni l'anno, di cui 1.363.000 gravi (da frattura in su), nella fascia di età compresa tra 5 e 17 anni.
Per quanto riguarda distorsioni, lussazioni eccetera i punti più colpiti sono ginocchia e caviglie un po in tutti gli sport, ma in particolare nella corsa, nello sci, negli sport di contatto e combattimento. Non ci sono però soltanto questi incidenti "acuti". Sono sempre più diffusi i disturbi dovuti a microtraumi ripetuti, soprattutto a carico di tendini e legamenti. Un po come accade per alcuni disturbi occupazionali (cioè dovuti al lavoro), la costante ripetizione di un certo gesto che provoca una sollecitazione "al limite" di un organo conduce all'accumulo di questi mini danni che, alla fine, si traducono o in una lesione vera e propria o a uno stato infiammatorio che impedisce l'esecuzione di quel particolare movimento (o di altri). Perché capita soprattutto coi tendini è presto detto. Queste strutture non hanno una capacità di rigenerazione pari a quella , per esempio, della cute, così come non hanno la capacità di accrescimento e irrobustimento del muscolo. Spesso, dunque, alla ripetizione si associa il fatto che muscoli sviluppati esercitano una sollecitazione maggiore su strutture (i tendini appunto) che non si sono rafforzate di pari passo. Come montare il motore di una Formula 1 su di un'utilitaria. Per questo gli incidenti, di tutti i tipi, aumentano paradossalmente con l'aumentare dell'abilità, quindi del carico di lavoro e delle ore di allenamento.
Anche le articolazioni in sé risentono di un eccesso di attività, tanto che qualche studio ha portato l'attività fisica come uno dei possibili fattori che determinano l'artrosi. Secondo uno studio retrospettivo pubblicato l'anno scorso, negli uomini di età inferiore a 50 anni che hanno un'intensa attività fisica (correre per più di 30 chilometri la settimana, per esempio) comporta un rischio superiore per questa malattia.
Evitare questo genere di inconvenienti non è difficile, però. Intanto è bene orientarsi su attività armoniche, che non costringano a ripetere sempre gli stessi movimenti e, comunque, variare l'allenamento senza intestardirsi (Karate Kid è un film, anche se ben fatto, non un manuale di arti marziali). Poi, anche se può semrare superfluo, non riprendere mai gli allenamenti dopo una distorsione o una semplice tendinite (infiammazione) se non si è guariti completamente: nuove lesioni sono più facili se non si è ristabiliti al 100%. Senza contare il rischio che i disturbi divengano cronici.
Maurizio Imperiali
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