16 novembre 2007
Aggiornamenti e focus
Ferite di guerra
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Quanto costa una guerra? Parecchio, già solo considerando le spese vive di armi, soldati e mezzi. Aggiungendo le vite umane perse il prezzo sale, ma a queste vanno aggiunte anche le vite di persone che tornate in patria, sane e salve, devono superare o convivere con quello che nella pratica psichiatrica viene chiamato disturbo post-traumatico da stress e non solo. Guerra in Vietnam, guerra del Golfo e ora anche guerra in Iraq, guerra in Afghanistan, cambiano le guerre, ma ciò che i soldati portano a casa ha sempre il sapore amaro dei problemi mentali.
Circa un anno fa, il Dipartimento della Difesa statunitense ha condotto uno screening tra i soldati e i marines tornati dall'Iraq e dall'Afghanistan, per identificare quali fossero le condizioni della loro salute mentale. Il Post-Deployment Health Assessment (PDHA) venne condotto su soldati appena rientrati dalle zone calde ma si capì quasi subito che era troppo presto perché tutte le problematiche mentali potessero essere rilevate. Per questo motivo a distanza di tre e sei mesi l'indagine venne riproposta, come Post-Deployment Health Re-Assessment (PDHRA), ma solo sui reduci dell'Iraq. E la differenza c'era: nel secondo accertamento erano più numerosi i soldati che rivelavano sofferenza psichica e che erano stati indirizzati a una visita specialistica. Nella maggior parte dei casi, nella seconda valutazione, erano aumentati i casi di disturbo post-traumatico da stress, il conflitto interiore, la depressione e in generale i rischi per la salute mentale. In particolare, degli oltre 88 mila soldati, valutati in entrambi gli screening, nel primo il 4,4% era stato mandatol dallo specialista nel secondo l'11,7%, ma solo l'1,1% in entrambi.
Non stupisce, anche se dovrebbe in ogni caso, l'aumento del numero di casi di suicidi denunciato dal network televisivo americano CBS: nel 2005 si sono tolti la vita 6256 ex-militari veterani non solo dell'Iraq o dell'Afghanistan, con un tasso quattro colte superiore rispetto alla media dei coetanei. L'emittente denuncia anche le problematiche economiche e sociali di una categoria che incontra difficoltà nel trovare lavoro e spesso finisce per vivere di espedienti: un homeless su quattro, negli Stati Uniti è un ex-combattente dei due conflitti più recenti.
Tuttavia un rapporto pubblicato nel giugno 2007 ha rilevato nel sistema per la salute mentale del Dipartimento della Difesa, un sottodimensionamento del servizio senza risorse adeguate rispetto a un carico di lavoro eccessivo. Un quadro che già sulla carta farà fatica a dare risposte opportune a una percentuale di soldati bisognosi di trattamenti specifici per la loro salute mentale che oscilla tra il 20,3 e il 42,4%. Gli autori si limitano a concludere, in termini scientifici, che i programmi di screening vanno pensati con periodicità opportuna, e che serviranno anche studi clinici per accertare il rischio a cui queste persone vanno incontro e i benefici che possono trarre da interventi specifici. Forse ulteriori considerazioni si potrebbero fare su come il governo americano gestisce il finanziamento dei conflitti che promuove e sperare che in un futuro prossimo destini maggiori risorse ai servizi per la salute mentale. O magari che faccia meno guerre.
Simona Zazzetta
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Il tempo non guarisce
Circa un anno fa, il Dipartimento della Difesa statunitense ha condotto uno screening tra i soldati e i marines tornati dall'Iraq e dall'Afghanistan, per identificare quali fossero le condizioni della loro salute mentale. Il Post-Deployment Health Assessment (PDHA) venne condotto su soldati appena rientrati dalle zone calde ma si capì quasi subito che era troppo presto perché tutte le problematiche mentali potessero essere rilevate. Per questo motivo a distanza di tre e sei mesi l'indagine venne riproposta, come Post-Deployment Health Re-Assessment (PDHRA), ma solo sui reduci dell'Iraq. E la differenza c'era: nel secondo accertamento erano più numerosi i soldati che rivelavano sofferenza psichica e che erano stati indirizzati a una visita specialistica. Nella maggior parte dei casi, nella seconda valutazione, erano aumentati i casi di disturbo post-traumatico da stress, il conflitto interiore, la depressione e in generale i rischi per la salute mentale. In particolare, degli oltre 88 mila soldati, valutati in entrambi gli screening, nel primo il 4,4% era stato mandatol dallo specialista nel secondo l'11,7%, ma solo l'1,1% in entrambi.
Mai più come prima
Non stupisce, anche se dovrebbe in ogni caso, l'aumento del numero di casi di suicidi denunciato dal network televisivo americano CBS: nel 2005 si sono tolti la vita 6256 ex-militari veterani non solo dell'Iraq o dell'Afghanistan, con un tasso quattro colte superiore rispetto alla media dei coetanei. L'emittente denuncia anche le problematiche economiche e sociali di una categoria che incontra difficoltà nel trovare lavoro e spesso finisce per vivere di espedienti: un homeless su quattro, negli Stati Uniti è un ex-combattente dei due conflitti più recenti.
Tuttavia un rapporto pubblicato nel giugno 2007 ha rilevato nel sistema per la salute mentale del Dipartimento della Difesa, un sottodimensionamento del servizio senza risorse adeguate rispetto a un carico di lavoro eccessivo. Un quadro che già sulla carta farà fatica a dare risposte opportune a una percentuale di soldati bisognosi di trattamenti specifici per la loro salute mentale che oscilla tra il 20,3 e il 42,4%. Gli autori si limitano a concludere, in termini scientifici, che i programmi di screening vanno pensati con periodicità opportuna, e che serviranno anche studi clinici per accertare il rischio a cui queste persone vanno incontro e i benefici che possono trarre da interventi specifici. Forse ulteriori considerazioni si potrebbero fare su come il governo americano gestisce il finanziamento dei conflitti che promuove e sperare che in un futuro prossimo destini maggiori risorse ai servizi per la salute mentale. O magari che faccia meno guerre.
Simona Zazzetta
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