02 luglio 2008
Aggiornamenti e focus
La guerra è un problema sanitario
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Per elevare un problema di salute a problema di salute pubblica occorrono i numeri: 5,4 milioni di morti bastano? E senza nemmeno una malattia come causa, perchè la causa prima è la guerra. Sono queste le stime ottenute da un ricercatore dell'Institute for Health Metrics and Evaluation di Seattle con una tecnica diversa da quelle adottate finora e con risultati ben diversi da quelli dichiarati.
Le metodologie per valutare le dimensioni della mortalità provocata da un conflitto armato si basano su diverse possibilità. Alcune indagini vengono condotte durante lo svolgimento della guerra nei paesi interessati, altre considerano i censimenti usando tecniche demografiche che confrontano la distribuzione dell'età di una popolazione prima e dopo la guerra. Infine, ci sono diversi metodi di sorveglianza passiva che usano le informazioni da testimoni oculari e rapporti forniti dai mezzi di comunicazione o da statistiche provenienti da obitori, cimiteri e servizi sanitari. Questi dati, in assenza di quelli di popolazione, sono gli unici disponibili durante un conflitto in atto e rappresentano le fonti più comunemente citate dai governi, ma forse proprio per questo motivo sono a forte rischio di pressione politica che può portare o a un'esagerazione dei dati o a una mitigazione degli stessi. Tuttavia, rappresentano l'unica fonte di informazione sul numero di morti nella maggioranza dei conflitti. Come per esempio il database Uppsala/PRIO nato dalla collaborazione tra la Uppsala University e la Peace Research Institute di Oslo che ha raccolto i dati di sorveglianza passiva relativi a tutti i conflitti nel mondo dal 1900 in avanti.
Ziad Obermeyer e i suoi colleghi hanno proposto un nuovo approccio pionieristico per stimare le morti violente avvenute durante la guerra. Sono state proposte interviste a un componente familiare in un paese in cui si era verificato un conflitto in periodo di pace, proprio per eliminare innanzitutto le difficoltà logistiche imposte dalle esigenze di una guerra in atto. In particolare veniva chiesto di parlare del proprio fratello (o sorella) e di limitarsi a questo dato e non a quello della morte di un familiare in genere, evitando così un errore in eccesso nel conteggio dei caduti. Le interviste sono state condotte tra il 2002 e il 2003, in 13 paesi con riferimento al periodo tra il 1955 e il 2002, coprendo gli ultimi 50 anni di storia. In pratica dalla guerra del Vietnam al conflitto in Bosnia. I dati ottenuti dalle interviste parlano di un totale di 5,4 milioni di caduti che vanno dai 7 mila stimati nella Repubblica Democratica del Congo ai 38 milioni del Vietnam. Gli autori dello studio e di un commento alla ricerca, fanno notare che le cifre sono in media tre volte più alte rispetto ai conteggi dati finora dalle fonti di sorveglianza passiva (Uppsala/PRIO). Per esempio, per il periodo 1985-1994, i dati riportano, per ogni anno di guerra, 137 mila deceduti; Obermeyer ne ha conteggiati 378 mila. Con grandi differenze anche nei singoli stati colpiti da guerre importanti: nel Bangaladesh la guerra per l'indipendenza ha provocato 269 mila morti, contro i 58 mila precedentemente stimati, nello Zimbabwe 130 mila contro i 28 mila. E per altro non supportano l'idea, che invece emerge dai dati finora considerati, che dalla seconda guerra mondiale in poi si sia assistito a un declino del numero di morti, e che le guerre più recenti abbiano provocato meno morti grazie alla tecnologia e all'innovazione applicate alle strategie di guerra. Per altro, si legge nel commento, queste valutazioni sono ancora sottostimate, dal momento che non rendono conto delle morti indirette dovute alla denutrizione alle malattie infettive e ad altre patologie o forme di danno alla salute non direttamente dovute al combattimento.
Simona Zazzetta
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Testimoni inattendibili
Le metodologie per valutare le dimensioni della mortalità provocata da un conflitto armato si basano su diverse possibilità. Alcune indagini vengono condotte durante lo svolgimento della guerra nei paesi interessati, altre considerano i censimenti usando tecniche demografiche che confrontano la distribuzione dell'età di una popolazione prima e dopo la guerra. Infine, ci sono diversi metodi di sorveglianza passiva che usano le informazioni da testimoni oculari e rapporti forniti dai mezzi di comunicazione o da statistiche provenienti da obitori, cimiteri e servizi sanitari. Questi dati, in assenza di quelli di popolazione, sono gli unici disponibili durante un conflitto in atto e rappresentano le fonti più comunemente citate dai governi, ma forse proprio per questo motivo sono a forte rischio di pressione politica che può portare o a un'esagerazione dei dati o a una mitigazione degli stessi. Tuttavia, rappresentano l'unica fonte di informazione sul numero di morti nella maggioranza dei conflitti. Come per esempio il database Uppsala/PRIO nato dalla collaborazione tra la Uppsala University e la Peace Research Institute di Oslo che ha raccolto i dati di sorveglianza passiva relativi a tutti i conflitti nel mondo dal 1900 in avanti.
Andare alla fonte: la famiglia
Ziad Obermeyer e i suoi colleghi hanno proposto un nuovo approccio pionieristico per stimare le morti violente avvenute durante la guerra. Sono state proposte interviste a un componente familiare in un paese in cui si era verificato un conflitto in periodo di pace, proprio per eliminare innanzitutto le difficoltà logistiche imposte dalle esigenze di una guerra in atto. In particolare veniva chiesto di parlare del proprio fratello (o sorella) e di limitarsi a questo dato e non a quello della morte di un familiare in genere, evitando così un errore in eccesso nel conteggio dei caduti. Le interviste sono state condotte tra il 2002 e il 2003, in 13 paesi con riferimento al periodo tra il 1955 e il 2002, coprendo gli ultimi 50 anni di storia. In pratica dalla guerra del Vietnam al conflitto in Bosnia. I dati ottenuti dalle interviste parlano di un totale di 5,4 milioni di caduti che vanno dai 7 mila stimati nella Repubblica Democratica del Congo ai 38 milioni del Vietnam. Gli autori dello studio e di un commento alla ricerca, fanno notare che le cifre sono in media tre volte più alte rispetto ai conteggi dati finora dalle fonti di sorveglianza passiva (Uppsala/PRIO). Per esempio, per il periodo 1985-1994, i dati riportano, per ogni anno di guerra, 137 mila deceduti; Obermeyer ne ha conteggiati 378 mila. Con grandi differenze anche nei singoli stati colpiti da guerre importanti: nel Bangaladesh la guerra per l'indipendenza ha provocato 269 mila morti, contro i 58 mila precedentemente stimati, nello Zimbabwe 130 mila contro i 28 mila. E per altro non supportano l'idea, che invece emerge dai dati finora considerati, che dalla seconda guerra mondiale in poi si sia assistito a un declino del numero di morti, e che le guerre più recenti abbiano provocato meno morti grazie alla tecnologia e all'innovazione applicate alle strategie di guerra. Per altro, si legge nel commento, queste valutazioni sono ancora sottostimate, dal momento che non rendono conto delle morti indirette dovute alla denutrizione alle malattie infettive e ad altre patologie o forme di danno alla salute non direttamente dovute al combattimento.
Simona Zazzetta
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