Sport troppo cerebrale

08 aprile 2005
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Sport troppo cerebrale



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Lo sport è salute, si sa, ma può provocare anche danni e aumentando in modo vertiginoso i praticanti, le statistiche parlano di 30 milioni di italiani di tutte le età, aumentano in parallelo anche traumi e incidenti. Le lesioni che colpiscono lo sportivo sono generalmente di due tipi: quelle da sovraccarico funzionale, per esempio un nuotatore di buon livello esegue un milione di bracciate durante una stagione agonistica e inevitabilmente sovraccarica le spalle, e quelle traumatiche, causate cioè da cadute o colpi diretti. Proprio di queste ultime si è occupata la seconda conferenza internazionale sulla concussione nello sport, svoltasi a Praga. E' stata l'occasione per ribadire alcuni concetti chiave di quest'ambito medico.

Semplice o complessa?


Si è trattato della seconda conferenza sull'argomento. La prima svoltasi nel 2001 a Vienna aveva suscitato grande interesse, ragione per cui a Praga il consesso si è allargato a psicologi dello sport e a chirurghi traumatologi. Ma che cos'è la concussione? La concussione sportiva è un complesso processo patofisiologico che colpisce il cranio, indotto da forze biomeccaniche traumatiche. E' questa la definizione ufficiale, di fatto una violenta botta in testa. Una definizione che chiaramente non si è modificata. Una novità, se di novità si può parlare, riguarda, invece, il sistema di classificazione delle concussioni. Se, infatti, in passato si faceva riferimento a sistemi di classificazione piuttosto complessi, il congresso ceco ha modificato questo approccio. Da oggi in poi si dovrà parlare di concussione semplice o complessa. Le differenze? Nella prima l'atleta soffre di un danno che progressivamente si risolve senza complicazioni nel giro di 7-10 giorni. In situazioni simili, oltre all'evidente rinuncia ad allenarsi e a praticare lo sport nella fase sintomatica, nessun ulteriore intervento è richiesto durante il periodo di recupero, e l'atleta in genere recupera senza particolari problemi. Lo screening neuropsicologico non gioca un ruolo determinante in questi casi. Si tratta di una forma di concussione piuttosto comune e tranquillamente gestibile dal medico o persino dall'allenatore sotto supervisione medica. E' sufficiente riposare fino alla risoluzione dei sintomi e poi sottoporsi a un programma di graduale rientro in attività. E la concussione complessa? La situazione è più delicata. L'atleta soffre di sintomi persistenti, conseguenze specifiche (per esempio concussioni convulsive), perdita di conoscenza prolungata (oltre un minuto) o prolungato danno cognitivo. Nel gruppo delle concussioni complesse rientrano anche gli atleti che abbiano subito più danni nel corso del tempo. Si tratta in questi casi di considerare altro oltre al semplice ritorno all'attività agonistica e non si può assolutamente rinunciare ai test neuropsicologici e ad altri accertamenti. Anche l'equipe medica che prende in cura l'atleta è più articolata e non può prescindere dalla competenza neurologica. Di gran rilievo poi anche la storia delle concussioni. Molti atleti, infatti, potrebbero sottovalutare episodi verificatisi in passato e per i medici tener conto di episodi pregressi facilita la diagnosi del paziente. L'argomento è complesso - dicono i ricercatori - e in continua evoluzione, per questo sono particolarmente opportune le occasioni congressuali. Nel frattempo la ricerca dovrebbe continuare ed essere incoraggiata sia dai medici sportivi e traumatologi sia dalle organizzazioni sportive.

Marco Malagutti



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