20 giugno 2008
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Sangue super
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Che cosa manca per primo quando si è impegnati da lungo tempo in uno sforzo fisico aerobico? Il fiato, ovviamente. In realtà non è proprio così: quello che manca davvero è la corretta ossigenazione dei tessuti, non tanto la colonna d'aria che va a gonfiare i polmoni. Tanto è vero che non è la capacità vitale, cioè il volume di aria, a determinare la capacità aerobica del soggetto, ma il massimo consumo di ossigeno (VO2) cioè, appunto, l'indice che rispecchia l'ossigenazione dell'organismo.
Ovviamente questo aspetto non entra in gioco quando si pratica il sollevamento pesi, o la scherma, ma nelle discipline cosiddette di "endurance" sì.
La più celebre di queste discipline è la maratona, e proprio la maratona rende l'idea dei progressi compiuti in questo settore: nel 1896 il vincitore delle Olimpiadi di quell'anno aveva coperto il percorso di 40 km in due ore, 58 minuti e 50 secondi. Il vincitore della Maratona di Chicago (1999) ha impiegato, per 42 chilometri, 2 ore, 5 minuti e 42 secondi. Quasi un'ora in meno: un miglioramento che ha tante spiegazioni, perché la capacità aerobica può essere sviluppata attraverso l'allenamento, senza contare che oggi gli atleti vengono selezionati in modo più mirato in funzione delle loro caratteristiche di base. Ma probabilmente c'è anche (non nel caso del vincitore di Chicago, è ovvio) lo sviluppo delle tecniche, proibite, per aumentare il massimo consumo di ossigeno.
Il mezzo più efficace è agire sulla capacità di trasporto dell'ossigeno del sangue. Senza aumentare la quantità di aria atmosferica inspirata, è possibile far arrivare ai tessuti più ossigeno aumentando la quantità di globuli rossi presente nel plasma e, di conseguenza, la quantità di emoglobina circolante, in quanto è a questa proteina che spetta catturare l'ossigeno. Insomma, negli alveoli polmonari si strappa all'aria un maggior numero di molecole di ossigeno. Proprio perché si tratta di agire su un parametro del sangue (il numero di globuli rossi) si è parlato di "emo-doping".
Questo effetto si può ottenere in due modi. Il primo e più antico è l'autotrasfusione. All'atleta viene prelevata una certa quantità di sangue, dalla quale vengono separati gli eritrociti (globuli rossi). Questi vengono poi reinfusi. Oggi questa pratica è caduta in disuso o, almeno, se ne sente parlare molto meno.
Il secondo sistema, più sofisticato e per certi versi più pratico, consiste nel trattamento con eritropoietina (EPO). L'EPO è una glicoproteina, un ormone, che ha la funzione di promuovere lo sviluppo, nel midollo osseo, delle cellule progenitrici dei globuli rossi (in pratica, guida le cellule staminali a svilupparsi in quella direzione). Fisiologicamente, questo ormone viene prodotto nei reni e nel fegato e la sua produzione aumenta quando l'organismo è in deficit di ossigeno. E' questo uno dei motivi per cui con l'allenamento è possibile aumentare la propria capacità aerobica. L'eritropoietina, oggi ottenuta con le tecniche ricombinanti e quindi chiamata rEPO, viene impiegata in medicina per curare le forme gravi di anemia, soprattutto renale come quella che si presenta nei nefropatici in dialisi.
La prima conseguenza, come detto, è l'aumento della concentrazione di emoglobina e quindi, dal punto di vista del laboratorio, si ha un aumento dell'ematòcrito, che è l'indice corrispondente. Ne consegue che, durante gli sforzi submassimali, nel sangue si ha una minore concentrazione di acido lattico, che è invece il tipico prodotto della fatica muscolare (la resistenza è aumentata). Fin qui gli effetti sono comuni sia all'autotrasfusione sia all'uso di EPO, così come l'efficacia delle due soluzioni: l'aumento della capacità aerobica in rapporto all'aumento dell'emoglobina è infatti uguale in entrambi i casi. Quello che cambia è che con l'autotrasfusione, anche sotto sforzo, non aumenta la pressione arteriosa, mentre con l'EPO sì, malgrado vi sia una diminuzione del battito cardiaco. Una circostanza, questa, che costituisce uno stress ulteriore per il sistema cardiovascolare anche negli atleti allenati.
Una scorrettezza dura da scoprire
Ovviamente l'emodoping è proibito in tutte le forme, ma la difficoltà è determinare se l'illecito c'è stato o meno. Nel caso dell'autotrasfusione, infatti, non esistono sostanze estranee che possano essere cercate nel sangue dell'atleta: si tratta dei suoi stessi eritrociti. Nel caso dell'EPO ricombinante, esiste effettivamente il modo di distinguerla dall'ormone endogeno, ma si tratta di un test costoso (una metodica elettroforetica) e difficilmente applicabile. L'unica possibilità è rifarsi a metodi indiretti.
Come si è detto, con l'emodoping aumenta l'ematocrito e, con il ricorso all'EPO, si modificano anche altri fattori determinabili in laboratorio. Per esempio, la diminuzione della ferritina sierica (sostanza che è il principale deposito di ferro dell'organismo) e l'aumento del recettore solubile della transferrina.
Peccato che l'ematocrito possa essere fatto abbassare artificialmente. Per esempio pedalando, dal momento che la compressione sui piedi porta alla distruziuone dei globuli rossi e, quindi, alla diminuzione del valore dell'Htc. Quanto agli altri indici indiretti, impiegando l'rEPO a bassi dosaggi le variazioni sono minime. Sta di fatto che con i test attualmente eseguibili la possibilità di individuare la sostanza è inferiore al 10%. Grazie a un metodo messo a punto recentemente da ricercatori dell'Istituto di Biochimica dell'Università di Urbino, che prende in considerazione anche le variazioni dell'mRNA specifico di un'altra proteina ematica (la beta-globina), la percentuale di "successi" sale a poco meno del 60%.
Un paradosso interessante
C'è poi da valutare se effettivamente l'emodoping sia una pratica così efficace. Un altro studio di qualche mese fa, infatti, ha mostrato che negli atleti allenati nel "modo giusto", la capacità aerobica non correla con il valore dell'ematocrito. In altre parole la loro capacità di ben ossigenare i tessuti è indipendente dalla quantità di globuli rossi. Al contrario alti valori di ematocrito caratterizzano piuttosto gli atleti che si sono "superallenati" e quindi non sono in grado di esprimere le loro massime prestazioni. In compenso aumenta la viscosità (cioè la densità) del sangue e questo non è un fenomeno positivo, anzi è un fattore di rischio cardiovascolare.
Anche nell'atletica, dunque, la classe non è acqua e, forse, nemmeno sangue (dopato).
Maurizio Lucchinelli
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Ovviamente questo aspetto non entra in gioco quando si pratica il sollevamento pesi, o la scherma, ma nelle discipline cosiddette di "endurance" sì.
La più celebre di queste discipline è la maratona, e proprio la maratona rende l'idea dei progressi compiuti in questo settore: nel 1896 il vincitore delle Olimpiadi di quell'anno aveva coperto il percorso di 40 km in due ore, 58 minuti e 50 secondi. Il vincitore della Maratona di Chicago (1999) ha impiegato, per 42 chilometri, 2 ore, 5 minuti e 42 secondi. Quasi un'ora in meno: un miglioramento che ha tante spiegazioni, perché la capacità aerobica può essere sviluppata attraverso l'allenamento, senza contare che oggi gli atleti vengono selezionati in modo più mirato in funzione delle loro caratteristiche di base. Ma probabilmente c'è anche (non nel caso del vincitore di Chicago, è ovvio) lo sviluppo delle tecniche, proibite, per aumentare il massimo consumo di ossigeno.
Fare il pieno di ossigeno
Il mezzo più efficace è agire sulla capacità di trasporto dell'ossigeno del sangue. Senza aumentare la quantità di aria atmosferica inspirata, è possibile far arrivare ai tessuti più ossigeno aumentando la quantità di globuli rossi presente nel plasma e, di conseguenza, la quantità di emoglobina circolante, in quanto è a questa proteina che spetta catturare l'ossigeno. Insomma, negli alveoli polmonari si strappa all'aria un maggior numero di molecole di ossigeno. Proprio perché si tratta di agire su un parametro del sangue (il numero di globuli rossi) si è parlato di "emo-doping".
Questo effetto si può ottenere in due modi. Il primo e più antico è l'autotrasfusione. All'atleta viene prelevata una certa quantità di sangue, dalla quale vengono separati gli eritrociti (globuli rossi). Questi vengono poi reinfusi. Oggi questa pratica è caduta in disuso o, almeno, se ne sente parlare molto meno.
Il secondo sistema, più sofisticato e per certi versi più pratico, consiste nel trattamento con eritropoietina (EPO). L'EPO è una glicoproteina, un ormone, che ha la funzione di promuovere lo sviluppo, nel midollo osseo, delle cellule progenitrici dei globuli rossi (in pratica, guida le cellule staminali a svilupparsi in quella direzione). Fisiologicamente, questo ormone viene prodotto nei reni e nel fegato e la sua produzione aumenta quando l'organismo è in deficit di ossigeno. E' questo uno dei motivi per cui con l'allenamento è possibile aumentare la propria capacità aerobica. L'eritropoietina, oggi ottenuta con le tecniche ricombinanti e quindi chiamata rEPO, viene impiegata in medicina per curare le forme gravi di anemia, soprattutto renale come quella che si presenta nei nefropatici in dialisi.
Che cosa succede dopo l'emodoping
La prima conseguenza, come detto, è l'aumento della concentrazione di emoglobina e quindi, dal punto di vista del laboratorio, si ha un aumento dell'ematòcrito, che è l'indice corrispondente. Ne consegue che, durante gli sforzi submassimali, nel sangue si ha una minore concentrazione di acido lattico, che è invece il tipico prodotto della fatica muscolare (la resistenza è aumentata). Fin qui gli effetti sono comuni sia all'autotrasfusione sia all'uso di EPO, così come l'efficacia delle due soluzioni: l'aumento della capacità aerobica in rapporto all'aumento dell'emoglobina è infatti uguale in entrambi i casi. Quello che cambia è che con l'autotrasfusione, anche sotto sforzo, non aumenta la pressione arteriosa, mentre con l'EPO sì, malgrado vi sia una diminuzione del battito cardiaco. Una circostanza, questa, che costituisce uno stress ulteriore per il sistema cardiovascolare anche negli atleti allenati.
Una scorrettezza dura da scoprire
Ovviamente l'emodoping è proibito in tutte le forme, ma la difficoltà è determinare se l'illecito c'è stato o meno. Nel caso dell'autotrasfusione, infatti, non esistono sostanze estranee che possano essere cercate nel sangue dell'atleta: si tratta dei suoi stessi eritrociti. Nel caso dell'EPO ricombinante, esiste effettivamente il modo di distinguerla dall'ormone endogeno, ma si tratta di un test costoso (una metodica elettroforetica) e difficilmente applicabile. L'unica possibilità è rifarsi a metodi indiretti.
Come si è detto, con l'emodoping aumenta l'ematocrito e, con il ricorso all'EPO, si modificano anche altri fattori determinabili in laboratorio. Per esempio, la diminuzione della ferritina sierica (sostanza che è il principale deposito di ferro dell'organismo) e l'aumento del recettore solubile della transferrina.
Peccato che l'ematocrito possa essere fatto abbassare artificialmente. Per esempio pedalando, dal momento che la compressione sui piedi porta alla distruziuone dei globuli rossi e, quindi, alla diminuzione del valore dell'Htc. Quanto agli altri indici indiretti, impiegando l'rEPO a bassi dosaggi le variazioni sono minime. Sta di fatto che con i test attualmente eseguibili la possibilità di individuare la sostanza è inferiore al 10%. Grazie a un metodo messo a punto recentemente da ricercatori dell'Istituto di Biochimica dell'Università di Urbino, che prende in considerazione anche le variazioni dell'mRNA specifico di un'altra proteina ematica (la beta-globina), la percentuale di "successi" sale a poco meno del 60%.
Un paradosso interessante
C'è poi da valutare se effettivamente l'emodoping sia una pratica così efficace. Un altro studio di qualche mese fa, infatti, ha mostrato che negli atleti allenati nel "modo giusto", la capacità aerobica non correla con il valore dell'ematocrito. In altre parole la loro capacità di ben ossigenare i tessuti è indipendente dalla quantità di globuli rossi. Al contrario alti valori di ematocrito caratterizzano piuttosto gli atleti che si sono "superallenati" e quindi non sono in grado di esprimere le loro massime prestazioni. In compenso aumenta la viscosità (cioè la densità) del sangue e questo non è un fenomeno positivo, anzi è un fattore di rischio cardiovascolare.
Anche nell'atletica, dunque, la classe non è acqua e, forse, nemmeno sangue (dopato).
Maurizio Lucchinelli
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