10 ottobre 2003
Aggiornamenti e focus
Terapia della cistite
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Se non ci sono complicazioni ed è sostenuta da batteri, la cistite viene curata con antibiotici, somministrati per via orale.
Non tutti gli antibiotici, per le loro caratteristiche, sono però egualmente efficaci nel raggiungere i batteri nelle vie urinarie. Ma, anche ragionando soltanto sui farmaci più efficaci, sorgono altre considerazioni, per esempio economiche. Alcuni degli antibiotici più efficaci sono molecole note da tempo e, quindi, di costo relativamente basso. Altri invece sono più recenti e, quindi, di costo nettamente superiore.
Finora, i farmaci più usati per le infezioni delle basse vie urinarie sono stati il trimetoprim- sulfametossazolo o cotrimossazolo, considerato di prima scelta in quanto capace di far regredire l'infezione (guarigione clinica), ma anche di ripulire le vie urinarie dai batteri (eradicazione) nel 93-94% dei casi. A seguire c'è la nitrofurantoina, altro farmaco impiegato da molto tempo.
Altri antibiotici molto efficaci in queste infezioni sono i chinoloni e i fluorochinoloni, due famiglie di antibiotici molto simili (la maggiore differenza risiede nella presenza di un atomo di fluoro nella molecola) che, essendo metabolizzati soprattutto a livello renale, raggiungono elevate concentrazioni nelle vie urinarie.
Invece i beta-lattamici (la famiglia cui appartengono le penicilline, per intendersi) si sono dimostrati complessivamente meno efficaci delle altre sostanze citate finora, almeno a parità di durata della terapia.
Quale usare? In linea generale si ricorre a un nuovo antibiotico quando quelli già impiegati da tempo hanno cominciato a perdere la loro efficacia, perché i batteri presenti nella popolazione sono divenuti resistenti, hanno cioè sviluppato meccanismi che gli consentono di neutralizzare l'azione del farmaco. Esistono diversi di questi meccanismi. Per esempio, alcuni batteri (Gram negativi) sono capaci di produrre enzimi che rendono inefficaci le penicilline. Altri invece "perdono" i recettori ai quali l'antibiotico si "attacca" per esercitare la sua azione. Usare un farmaco recentissimo in prima battuta, quando il livello delle resistenze ai precedenti è basso, è un errore, perché si promuove la nascita di resistenze e, in pratica, si spunta un'arma che potrebbe venire utile una volta diminuita l'efficacia degli altri farmaci.
Proprio dall'aumento delle resistenze sono motivati alcuni mutamenti nelle scelte terapeutiche. Nell'80% dei casi il responsabile delle cistiti è l'Escherichia coli, un batterio Gram-negativo che ha incominciato a manifestare un certo grado di resistenza al cotrimossazolo: per esempio nel 'Europa del Nord questo tasso è del 5-10% mentre in Spagna e Portogallo è del 25-30%. Anche in Italia, per inciso, la resistenza dell'E. coli a questo antibiotico si aggira secondo alcuni studi attorno al 25%. In teoria, quando le resistenze a un farmaco superano la soglia del 20% sarebbe il caso di non considerarlo più di prima scelta. E difatti le linee guida della Infectious Disease Society statunitense danno questa indicazione. Il fatto è che a volte può bastare aumentare il dosaggio per sconfiggere l'infezione o aumentare i giorni di terapia. Come sempre, le indicazioni delle linee guida valgono in termini generali. Inoltre, alcuni studi segnalano un certo aumento delle cistiti sostenute da batteri diversi dall'E. coli, in particolare gli stessi patogeni implicati nella malattie a trasmissione sessuale. Di conseguenza, è logico che di fronte a una cistite refrattaria al trattamento, oppure all'infezione ricorrente, il medico si rivolga a farmaci delle ultime generazioni. Vero è che quando il trattamento standard si rivela inefficace la regola vorrebbe che prima di prescrivere un altro antibiotico, o comunque contemporaneamente, si provvedesse a far eseguire l'urinocultura, così da stabilire quale sia esattamente il batterio coinvolto e scegliere l'antibiotico a colpo sicuro
C'è un altro aspetto del trattamento della cistite acuta che è stato oggetto di studi, ed è la possibilità di ottenere la guarigione con una singola somministrazione: vale a dire che si assume l'antibiotico per un solo giorno. Questo schema terapeutico è stato provato con diverse sostanze, alcune di quelle già citate (cotrimossazolo) e altre come la fosfomicina. Nel caso del cotrimossazolo, però, la singola somministrazione si è rivelata meno efficace del trattamento fino a 5 giorni: 83% contro 93% di eradicazione batterica. Certamente con la dose singola diminuiscono gli effetti collaterali, ma va detto che salvo situazioni particolari tutti questi farmaci, soprattutto ai dosaggi impiegati nella cistite, non provocano grandi disagi al paziente.
Di fatto, le linee guida disponibili, e anche molti recenti studi, sembrano aver individuato nella terapia per tre giorni lo standard, dal momento che aumentare la somministrazione non migliora i risultati ma può aumentare gli effetti collaterali.
Maurizio Imperiali
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...e inoltre su Dica33:
Non tutti gli antibiotici, per le loro caratteristiche, sono però egualmente efficaci nel raggiungere i batteri nelle vie urinarie. Ma, anche ragionando soltanto sui farmaci più efficaci, sorgono altre considerazioni, per esempio economiche. Alcuni degli antibiotici più efficaci sono molecole note da tempo e, quindi, di costo relativamente basso. Altri invece sono più recenti e, quindi, di costo nettamente superiore.
Finora, i farmaci più usati per le infezioni delle basse vie urinarie sono stati il trimetoprim- sulfametossazolo o cotrimossazolo, considerato di prima scelta in quanto capace di far regredire l'infezione (guarigione clinica), ma anche di ripulire le vie urinarie dai batteri (eradicazione) nel 93-94% dei casi. A seguire c'è la nitrofurantoina, altro farmaco impiegato da molto tempo.
Altri antibiotici molto efficaci in queste infezioni sono i chinoloni e i fluorochinoloni, due famiglie di antibiotici molto simili (la maggiore differenza risiede nella presenza di un atomo di fluoro nella molecola) che, essendo metabolizzati soprattutto a livello renale, raggiungono elevate concentrazioni nelle vie urinarie.
Invece i beta-lattamici (la famiglia cui appartengono le penicilline, per intendersi) si sono dimostrati complessivamente meno efficaci delle altre sostanze citate finora, almeno a parità di durata della terapia.
Quale usare? In linea generale si ricorre a un nuovo antibiotico quando quelli già impiegati da tempo hanno cominciato a perdere la loro efficacia, perché i batteri presenti nella popolazione sono divenuti resistenti, hanno cioè sviluppato meccanismi che gli consentono di neutralizzare l'azione del farmaco. Esistono diversi di questi meccanismi. Per esempio, alcuni batteri (Gram negativi) sono capaci di produrre enzimi che rendono inefficaci le penicilline. Altri invece "perdono" i recettori ai quali l'antibiotico si "attacca" per esercitare la sua azione. Usare un farmaco recentissimo in prima battuta, quando il livello delle resistenze ai precedenti è basso, è un errore, perché si promuove la nascita di resistenze e, in pratica, si spunta un'arma che potrebbe venire utile una volta diminuita l'efficacia degli altri farmaci.
Le resistenze aumentano
Proprio dall'aumento delle resistenze sono motivati alcuni mutamenti nelle scelte terapeutiche. Nell'80% dei casi il responsabile delle cistiti è l'Escherichia coli, un batterio Gram-negativo che ha incominciato a manifestare un certo grado di resistenza al cotrimossazolo: per esempio nel 'Europa del Nord questo tasso è del 5-10% mentre in Spagna e Portogallo è del 25-30%. Anche in Italia, per inciso, la resistenza dell'E. coli a questo antibiotico si aggira secondo alcuni studi attorno al 25%. In teoria, quando le resistenze a un farmaco superano la soglia del 20% sarebbe il caso di non considerarlo più di prima scelta. E difatti le linee guida della Infectious Disease Society statunitense danno questa indicazione. Il fatto è che a volte può bastare aumentare il dosaggio per sconfiggere l'infezione o aumentare i giorni di terapia. Come sempre, le indicazioni delle linee guida valgono in termini generali. Inoltre, alcuni studi segnalano un certo aumento delle cistiti sostenute da batteri diversi dall'E. coli, in particolare gli stessi patogeni implicati nella malattie a trasmissione sessuale. Di conseguenza, è logico che di fronte a una cistite refrattaria al trattamento, oppure all'infezione ricorrente, il medico si rivolga a farmaci delle ultime generazioni. Vero è che quando il trattamento standard si rivela inefficace la regola vorrebbe che prima di prescrivere un altro antibiotico, o comunque contemporaneamente, si provvedesse a far eseguire l'urinocultura, così da stabilire quale sia esattamente il batterio coinvolto e scegliere l'antibiotico a colpo sicuro
Quanto dura un trattamento
C'è un altro aspetto del trattamento della cistite acuta che è stato oggetto di studi, ed è la possibilità di ottenere la guarigione con una singola somministrazione: vale a dire che si assume l'antibiotico per un solo giorno. Questo schema terapeutico è stato provato con diverse sostanze, alcune di quelle già citate (cotrimossazolo) e altre come la fosfomicina. Nel caso del cotrimossazolo, però, la singola somministrazione si è rivelata meno efficace del trattamento fino a 5 giorni: 83% contro 93% di eradicazione batterica. Certamente con la dose singola diminuiscono gli effetti collaterali, ma va detto che salvo situazioni particolari tutti questi farmaci, soprattutto ai dosaggi impiegati nella cistite, non provocano grandi disagi al paziente.
Di fatto, le linee guida disponibili, e anche molti recenti studi, sembrano aver individuato nella terapia per tre giorni lo standard, dal momento che aumentare la somministrazione non migliora i risultati ma può aumentare gli effetti collaterali.
Maurizio Imperiali
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