Stili di vita salva-prostata

25 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Stili di vita salva-prostata



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La progressiva identificazione di geni implicati nello sviluppo di malattie (ce ne sono anche di protettivi) potrebbe essere letta da alcuni in chiave di scarsa utilità della prevenzione, come alibi per non cambiare stili di vita poco sani. Invece è sempre più evidente che la genetica da sola non basta, conta l'interazione dell'ambiente e cioè dei fattori esterni, che decidono se si attiverà o disattiverà un determinato processo, o almeno sono in grado di modularlo. Una nuova dimostrazione esemplare nei risultati viene da una ricerca californiana, nella quale una decisa modifica dei comportamenti alimentari e d'altro tipo in uomini con tumore prostatico indolente a basso rischio ha prodotto gli attesi miglioramenti fisici e metabolici, ma ha anche mostrato di "spegnere" un folto gruppo di oncogeni e di accenderne altri invece benefici. In un'altra ricerca, sempre californiana, si sono viste le implicazioni delle stesse famiglie di geni dannosi e della restrizione energetica (in pratica una dieta ipocalorica) nella diversa resistenza di cellule sane o tumorali a stress ossidativo o chemioterapia.

Dieta, gestione dello stress, esercizio


L'epidemiologia ha già messo in luce che l'incidenza del cancro della prostata è molto inferiore nelle popolazioni con alimentazione povera di grassi e prevalentemente vegetale, così come alcuni studi hanno mostrato che misure dietetiche e comportamentali in uomini con il tumore in stadio precoce possono diminuire l'antigene prostatico PSA o rallentarne l'aumento, risultando potenzialmente terapeutiche. Un aspetto importante da chiarire anche perché, in molti malati con la forma indolente sottoposti a screening per il PSA a lungo termine, non si rileva lai progressione della malattia, tanto che non si ritiene necessario trattarli ed esporli così a effetti indesiderati. Lo studio GEMINAL (Gene Expression Modulation by Intervention with Nutrition and Lifestyle) ha voluto approfondire le conseguenze di modifiche intensive dello stile di vita rispetto all'espressione dei geni prostatici in uomini appunto con il tumore indolente a basso rischio, selezionati in modo da minimizzare la possibilità di malattia metastatica. I trenta partecipanti, età media 62 anni, che non avevano voluto sottoporsi nell'immediato a chirurgia o radioterapia od ormonoterapia, mentre erano sotto sorveglianza rispetto alla progressione del tumore, hanno partecipato a un programma completo che prevedeva cibi poveri di grassi (l'11,6% delle calorie totali), integrali e di base vegetali, tecniche di gestione dello stress, esercizio moderato in forma di cammino quotidiano (3,6 ore a settimana). Dopo tre mesi si sono andati a vedere gli effetti, analizzando anche materiale genetico (RNA) estratto dalle agobiopsie prostatiche.

Possibile nuova strategia per la chemio


Com'era nelle attese questo regime ha prodotto un significativo miglioramento di fattori negativi, cioè riduzione dell'indice di massa corporea, della pressione sistolica e diastolica, della lipidemia, della circonferenza vita; calo non significativo per la trigliceridemia e la proteina C-reattiva; diminuito significativamente anche il distress psicologico e migliorato il benessere psicologico legato alla qualità della vita. Non solo: si è dimostrata una sotto-regolazione di 453 geni coinvolti nella modulazione di processi critici per l'oncogenesi, implicati nel metabolismo, nel trasporto e nella fosforilazione di proteine. Per esempio oncogeni della famiglia RAS oppure, come visto in analoghi studi su obesi, geni legati all'IGF-1 (fattore di crescita insulino-simile), o geni del metabolismo dei carboidrati. Inoltre è risultata una sovra-regolazione, di carattere positivo, di altri 48 geni. Modulare l'espressione genica agendo sullo stile di vita sembra dunque possibile. A questo si ricollega la seconda ricerca californiana, per sondare l'ipotesi che una dieta meno calorica potesse proteggere cellule normali ma non cellule tumorali da un elevato stress ossidativo o dalla chemioterapia. In diversi animali, in mancanza di geni equivalenti agli oncogeni umani delle famiglie RAS e IGF1, si è vista un'associazione tra longevità e migliore resistenza allo stress; quest'ultima si è vista anche in esperimenti che valutavano l'effetto sull'organismo delle restrizioni caloriche. Gli autori statunitensi hanno verificato che le cellule "affamate" e sane erano fino a mille volte più protette, ma non quelle malate. Una possibile futura strategia potrebbe basarsi su nuove chemioterapie che generano alti livelli ossidativi in combinazione con la minore resistenza allo stress delle cellule cancerose determinata dalla dieta.

Elettra Vecchia



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