29 aprile 2005
Aggiornamenti e focus
Dimagrante con le spine
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Dopo Fucus vesiculosus, garcinia cambogia, citrus aurantium, sinefrina, chitosano, il mercato dei prodotti dimagranti naturali vede all'orizzonte una nuova pianta dai presunti effetti miracolosi. Si tratta di Hoodia gordonii, per alcuni il dimagrante del futuro, al punto che grossi gruppi farmaceutici l'hanno già opzionato e sembrava imminente l'arrivo di un prodotto su prescrizione in vendita probabilmente dal 2007. Ma funziona davvero? Un articolo del New York Times solleva qualche dubbio in merito.
La Hoodia gordonii è un cactus della famiglia delle Asclepiadacee coltivato dalla tribù sudafricana dei San (boscimani) che ne utilizzano il fusto per inibire lo stimolo della fame e affrontare lunghe marce nel deserto. La polvere della pianta è color senape tendente al verde e la posologia va da 200 a 400 mg prima dei pasti. I boscimani ne parlano in termini entusiastici e sulla stessa lunghezza d'onda gli integratori a base del composto già in vendita negli Stati Uniti, sono promossi con pubblicità esaltanti. "Toglie l'appetito, innalza l'umore ed è energetico" oppure "inganna il cervello facendogli credere che la pancia sia piena e permette così di perdere il peso in eccesso" dicono i claim. Nonostante l'entusiasmo pubblicitario, però, nessuno studio scientifico ha mai dimostrato in modo ufficiale l'efficacia della pianta o dei suoi derivati. Ecco perché ben pochi medici la prescrivono per perdere peso. Il fatto poi che i boscimani sostengano l'efficacia della pianta come antifame non significa necessariamente che i suoi derivati "processati" funzionino allo stesso modo. Un aspetto, dicono quelli del New York Times, salta agli occhi: il fatto che la popolazione africana sia particolarmente attiva e che le popolazioni occidentali abbiano più facilità di accesso al cibo. Il meccanismo di funzionamento sarebbe il seguente: il principio attivo della pianta, una molecola scoperta nel 1996 e denominata P57, invierebbe al cervello, probabilmente all'ipotalamo, un messaggio di sazietà, non appena superato un certo quantitativo di calorie. L'azione partirebbe perciò dopo un introito calorico stimato attorno alle 2200 calorie. Il problema è che esiste un unico studio sull'argomento pubblicato in Medline, peraltro non conclusivo anzi fortemente dubbioso, a cui si aggiunge un altro studio britannico che non ha, però, avuto pubblicazione. In questo studio a nove soggetti è stato somministrata una quantità non specificata di P57, due volte al giorno per 15 giorni, ottenendo una complessiva perdita di peso superiore a quella dei soggetti trattati con placebo. Ma si tratta di risultati troppo vaghi per poter essere ufficializzati. Ora sono i potenziali produttori che si stanno muovendo per testare l'efficacia e la sicurezza di Hoodia, in modo da poterla commercializzare come ingrediente in bevande o cibi. La verifica condotta sui prodotti già in commercio ha portato a concludere che due di questi non contengono significative quantità di P57, quattro ne contengono molto poca e le rimanenti quattro una quantità sufficiente. Ma il dubbio permane: ci sarà abbastanza principio attivo per avere qualche effetto?
Marco Malagutti
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Il dimagrante del futuro?
La Hoodia gordonii è un cactus della famiglia delle Asclepiadacee coltivato dalla tribù sudafricana dei San (boscimani) che ne utilizzano il fusto per inibire lo stimolo della fame e affrontare lunghe marce nel deserto. La polvere della pianta è color senape tendente al verde e la posologia va da 200 a 400 mg prima dei pasti. I boscimani ne parlano in termini entusiastici e sulla stessa lunghezza d'onda gli integratori a base del composto già in vendita negli Stati Uniti, sono promossi con pubblicità esaltanti. "Toglie l'appetito, innalza l'umore ed è energetico" oppure "inganna il cervello facendogli credere che la pancia sia piena e permette così di perdere il peso in eccesso" dicono i claim. Nonostante l'entusiasmo pubblicitario, però, nessuno studio scientifico ha mai dimostrato in modo ufficiale l'efficacia della pianta o dei suoi derivati. Ecco perché ben pochi medici la prescrivono per perdere peso. Il fatto poi che i boscimani sostengano l'efficacia della pianta come antifame non significa necessariamente che i suoi derivati "processati" funzionino allo stesso modo. Un aspetto, dicono quelli del New York Times, salta agli occhi: il fatto che la popolazione africana sia particolarmente attiva e che le popolazioni occidentali abbiano più facilità di accesso al cibo. Il meccanismo di funzionamento sarebbe il seguente: il principio attivo della pianta, una molecola scoperta nel 1996 e denominata P57, invierebbe al cervello, probabilmente all'ipotalamo, un messaggio di sazietà, non appena superato un certo quantitativo di calorie. L'azione partirebbe perciò dopo un introito calorico stimato attorno alle 2200 calorie. Il problema è che esiste un unico studio sull'argomento pubblicato in Medline, peraltro non conclusivo anzi fortemente dubbioso, a cui si aggiunge un altro studio britannico che non ha, però, avuto pubblicazione. In questo studio a nove soggetti è stato somministrata una quantità non specificata di P57, due volte al giorno per 15 giorni, ottenendo una complessiva perdita di peso superiore a quella dei soggetti trattati con placebo. Ma si tratta di risultati troppo vaghi per poter essere ufficializzati. Ora sono i potenziali produttori che si stanno muovendo per testare l'efficacia e la sicurezza di Hoodia, in modo da poterla commercializzare come ingrediente in bevande o cibi. La verifica condotta sui prodotti già in commercio ha portato a concludere che due di questi non contengono significative quantità di P57, quattro ne contengono molto poca e le rimanenti quattro una quantità sufficiente. Ma il dubbio permane: ci sarà abbastanza principio attivo per avere qualche effetto?
Marco Malagutti
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