22 febbraio 2008
Aggiornamenti e focus
Il gene giusto per lasciare l'alcol
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Il naltrexone è un farmaco da sempre impiegato per contrastare gli effetti delle overdose da derivati dell'oppio come l'eroina. Ben noto a tutti gli operatori sul campo che trattano le dipendenze, è stato ben presto messo alla prova in una situazione idifferente, cioè l'alcolismo. Come è noto, l'alcol è tra tutte le sostanze psicoattive una di quelle in grado di instaurare la dipendenza più forte. Ricerche per valutare l'efficacia del naltrexone nell'alcolismo ne sono state condotte parecchie, e in alcune il naltrexcone non era stato usato da solo. Uno di questi studi, battezzato COMBINE, ha dato però l'occasione di capire qualcosa di più dei meccanismi attraverso i quali si realizza la dipendenza e, ancora più importante di capire perché certi soggetti rispondono e altri no. Per la ricerca sono stati reclutati oltre 1.000 soggetti, randomizzati in ben 9 gruppi, per confrontare gli effetti di naltrexone, acamprosato e intervento comportamentale combinato (CBI l'acronimo inglese), da soli e in associazione tra loro. Tutti erano comunque tenuti a partecipare a delle sedute di sostegno, durante le quali i medici dispensavano i farmaci, spiegavano l'importanza di astenersi dalle bevande alcoliche e di rispettare la terapia assegnata.
All'interno dello studio COMBINE, limitatamente ai gruppi in trattamento con naltrexone (o placebo), è stata pianificata un'indagine farmacogenetica per chiarire se, e come, il polimorfismo funzionale Asn40Asp del gene che codifica per il recettore mu degli oppioidi (OPRM1) influenzasse la risposta al farmaco.
Il confronto è stato fatto tra soggetti eterozigoti (Asp40/Asn40), omozigoti (Asp40/Asp40) per l'allele Asp40 del gene OPRM1 e omozigoti (Asn40/Asn40) senza il polimorfismo. I risultati sono stati misurati in termini di numero di giorni d'astinenza, numero di giorni di "sbornia" ogni mese e stato di salute complessivo al termine dello studio, durato 4 mesi.
È risultato che i soggetti con almeno un allele Asp40 ottenevano risultati decisamente migliori con il naltrexone rispetto al placebo. I soggetti omozigoti Asn40, invece, non rispondevano al farmaco. In particolare: con un allele Asp40 e naltrexone l'87,1% dei pazienti si riabilita mentre con un allele Asp40 e placebo solo il 48,6% dei pazienti ce la fa; una differenza che scompare se si aggiunge anche la psicoterapia.
La presenza o l'assenza dell'allele danno un'indicazione limitata agli effetti del naltrexone, senza precludere l'efficacia di altri interventi terapeutici. Per ora quindi, oltre che a scopo di ricerca di nuovi farmaci, la tipizzazione del gene OPRM1 nelle persone che abusano di alcol può essere utile per selezionare i soggetti non responder e inserirli da subito in regimi terapeutici differenti. Il risultato è però importante anche perché l'indagine genetica permette di riservare un trattamento costoso soltanto a coloro che ne trarranno effettivo beneficio. Come spesso accade con la farmacogenetica, resta l'ostacolo della spesa per il test, un aspetto che lo studio non ha affrontato, se non in modo implicito. Infatti sebbene i soggetti dei quali era disponibile il DNA tipizzato fossero 911, l'analisi è stata ristretta ai 604 soggetti di razza bianca. Questo perché studi precedenti avevano segnalato che nella popolazione afro-americana l'allele Asp40 è presente in meno del 5% dei casi, a fronte di una percentuale di diffusione del 15-25% tra soggetti di razza bianca. In pratica, la ricerca sistematica di una determinata caratteristica genetica sembra avere un senso quando la diffusione tra la popolazione indagata raggiunge un certo livello, mentre quando è molto rara, l'eventuale test molecolare ha senso solo dopo che si è verificato l'insuccesso della terapia.
Elisabetta Lucchesini
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...e inoltre su Dica33:
All'interno dello studio COMBINE, limitatamente ai gruppi in trattamento con naltrexone (o placebo), è stata pianificata un'indagine farmacogenetica per chiarire se, e come, il polimorfismo funzionale Asn40Asp del gene che codifica per il recettore mu degli oppioidi (OPRM1) influenzasse la risposta al farmaco.
Quando non serve il farmaco da solo
Il confronto è stato fatto tra soggetti eterozigoti (Asp40/Asn40), omozigoti (Asp40/Asp40) per l'allele Asp40 del gene OPRM1 e omozigoti (Asn40/Asn40) senza il polimorfismo. I risultati sono stati misurati in termini di numero di giorni d'astinenza, numero di giorni di "sbornia" ogni mese e stato di salute complessivo al termine dello studio, durato 4 mesi.
È risultato che i soggetti con almeno un allele Asp40 ottenevano risultati decisamente migliori con il naltrexone rispetto al placebo. I soggetti omozigoti Asn40, invece, non rispondevano al farmaco. In particolare: con un allele Asp40 e naltrexone l'87,1% dei pazienti si riabilita mentre con un allele Asp40 e placebo solo il 48,6% dei pazienti ce la fa; una differenza che scompare se si aggiunge anche la psicoterapia.
La presenza o l'assenza dell'allele danno un'indicazione limitata agli effetti del naltrexone, senza precludere l'efficacia di altri interventi terapeutici. Per ora quindi, oltre che a scopo di ricerca di nuovi farmaci, la tipizzazione del gene OPRM1 nelle persone che abusano di alcol può essere utile per selezionare i soggetti non responder e inserirli da subito in regimi terapeutici differenti. Il risultato è però importante anche perché l'indagine genetica permette di riservare un trattamento costoso soltanto a coloro che ne trarranno effettivo beneficio. Come spesso accade con la farmacogenetica, resta l'ostacolo della spesa per il test, un aspetto che lo studio non ha affrontato, se non in modo implicito. Infatti sebbene i soggetti dei quali era disponibile il DNA tipizzato fossero 911, l'analisi è stata ristretta ai 604 soggetti di razza bianca. Questo perché studi precedenti avevano segnalato che nella popolazione afro-americana l'allele Asp40 è presente in meno del 5% dei casi, a fronte di una percentuale di diffusione del 15-25% tra soggetti di razza bianca. In pratica, la ricerca sistematica di una determinata caratteristica genetica sembra avere un senso quando la diffusione tra la popolazione indagata raggiunge un certo livello, mentre quando è molto rara, l'eventuale test molecolare ha senso solo dopo che si è verificato l'insuccesso della terapia.
Elisabetta Lucchesini
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