19 maggio 2015
Aggiornamenti e focus
Farmaci equivalenti, si può fare di più
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Ha un potenziale enorme ma ancora non totalmente espresso! Quante volte abbiamo sentito questa frase nei colloqui tra genitori e insegnanti a scuola! Bene! Applichiamo lo stesso concetto al mercato italiano dei farmaci equivalenti: è un mercato che non ha ancora raggiunto il suo massimo potenziale. Ad oggi, infatti, il mercato dei generici rappresenta poco più del 13 per cento della spesa farmaceutica di classe A.
La fotografia impietosa della situazione proviene da uno studio realizzato da Nomisma per conto di Assogenerici, dal titolo Il sistema dei farmaci generici in Italia. Scenari per una crescita sostenibile che, dopo aver fatto una disamina della situazione odierna, ha avanzato alcune ipotesi sul futuro del settore e le ricadute sui pazienti-consumatori.
Lo studio Nomisma ha ancora una volta rimarcato il vantaggio dell'impiego dei farmaci equivalenti per il contenimento della spesa farmaceutica, dal momento che l'introduzione di un farmaco equivalente porta a una riduzione del prezzo per confezione pari, in media, al 60 per cento a un anno dall'ingresso nel mercato.
Non solo: il risparmio è tangibile anche nelle tasche del singolo cittadino-paziente: se i pazienti sostituissero tutti i farmaci utilizzati con i rispettivi equivalenti al prezzo più basso sarebbe possibile ottenere oltre 1,4 miliardi di risparmi privati, a parità di confezioni vendute. Ciò avrebbe ricadute positive sull'intera economia generale del Paese grazie all'incremento dei consumi in altri settori, quantificato in circa 700 milioni di euro. Se le cose stanno in questi termini, quali sono le cause del limitato utilizzo di questi farmaci? Qui il rapporto fa emergere una situazione contraddittoria. L'accettazione degli equivalenti da parte del cittadino-paziente, infatti, è ormai evidente: nel corso dell'ultimo anno la percentuale di pazienti che ha fatto ricorso a questi farmaci è stata prossima al 90 per cento mentre il 72 per cento del campione di pazienti intervistati ha dichiarato di aver utilizzato questi farmaci almeno una volta. Lo studio, inoltre, ha documentato anche che negli ultra60enni il punto di riferimento prevalente per la scelta del farmaco equivalente è stato il medico mentre nelle fasce d'età tra i 18 e i 60 anni è stato il farmacista.
Se però si indaga sulle ragioni invocate da medici e farmacisti per spiegare quali sono i fattori a loro parere responsabili della ritardata penetrazione dei farmaci equivalenti, i medici mettono ai primi posti l'elevato numero di autorizzazioni all'immissione in commercio e la presenza di informazioni insufficienti sull'affidabilità delle aziende produttrici e sui loro prodotti - la qual cosa induce molti di loro a prescrivere per consuetudine gli stessi farmaci - I farmacisti, invece, mettono, a pari merito la diffidenza verso questi farmaci da parte dei medici e dei pazienti.
Ancora una volta, problemi di natura informativa, a fronte delle numerose campagne di sensibilizzazione sul tema dell'utilizzo dei farmaci equivalenti, sembrano dunque, l'ostacolo principale che impedisce di godere appieno dei benefici derivanti dal loro impiego.
Parte del problema, è inutile nasconderlo, deriva dalla percezione sostanzialmente negativa attribuita al termine generico (sarebbe forse stato opportuno chiamarli da subito equivalenti). Probabilmente questo avrebbe impedito anche la cattiva percezione del farmaco equivalente come farmaco "taroccato" o di serie B, ancora prevalente in certa parte dell'opinione pubblica e, a quanto pare, come emerso nella ricerca, perduranti in alcuni settori del mondo medico.
È auspicabile, pertanto, l'abbattimento di questi "vuoti informativi" (così li ha definiti la ricerca Nomisma) e l'instaurazione di una collaborazione virtuosa tra le categorie professionali (medici, farmacisti) coinvolte nei processi di prescrizione e dispensazione dei farmaci. Solo questa alleanza potrà definitivamente scalfire le ultime diffidenze dei pazienti relative all'impiego dei farmaci biosimilari e rendere il nostro sistema sanitario sostenibile, in sicurezza.
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
La fotografia impietosa della situazione proviene da uno studio realizzato da Nomisma per conto di Assogenerici, dal titolo Il sistema dei farmaci generici in Italia. Scenari per una crescita sostenibile che, dopo aver fatto una disamina della situazione odierna, ha avanzato alcune ipotesi sul futuro del settore e le ricadute sui pazienti-consumatori.
Lo studio Nomisma ha ancora una volta rimarcato il vantaggio dell'impiego dei farmaci equivalenti per il contenimento della spesa farmaceutica, dal momento che l'introduzione di un farmaco equivalente porta a una riduzione del prezzo per confezione pari, in media, al 60 per cento a un anno dall'ingresso nel mercato.
Non solo: il risparmio è tangibile anche nelle tasche del singolo cittadino-paziente: se i pazienti sostituissero tutti i farmaci utilizzati con i rispettivi equivalenti al prezzo più basso sarebbe possibile ottenere oltre 1,4 miliardi di risparmi privati, a parità di confezioni vendute. Ciò avrebbe ricadute positive sull'intera economia generale del Paese grazie all'incremento dei consumi in altri settori, quantificato in circa 700 milioni di euro. Se le cose stanno in questi termini, quali sono le cause del limitato utilizzo di questi farmaci? Qui il rapporto fa emergere una situazione contraddittoria. L'accettazione degli equivalenti da parte del cittadino-paziente, infatti, è ormai evidente: nel corso dell'ultimo anno la percentuale di pazienti che ha fatto ricorso a questi farmaci è stata prossima al 90 per cento mentre il 72 per cento del campione di pazienti intervistati ha dichiarato di aver utilizzato questi farmaci almeno una volta. Lo studio, inoltre, ha documentato anche che negli ultra60enni il punto di riferimento prevalente per la scelta del farmaco equivalente è stato il medico mentre nelle fasce d'età tra i 18 e i 60 anni è stato il farmacista.
Se però si indaga sulle ragioni invocate da medici e farmacisti per spiegare quali sono i fattori a loro parere responsabili della ritardata penetrazione dei farmaci equivalenti, i medici mettono ai primi posti l'elevato numero di autorizzazioni all'immissione in commercio e la presenza di informazioni insufficienti sull'affidabilità delle aziende produttrici e sui loro prodotti - la qual cosa induce molti di loro a prescrivere per consuetudine gli stessi farmaci - I farmacisti, invece, mettono, a pari merito la diffidenza verso questi farmaci da parte dei medici e dei pazienti.
Ancora una volta, problemi di natura informativa, a fronte delle numerose campagne di sensibilizzazione sul tema dell'utilizzo dei farmaci equivalenti, sembrano dunque, l'ostacolo principale che impedisce di godere appieno dei benefici derivanti dal loro impiego.
Parte del problema, è inutile nasconderlo, deriva dalla percezione sostanzialmente negativa attribuita al termine generico (sarebbe forse stato opportuno chiamarli da subito equivalenti). Probabilmente questo avrebbe impedito anche la cattiva percezione del farmaco equivalente come farmaco "taroccato" o di serie B, ancora prevalente in certa parte dell'opinione pubblica e, a quanto pare, come emerso nella ricerca, perduranti in alcuni settori del mondo medico.
È auspicabile, pertanto, l'abbattimento di questi "vuoti informativi" (così li ha definiti la ricerca Nomisma) e l'instaurazione di una collaborazione virtuosa tra le categorie professionali (medici, farmacisti) coinvolte nei processi di prescrizione e dispensazione dei farmaci. Solo questa alleanza potrà definitivamente scalfire le ultime diffidenze dei pazienti relative all'impiego dei farmaci biosimilari e rendere il nostro sistema sanitario sostenibile, in sicurezza.
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