Corretta assunzione di farmaci, un’indagine fotografa la situazione italiana

29 ottobre 2015
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Corretta assunzione di farmaci, un’indagine fotografa la situazione italiana



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Ha acceso il dibattito l'indagine condotta da Doxa Marketing Advice in collaborazione con Teva Italia. Il tema? L'aderenza terapeutica, con cui si intende l'effettiva assunzione del farmaco prescritto nei modi e nei tempi indicati, con continuità e senza dimenticanze.
Per averne una visione a 360 gradi, è stato implementato un impianto di ricerca multifasica, con 600 interviste online a persone tra i 18 e i 64 anni, 16 colloqui con medici di Medicina generale e altrettanti con farmacisti, oltre a 24 con specialisti, due focus group con persone tra i 50 e i 65 anni e due web discussion con persone tra i 35 e i 49 anni. Ecco alcuni dei risultati.

Per il 40 per cento degli intervistati, al primo posto tra i fattori che ostacolano l'aderenza alla terapia c'è il costo elevato di certi farmaci, che il paziente non riesce a sostenere.
«Eppure», commenta Silvio Garattini, farmacologo, Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, Milano, «c'è ancora una grande diffidenza a curarsi con i farmaci equivalenti. Nonostante l'85 per cento del campione intervistato sostenga che l'utilizzo più diffuso di questi medicinali possa contribuire al miglioramento dell'aderenza alle terapie e a una migliore accessibilità alle cure».
C'è purtroppo ancora l'idea, errata, che ciò che costa tanto valga di più, ma questo non è vero quando si tratta di farmaci. Con conseguenze che parlano da sé: nel 2014 per pagare la differenza tra generico e originator, i pazienti hanno sborsato circa un miliardo di euro. Rimane anche diffuso il concetto che gli equivalenti "funzionino" meno bene. Ma anche dal recente congresso di farmacologia è emerso che non ci sono dati di farmacovigilanza a tal proposito. Dunque, nessun incremento di effetti collaterali tra gli equivalenti rispetto al brand.

Per il 41 per cento degli intervistati, ai fini di una migliore aderenza terapeutica è essenziale il rapporto tra medico e paziente. A giocare un ruolo fondamentale sarebbero proprio i medici di Medicina generale e gli specialisti, che si sentono direttamente coinvolti. Ma in questo ambito c'è ancora molto da fare, considerando i comportamenti dei pazienti nelle diverse aree terapeutiche.
Qualche esempio. I pazienti ritengono basilare l'aderenza quando si tratta di malattie del sistema nervoso centrale, ma la temono per il timore di incorrere in dipendenza da farmaci. I medicinali vengono vissuti con riluttanza anche nell'area respiratoria, L'aderenza, dicono i pazienti, è importante. Ma alla resa dei conti, viene riservata alle fasi di crisi acute. L'aderenza infine trova tutti d'accordo nel caso di cure cardiovascolari, perché viene ritenuta un salvavita per i pazienti.
Cosa fare per migliorare queste situazioni? Forse, a leggere alcuni risultati del sondaggio, i medici dovrebbero modificare il loro atteggiamento, visto che ben il 20 per cento dei pazienti intervistati ha dichiarato una certa resistenza a fidarsi del proprio medico, e il 29 per cento ha fornito quale spiegazione alla scarsa aderenza, il linguaggio troppo tecnico e complesso usato da alcuni medici.

Per il 54 per cento degli intervistati l'aderenza alla cura dipende dalla scrupolosità con cui il paziente segue la terapia. Ci sono però molte variabili che remano contro la diligenza del paziente. I dati dimostrano infatti che due pazienti su tre ascoltano le indicazioni mediche, ma poi fanno di testa propria. Ma si tratta di una resistenza soprattutto psicologica: spiegazioni più dettagliate aumenterebbero sicuramente la percentuale dei pazienti "diligenti".
«Va modificato anche il foglietto illustrativo», interviene Enrique Hausermann, presidente di Assogenerici, l'associazione che riunisce le aziende produttrici di equivalenti. «Deve essere più corto, con punti di attenzione, un linguaggio semplice. Com'è ora è fuorviante e spesso è proprio la lettura degli effetti collaterali sul "bugiardino" a spaventare il paziente e a fargli modificare o addirittura interrompere la terapia».



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