14 marzo 2016
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Mirtilli e infezioni urinarie: attenti alle dosi
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Bere succo di mirtillo rosso funziona contro le infezioni urinarie e riesce a ridurre i fastidiosi e dolorosi sintomi causati da batteri che colonizzano le vie urinarie - reni, vescica, uretra e ureteri. È una convinzione di molti, ma a quanto pare non corrisponde alla realtà. Timothy Boone, urologo e vice preside del Texas a&m health science center college of medicine a Houston spiega in un documento perché i risultati degli studi clinici non sempre si possono applicare direttamente alla vita reale.
«Le infezioni urinarie sono un problema molto comune, che colpisce negli Stati Uniti oltre 3 milioni di persone ogni anno, soprattutto donne» spiega Boone ricordando che tra i sintomi di queste infezioni ci sono l'urgenza di correre in bagno, dolore nell'urinare o alla zona pelvica e sangue nelle urine. Quella che viene spesso definita "saggezza popolare" raccomanda di bere succo di mirtillo per ridurre questi sintomi e curare le infezioni urinarie e, come spesso accade, la scienza è riuscita a supportare questo suggerimento della tradizione.
«Uno studio pubblicato sull'American journal of obstetrics and gynecology ha osservato una riduzione del 50 per cento del rischio di infezioni del tratto urinario nelle donne che assumevano capsule di mirtillo e che avevano un catetere per via di un intervento ginecologico» dice l'urologo statunitense. «Ciascuna delle capsule utilizzate nello studio corrispondeva - in termini di concentrazione di principio attivo - a quasi mezzo litro di succo di mirtillo». Sappiamo in effetti che il mirtillo ha proprietà benefiche per il tratto urinario: in particolare la proantocianidina di tipo A, una delle sostanze contenuta in questi frutti interferisce con la capacità dei batteri che causano le infezioni urinarie di attaccarsi alle pareti degli organi e dare il via all'infezione stessa. «Ma per raggiungere l'obiettivo servono concentrazioni elevate della sostanza, molto superiori a quelle che si trovano nei succhi di mirtillo in commercio» ricorda Boone.
Quanto riferito da Boone per la proantocianidina di tipo A e le infezioni urinarie può essere ripreso, con le dovute modifiche, anche per altre molecole e altre patologie. Quando si studia l'effetto di una particolare sostanza sulla salute - che sia il trattamento di una malattia o la riduzione del rischio - se ne utilizzano spesso concentrazioni molto elevate, in genere di gran lunga superiori a quelle presenti negli alimenti e che a volte non è possibile consumare con la dieta quotidiana. Oppure, in altri casi si utilizzano per gli studi alimenti creati ad hoc, come per esempio un cioccolato particolarmente ricco di determinati polifenoli e altri antiossidanti. Come se non bastasse, non bisogna dimenticare che in genere solo una piccola percentuale delle sostanze antiossidanti contenute negli alimenti riesce a essere utilizzata dall'organismo. Che fare quindi? Come spiegano gli esperti, ciò non significa certo che non ci si deve più fidare di quanto emerge da questo tipo di studi che valutano l'impatto del cibo sulla salute, ma semplicemente che bisogna sempre tenere gli occhi aperti e non farsi ammaliare dalla possibilità di trovare rimedi troppo semplici. Chiedere consiglio al proprio medico resta il modo migliore per evitare brutte sorprese.
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