09 maggio 2003
Aggiornamenti e focus
Una questione di stile
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"Lo stile di vita dei malati di cuore europei continua a essere molto preoccupante", a questa amara conclusione sono giunti gli autori dello studio Euroaspire II, pubblicati su Lancet nel 2001. Una nuova ricerca, questa volta pubblicata sul New England Journal of Medicine, affronta di nuovo la prevenzione cardiovascolare secondaria, quella cioè successiva a un infarto acuto o a un bypass aortocororonarico. I toni sono meno apocalittici, ma il principio resta lo stesso: non abbassare la guardia.
Già a un anno dall'intervento di bypass il 70-80% dei pazienti è in grado di tornare a lavorare. A cinque anni, invece, i sintomi anginosi ricorrono nel 15% dei pazienti mentre il 10% è vittima di eventi ischemici. Del resto nei pazienti con un infarto post-operatorio il rischio di eventi sia ischemici sia anginosi raddoppia rispetto a quelli che non hanno avuto un infarto. L'ictus, invece, è meno comune come problema a lungo termine. Fino al 27% dei pazienti sottoposti all'intervento, manifesta, inoltre, problemi cognitivi. Memoria, concentrazione, capacità di astrazione e di comprensione linguistica, possono lentamente arrugginirsi in pazienti cardiopatici a cui è stato inserito un bypass. I dati non sono univoci. Si va dal 5 al 33% di deterioramento cognitivo a sei mesi dall'intervento. La ragione, come spiegato di recente sul New England da Mark Newman, primario del reparto di anestesia cardiotoracica al Duke Hospital, sta nella formazione di piccoli emboli o grumi di sangue capaci di raggiungere il cervello, con una gravità di sintomi che varia da individuo a individuo. Sempre restando nell'area mentale, quello di bypass è l'intervento chirurgico che più facilmente comporta depressione. Una percentuale di pazienti compresa tra il 25 e il 50%, infatti, ha sintomi di depressione già prima dell'intervento, si tratta di pazienti che soffrono in particolar modo lo stress emotivo e che mancano dell'adeguato supporto sociale. Un fenomeno questo che, comunque, in almeno metà dei pazienti si risolve a pochi mesi dall'intervento. Esiste poi una percentuale di pazienti pari al 18% che non sono depressi prima del bypass, ma hanno un significativo aumento di sintomi depressivi in seguito. Questi pazienti sono i più esposti a ricadute cardiache anche fatali.
La situazione comunque non è senza soluzione. I fattori di rischio, infatti, sono ben conosciuti e si dispone di farmaci efficaci e di linee guida molto chiare, si tratta di seguirle con il dovuto scrupolo. Che cosa dicono? Per ridurre il rischio cardiovascolare post-operatorio è necessario modificare lo stile di vita (fumo, esercizio fisico e dieta). I pazienti arruolati nello studio BARI (Bypass Angioplasty Revascularization Investigation), citato sempre sul New England, hanno incrementato significativamente i loro comportamenti salutistici a un anno dal bypass coronarico. I pazienti fumatori sono calati dal 24% al 12%, quelli attivi fisicamente sono aumentati dal 16% al 47% e la percentuale di pazienti che hanno seguito una dieta a basso contenuto di grassi è cresciuta dal 34 al 72%. Ma quali sono i risultati conseguiti? I numeri sono inequivocabili. I pazienti che smettono di fumare hanno una aumentata sopravvivenza dal 3 al 5% a cinque anni dall'intervento e fino al 15% a vent'anni, rispetto a quelli che hanno continuato a fumare. Altrettanto dicasi per la probabilità di ripetere l'intervento o di incorrere in un altro infarto, valori che dimezzano. Può essere considerato anche il ricorso alla terapia sostitutiva con nicotina, che comunque diminuisce il rischio. Meno documentato, invece, il rapporto tra rischio e esercizio fisico. Esiste comunque uno studio che evidenzia l'associazione tra un programma di riabilitazione cardiaca, basato sull'esercizio aerobico e la riduzione del rischio cardiaco post-chirurgico, con un significativo aumento anche della qualità della vita. Come a dire niente di meglio di un programma di riabilitazione cardiaca per scongiurare il pericolo depressione. Quanto agli aspetti psicosociali dopo un anno dall'intervento la maggior parte dei pazienti riscontra drastici miglioramenti nella capacità di affrontare le attività quotidiane. L'80% almeno non ha limitazioni per quel che concerne la vita sociale, sessuale e il tempo libero. Per conseguire questi risultati, però, non si può prescindere dal supporto sociale che conduce alla riduzione dei sintomi depressivi e a minori limitazioni funzionali. Anche approcci come rilassamento, meditazione e consulti individuali sembrano basilari per ridurre la percentuale di eventi cardiaci e migliorare la qualità della vita.
Organizzare programmi di prevenzione è così possibile, fondamentale, però, è affrontare tutte le parti della questione attraverso un approccio integrato tra cardiologi, medici di base e altri operatori sanitari.
Marco Malagutti
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
Quali rischi
Già a un anno dall'intervento di bypass il 70-80% dei pazienti è in grado di tornare a lavorare. A cinque anni, invece, i sintomi anginosi ricorrono nel 15% dei pazienti mentre il 10% è vittima di eventi ischemici. Del resto nei pazienti con un infarto post-operatorio il rischio di eventi sia ischemici sia anginosi raddoppia rispetto a quelli che non hanno avuto un infarto. L'ictus, invece, è meno comune come problema a lungo termine. Fino al 27% dei pazienti sottoposti all'intervento, manifesta, inoltre, problemi cognitivi. Memoria, concentrazione, capacità di astrazione e di comprensione linguistica, possono lentamente arrugginirsi in pazienti cardiopatici a cui è stato inserito un bypass. I dati non sono univoci. Si va dal 5 al 33% di deterioramento cognitivo a sei mesi dall'intervento. La ragione, come spiegato di recente sul New England da Mark Newman, primario del reparto di anestesia cardiotoracica al Duke Hospital, sta nella formazione di piccoli emboli o grumi di sangue capaci di raggiungere il cervello, con una gravità di sintomi che varia da individuo a individuo. Sempre restando nell'area mentale, quello di bypass è l'intervento chirurgico che più facilmente comporta depressione. Una percentuale di pazienti compresa tra il 25 e il 50%, infatti, ha sintomi di depressione già prima dell'intervento, si tratta di pazienti che soffrono in particolar modo lo stress emotivo e che mancano dell'adeguato supporto sociale. Un fenomeno questo che, comunque, in almeno metà dei pazienti si risolve a pochi mesi dall'intervento. Esiste poi una percentuale di pazienti pari al 18% che non sono depressi prima del bypass, ma hanno un significativo aumento di sintomi depressivi in seguito. Questi pazienti sono i più esposti a ricadute cardiache anche fatali.
Come prevenire
La situazione comunque non è senza soluzione. I fattori di rischio, infatti, sono ben conosciuti e si dispone di farmaci efficaci e di linee guida molto chiare, si tratta di seguirle con il dovuto scrupolo. Che cosa dicono? Per ridurre il rischio cardiovascolare post-operatorio è necessario modificare lo stile di vita (fumo, esercizio fisico e dieta). I pazienti arruolati nello studio BARI (Bypass Angioplasty Revascularization Investigation), citato sempre sul New England, hanno incrementato significativamente i loro comportamenti salutistici a un anno dal bypass coronarico. I pazienti fumatori sono calati dal 24% al 12%, quelli attivi fisicamente sono aumentati dal 16% al 47% e la percentuale di pazienti che hanno seguito una dieta a basso contenuto di grassi è cresciuta dal 34 al 72%. Ma quali sono i risultati conseguiti? I numeri sono inequivocabili. I pazienti che smettono di fumare hanno una aumentata sopravvivenza dal 3 al 5% a cinque anni dall'intervento e fino al 15% a vent'anni, rispetto a quelli che hanno continuato a fumare. Altrettanto dicasi per la probabilità di ripetere l'intervento o di incorrere in un altro infarto, valori che dimezzano. Può essere considerato anche il ricorso alla terapia sostitutiva con nicotina, che comunque diminuisce il rischio. Meno documentato, invece, il rapporto tra rischio e esercizio fisico. Esiste comunque uno studio che evidenzia l'associazione tra un programma di riabilitazione cardiaca, basato sull'esercizio aerobico e la riduzione del rischio cardiaco post-chirurgico, con un significativo aumento anche della qualità della vita. Come a dire niente di meglio di un programma di riabilitazione cardiaca per scongiurare il pericolo depressione. Quanto agli aspetti psicosociali dopo un anno dall'intervento la maggior parte dei pazienti riscontra drastici miglioramenti nella capacità di affrontare le attività quotidiane. L'80% almeno non ha limitazioni per quel che concerne la vita sociale, sessuale e il tempo libero. Per conseguire questi risultati, però, non si può prescindere dal supporto sociale che conduce alla riduzione dei sintomi depressivi e a minori limitazioni funzionali. Anche approcci come rilassamento, meditazione e consulti individuali sembrano basilari per ridurre la percentuale di eventi cardiaci e migliorare la qualità della vita.
Organizzare programmi di prevenzione è così possibile, fondamentale, però, è affrontare tutte le parti della questione attraverso un approccio integrato tra cardiologi, medici di base e altri operatori sanitari.
Marco Malagutti
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