Il vero obiettivo è ridurre le morti

29 aprile 2005
Aggiornamenti e focus

Il vero obiettivo è ridurre le morti



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A volte, di fronte a un preciso obiettivo clinico che viene perseguito da anni con mezzi diversi, è bene prendersi il tempo per fare un giro d'orizzonte e valutare i risultati ottenuti. Una precauzione doverosa soprattutto quando si tratta di un fattore di rischio importante come l'ipercolesterolemia, per il quale si possono usare farmaci molto diversi, anche dal punto di vista del costo, e sul quale si appuntano sia gli sforzi promozionali delle case farmaceutiche sia le campagne pubbliche di prevenzione.

Dalle statine alla vitamina B3


Tirare le somme della lotta a colesterolo e trigliceridi è lo scopo di una revisione sistematica di recente pubblicazione, che ha preso in considerazione tutti gli studi controllati dedicati agli effetti dei diversi agenti ipolipemizzanti disponibili e della dieta a basso tenore di grassi animali. Per capire l'interesse di questo studio bisogna anche premettere che spesso nei trial clinici si pongono degli obiettivi "forti" come la riduzione della mortalità e degli obiettivi secondari, per esempio la riduzione del livello di colesterolo LDL o l'aumento del colesterolo HDL (quello buono). E a volte succede che di fronte a non eccezionali risultati sul piano della mortalità, o su quello della prevenzione di infarti, si insista piuttosto sui successi ottenuti negli obiettivi secondari. Di qui la scelta dei ricercatori di calcolare soltanto i risultati in termini di riduzione della mortalità, sia quella dovuta a malattie cardiovascolari sia quella per tutte le altre cause. Quanto ai farmaci presi in considerazione erano: le statine, i fibrati, la niacina, le resine sequestranti, gli acidi grassi polinsaturi omega-3 e la cara vecchia dieta. Sono tutti farmaci impiegati anche in Europa e in Italia, a parte la niacina, una sostanza che è considerata una vitamina del gruppo B, il cui impiego è diffuso negli Stai Uniti ma certo non qui.

Acidi grassi un po' a sorpresa


In totale sono stati rintracciati 97 studi metodologicamente adeguati, per un totale di poco meno di 138.000 persone sottoposte a trattamento e quasi altrettante che hanno svolto il ruolo di gruppo di controllo. Rispondere alla domanda principale è, a posteriori, molto facile; le riduzioni del rischio di morte per tutte le cause (cioè cardiologiche e non cardiologiche) garantite dalle diverse terapie sono: 23% per gli acidi grassi Omega-3, 16% per le resine, 13% per le statine, 3% per la dieta e nessuna riduzione per i fibrati. Tuttavia la significatività statistica si raggiunge solo con statine e Omega-3. Se poi ci si limita alle malattie cardiovascolari mortali, si ottengono riduzioni per gli Omega-3 (32%), le resine (30%) e le statine (22%). Il caso dei fibrati, invece è diverso: la mortalità per cause non legate al cuore aumentava. Di conseguenza, posto che ci fosse anche una minima riduzione degli incidenti cardiovascolari, usando i fibrati, il benefico era superato dalla mortalità per altre cause. Un altro aspetto importante è che mentre le statine garantiscono una rilevante riduzione del livello di colesterolo (il 20%) lo stesso non avviene per gli acidi grassi, quindi probabilmente il meccanismo preventivo dell'infarto è diverso.In definitiva l'analisi, che può come tutti questi studi risentire di qualche vizio, è abbastanza chiara: la prevenzione dei decessi si ottiene principalmente con le statine, ma anche con gli Omega-3, spesso sottovalutati nella clinica. I fibrati, invece, offrono un beneficio inferiore. Quel che manca al quadro, secondo gli autori, è una verifica degli effetti che si potrebbero ottenere associando statine e Omega-3, visto che le due sostanze sfruttano meccanismi diversi, gli effetti potrebbero anche sommarsi.

Maurizio Imperiali



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