22 febbraio 2008
Aggiornamenti e focus
Meglio il palloncino, prima o poi
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In caso di infarto la soluzione ideale è poter procedere subito, entro 90 minuti, all'angioplastica se vi è l'indicazione. Una prescrizione che vale soprattutto per gli infarti con elevazione del segmento ST, una caratteristica rilevabile all'elettrocardiogramma, chiamati in gergo STEMI. Però non è sempre così facile adeguarsi all'indicazione: non è detto che tutte le cardiologie possano contare su un servizio di geodinamico (quello che si occupa dell'angioplastica) e non è nemmeno detto che sia sempre possibile trasferire a un centro attrezzato il paziente entro i termini ideali. Che fare in questo caso è materia di discussione. Gli approcci che si confrontano sono due: il primo è procedere alla trombolisi, cioè alla riapertura dell'arteria stenotica con dei farmaci che, appunto sciolgono il trombo e, eventualmente, procedere all'angioplastica di salvataggio (rescue) nel caso che la manovra non abbia effetto o il vaso si rioccluda. L'altro approccio, più recente, si basa sull'esecuzione di una trombolisi parziale, cioè con somministrazione di trombolitici per quanto meno migliorare la perfusione del muscolo cardiaco mentre si trasporta il paziente verso il centro attrezzato.
A tirar le somme del confronto ha provveduto uno studio internazionale, molto interessante perché condotto in tre paesi europei: Francia, Polonia e Italia e, tra l'altro, lo sponsor principale dello studio è la Società italiana di cardiologia interventistica. I ricercatori sono partiti identificando in ciascun paese un certo numero di ospedali privi del servizio di emodinamica ma vicini a un centro specializzato. Dopodiché hanno arruolato complessivamente 600 pazienti gravi che giungevano al pronto soccorso dividendoli, previo consenso informato, in due gruppi. Il confronto si basava sul numero di pazienti che subivano una ricaduta entro 30 giorni dall'ingresso nello studio, per ricaduta si intendeva un evento composito che comprendeva mortalità per tutte le cause, reinfarto e ischemia miocardica refrattaria, cioè che non risponde al trattamento con beta-bloccati e calcioantagonisti ma che non è un vero proprio nuovo infarto.
Il confronto tra i due trattamenti ha dato risultati significativi sul piano statistico; la ricaduta era decisamente più frequente nei pazienti trattati in modo conservativo: 32 pazienti, pari al 10,7%, mentre nell'altro gruppo erano 13, pari al 4,4%. Era soprattutto l'ischemia refrattaria a essere molto più frequente nei pazienti avviati alla trombolisi standard, mentre i decessi e il reinfarto non differivano tra i due gruppi. Come è logico, anche la necessità di ricanalizzare l'arteria era decisamente più frequente nel gruppo trombolisi: il 30,7% rispetto al 6,4%. Non vi erano invece differenze significative per quanto riguarda eventi quali le emorragie gravi o l'ictus.
Insomma, lo studio dimostra che anche quando non si riesce ad avviare subito il paziente all'angioplastica è meglio guadagnare tempo con la trombolisi ma comunque passare poi alla dilatazione meccanica del vaso occluso, mentre limitarsi al trattamento farmacologico e procedere semmai dopo alla dilatazione comporta qualche inconveniente. Questo, però, non significa che sia il caso di usare i farmaci anche quando si può intervenire immediatamente, pratica controversa che viene chiamata angioplastica facilitata. Il risultato è importante, soprattutto considerando gli aspetto sanitari e organizzativi: infatti, non è così facilmente ipotizzabile che ogni ospedale abbia il reparto di emodinamica, sia per ragioni di costo sia per ragioni di formazione. Da tempo, infatti, è stato stabilito che per avere un tasso accettabile di successi un reparto deve condurre un certo numero minimo di interventi, una condizione difficilmente realizzabile moltiplicando le strutture: non ci sarebbero abbastanza infarti per tutti, fortunatamente.
Maurizio Imperiali
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Ischemia resistente ai farmaci
A tirar le somme del confronto ha provveduto uno studio internazionale, molto interessante perché condotto in tre paesi europei: Francia, Polonia e Italia e, tra l'altro, lo sponsor principale dello studio è la Società italiana di cardiologia interventistica. I ricercatori sono partiti identificando in ciascun paese un certo numero di ospedali privi del servizio di emodinamica ma vicini a un centro specializzato. Dopodiché hanno arruolato complessivamente 600 pazienti gravi che giungevano al pronto soccorso dividendoli, previo consenso informato, in due gruppi. Il confronto si basava sul numero di pazienti che subivano una ricaduta entro 30 giorni dall'ingresso nello studio, per ricaduta si intendeva un evento composito che comprendeva mortalità per tutte le cause, reinfarto e ischemia miocardica refrattaria, cioè che non risponde al trattamento con beta-bloccati e calcioantagonisti ma che non è un vero proprio nuovo infarto.
Il confronto tra i due trattamenti ha dato risultati significativi sul piano statistico; la ricaduta era decisamente più frequente nei pazienti trattati in modo conservativo: 32 pazienti, pari al 10,7%, mentre nell'altro gruppo erano 13, pari al 4,4%. Era soprattutto l'ischemia refrattaria a essere molto più frequente nei pazienti avviati alla trombolisi standard, mentre i decessi e il reinfarto non differivano tra i due gruppi. Come è logico, anche la necessità di ricanalizzare l'arteria era decisamente più frequente nel gruppo trombolisi: il 30,7% rispetto al 6,4%. Non vi erano invece differenze significative per quanto riguarda eventi quali le emorragie gravi o l'ictus.
Strutture piccole e grandi
Insomma, lo studio dimostra che anche quando non si riesce ad avviare subito il paziente all'angioplastica è meglio guadagnare tempo con la trombolisi ma comunque passare poi alla dilatazione meccanica del vaso occluso, mentre limitarsi al trattamento farmacologico e procedere semmai dopo alla dilatazione comporta qualche inconveniente. Questo, però, non significa che sia il caso di usare i farmaci anche quando si può intervenire immediatamente, pratica controversa che viene chiamata angioplastica facilitata. Il risultato è importante, soprattutto considerando gli aspetto sanitari e organizzativi: infatti, non è così facilmente ipotizzabile che ogni ospedale abbia il reparto di emodinamica, sia per ragioni di costo sia per ragioni di formazione. Da tempo, infatti, è stato stabilito che per avere un tasso accettabile di successi un reparto deve condurre un certo numero minimo di interventi, una condizione difficilmente realizzabile moltiplicando le strutture: non ci sarebbero abbastanza infarti per tutti, fortunatamente.
Maurizio Imperiali
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