Nemici globali

08 settembre 2004
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Nemici globali



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"L'intero pianeta è minacciato da una pandemia di malattie cardiovascolari capace di uccidere più di quanto la morte nera abbia fatto nel medioevo" così, senza mezzi termini, si è espresso Jean Pierre Bassand, presidente del Congresso europeo di cardiologia appena svoltosi a Monaco. Le malattie cardiovascolari sono responsabili di una morte su tre nel mondo e di una su due nei paesi occidentali e le previsioni non sono molto allegre. Per il 2020, infatti, gli esperti dell'OMS prevedono un aumento di 250000 morti l'anno per le malattie legate al cuore anche nei paesi in via di sviluppo. Ma non è finita qui. Secondo i più recenti dati, sempre fonte OMS, nei paesi occidentali le malattie cardiovascolari sono responsabili del 50% delle morti, pari a 17 milioni ogni anno, contro il 27% dovuto ai tumori. Fino ai 65 anni il problema è essenzialmente maschile, fino a tre volte di più, poi i dati si equilibrano fino ad arrivare a una maggiore mortalità femminile. Ma quali sono i fattori di rischio e sono uguali in tutto il pianeta? Di questo si è occupato lo studio INTERHEART, pubblicato on line sulla rivista Lancet il 3 settembre.

Lo studio INTERHEART


Lo studio nasce dalla constatazione che sebbene oltre l'80% del peso globale delle malattie cardiovascolari ricada sui paesi più poveri, la conoscenza dei fattori di rischio viene in gran parte dai paesi più sviluppati. Succede così che l'effetto degli stessi fattori di rischio sulle malattie coronariche in molte regioni del mondo sia pressoché misterioso. I ricercatori hanno così organizzato uno studio caso-controllo standardizzato su infarti del miocardio verificatisi in 52 paesi, rappresentativi di tutti i continenti. Sono stati arruolati complessivamente 15152 casi e 14820 controlli. I risultati? I killer del cuore sono nove: fumo, alti livelli di colesterolo, ipertensione, diabete, obesità addominale, stress, mancanza di consumo quotidiano di frutta e verdura, consumo di alcol e mancanza di esercizio fisico. Tutti fattori ripetutamente evocati ma che, e qui sta la novità di INTERHEART, sembrano scatenare l'infarto allo stesso modo in tutte le regioni e in tutte le popolazioni del mondo, indipendentemente dall'etnia. Se, infatti, si valuta il rischio relativo, per il fumo il valore è di 2,87, per i livelli di colesterolo è di 3,25, per l'ipertensione 1,91, per il diabete 2,37, per l'obesità addominale 1,12, per i fattori psicosociali 2,67, per il consumo di frutta e verdura 0,70, per il consumo di alcol 0,91 e, infine, per l'attività fisica 0,86. Si calcola che, tutti insieme i nove fattori permettano di prevedere il rischio di un attacco di cuore nel 90% dei casi. Un chiaro segnale che l'approccio preventivo deve essere uguale in tutto il mondo, calibrato, naturalmente, a seconda delle differenze economiche e culturali. Si tratta, infatti, di nemici evitabili di cui i più pericolosi sembrano fumo e obesità che sono responsabili di due attacchi cardiaci su tre. Combatterli, perciò, sottolineano i ricercatori, è la principale sfida dei prossimi anni. Al momento le stime non sono ottimiste visto che il numero dei fumatori è in aumento in Asia e in molti paesi in via di sviluppo, al punto che il fumo potrebbe diventare la prima causa di morte nel 2020. E anche l'obesità rappresenta una seria minaccia per la salute globale. La sfida è lanciata ora sta alle singole nazioni raccoglierla.

Marco Malagutti



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