09 febbraio 2005
Aggiornamenti e focus
Batteri nemici della protesi
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La chirurgia plastica del seno è una pratica ormai consolidata: anche nella sua versione più recente, cioè con gli impianti di silicone o salini, si parla ormai di oltre 30 anni di esperienza. Tuttavia alcuni aspetti restano ancora indagati poco sistematicamente. Compresa quella che va considerata la complicanza più frequente di questo tipo di intervento, vale a dire le infezioni. I dati al proposito non sono tantissimi, mancando quasi ovunque un vero e proprio registro di questi interventi e anche in ragione del fatto che non sempre l'infezione viene poi sottoposta allo stesso chirurgo autore dell'intervento. Questa la partenza di una revisione della materia pubblicata da Lancet Infectious Disease, che è andata a spulciare tutti gli studi disponibili.
Il dato complessivo può essere stimato solo approssimativamente, anche se tutti gli studi sembrano andare in quella direzione. In linea generale l'incidenza delle infezioni nella sede di impianto oscilla attorno al 2-2,5%. Nella maggioranza dei casi (1,7%) si tratta di infezioni che si presentano entro le prime sei settimane dall'intervento, mentre il restante 0,8% accade a più lungo termine. Non è nemmeno facile dire quali siano i fattori che predispongono all'infezione, se non per grandi suddivisioni. Sfortunatamente, visto che si tratta di interventi tutt'altro che voluttuari, la maggiore probabilità di infezione si ha nelle ricostruzioni dopo mastectomia, soprattutto quando la ricostruzione viene effettuata contemporaneamente all'asportazione della mammella. Perché siano le ricostruzioni a essere più penalizzate è abbastanza chiaro: la situazione di partenza vede i tessuti più danneggiati e ipossici (cioè poco ossigenati); inoltre anche la terapia radiante e la stessa chemioterapia possono creare un ambiente più favorevole alle infezioni. L'infezione, quindi, più che dalla contaminazione dell'impianto usato, o della salina inserita nell'impianto al momento dell'applicazione, sembra dipendere dall'esposizione dei tessuti all'ambiente. Difatti, se l'intervento ricostruttivo viene affrontato successivamente, le complicanze infettive si riducono alquanto, perché con il tempo c'è un recupero della fisiologia dei tessuti e l'espulsione, per così dire, dei batteri che possano avere contaminato la zona (spesso attraverso il dotto mammario).
Al contrario, quando l'infezione si presenta a mesi o anni di distanza si tratta quasi sempre di un'infezione secondaria. In altre parole, è probabile che se la paziente ha un'infezione dentaria, o oculare o persino una cistite, può accadere che i batteri si insedino nella zona dell'impianto. Attenzione, non è che avendo l'impianto a ogni ascesso si verifichi un'infezione della mammella, ma piuttosto il contrario:
a ogni infezione tardiva dell'impianto corrisponde quasi sempre un'altro episodio infettivo. Lo stesso accade con gli interventi chirurgici invasivi in altre sedi. Però, come ricorda lo studio, si tratta di eventi rari
Fin qui la statistica. Quanto alla presentazione, le infezioni precoci comportano febbre, gonfiore ed eritema della parte, con presenza di dolore che tende ad aumentare rapidamente. In questi casi gli interventi devono essere rapidi e mirati: è fondamentale raccoglier campioni del siero che si deposita nel sito di infezione e procedere a tutte le indagini necessarie a determinare quale batterio è responsabile, così da mirare la terapia antibiotica che comunque, su base empirica, va avviata al più presto. Spesso è necessario rimuovere l'impianto e, magari applicare il drenaggio alla parte.
Guarita l'infezione, comunque, nulla vieta di riconsiderare l'intervento plastico. Infine, nello studio si affronta la prevenzione: ovviamente i primi punti sono la buona esecuzione dell'intervento e l'assoluto rispetto della sterilità del campo operatorio; secondariamente si suggerisce di prendere in considerazione la profilassi antibiotica sul modello di quanto si fa per altri impianti come le valvole cardiache o le protesi d'anca. Sono in vista anche misure più sofisticate, come l'uso di dispositivi che rilasciano l'antibiotico o la realizzazione delle protesi con polimeri cui sono incorporate sostanze antibatteriche, ma per ora si tratta di ricerche.
Maurizio Imperiali
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
La chemioterapia aumenta il rischio
Il dato complessivo può essere stimato solo approssimativamente, anche se tutti gli studi sembrano andare in quella direzione. In linea generale l'incidenza delle infezioni nella sede di impianto oscilla attorno al 2-2,5%. Nella maggioranza dei casi (1,7%) si tratta di infezioni che si presentano entro le prime sei settimane dall'intervento, mentre il restante 0,8% accade a più lungo termine. Non è nemmeno facile dire quali siano i fattori che predispongono all'infezione, se non per grandi suddivisioni. Sfortunatamente, visto che si tratta di interventi tutt'altro che voluttuari, la maggiore probabilità di infezione si ha nelle ricostruzioni dopo mastectomia, soprattutto quando la ricostruzione viene effettuata contemporaneamente all'asportazione della mammella. Perché siano le ricostruzioni a essere più penalizzate è abbastanza chiaro: la situazione di partenza vede i tessuti più danneggiati e ipossici (cioè poco ossigenati); inoltre anche la terapia radiante e la stessa chemioterapia possono creare un ambiente più favorevole alle infezioni. L'infezione, quindi, più che dalla contaminazione dell'impianto usato, o della salina inserita nell'impianto al momento dell'applicazione, sembra dipendere dall'esposizione dei tessuti all'ambiente. Difatti, se l'intervento ricostruttivo viene affrontato successivamente, le complicanze infettive si riducono alquanto, perché con il tempo c'è un recupero della fisiologia dei tessuti e l'espulsione, per così dire, dei batteri che possano avere contaminato la zona (spesso attraverso il dotto mammario).
Rimuovere la protesi
Al contrario, quando l'infezione si presenta a mesi o anni di distanza si tratta quasi sempre di un'infezione secondaria. In altre parole, è probabile che se la paziente ha un'infezione dentaria, o oculare o persino una cistite, può accadere che i batteri si insedino nella zona dell'impianto. Attenzione, non è che avendo l'impianto a ogni ascesso si verifichi un'infezione della mammella, ma piuttosto il contrario:
a ogni infezione tardiva dell'impianto corrisponde quasi sempre un'altro episodio infettivo. Lo stesso accade con gli interventi chirurgici invasivi in altre sedi. Però, come ricorda lo studio, si tratta di eventi rari
Fin qui la statistica. Quanto alla presentazione, le infezioni precoci comportano febbre, gonfiore ed eritema della parte, con presenza di dolore che tende ad aumentare rapidamente. In questi casi gli interventi devono essere rapidi e mirati: è fondamentale raccoglier campioni del siero che si deposita nel sito di infezione e procedere a tutte le indagini necessarie a determinare quale batterio è responsabile, così da mirare la terapia antibiotica che comunque, su base empirica, va avviata al più presto. Spesso è necessario rimuovere l'impianto e, magari applicare il drenaggio alla parte.
Guarita l'infezione, comunque, nulla vieta di riconsiderare l'intervento plastico. Infine, nello studio si affronta la prevenzione: ovviamente i primi punti sono la buona esecuzione dell'intervento e l'assoluto rispetto della sterilità del campo operatorio; secondariamente si suggerisce di prendere in considerazione la profilassi antibiotica sul modello di quanto si fa per altri impianti come le valvole cardiache o le protesi d'anca. Sono in vista anche misure più sofisticate, come l'uso di dispositivi che rilasciano l'antibiotico o la realizzazione delle protesi con polimeri cui sono incorporate sostanze antibatteriche, ma per ora si tratta di ricerche.
Maurizio Imperiali
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