20 dicembre 2007
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Medicina personalizzata non è soltanto un bel modo di dire, e non è nemmeno una questione, peraltro fondamentale, di buon rapporto con il medico curante. Oggi, grazie alla genetica, personalizzare la medicina significa dare a ognuno la giusta medicina alla giusta dose. Lo prova il fatto che la Food and Drug Administration ha modificato il foglietto illustrativo di un farmaco diffusissimo, il warfarin o cumadin, per segnalare che i pazienti possono trarre beneficio da un test genetico, in termini di effetto e di sicurezza del farmaco. La cosa merita una spiegazione perché è un esempio perfetto di come si svilupperà la personalizzazione della medicina. Il warfarin è un farmaco anticoagulante, usato quindi per prevenire la formazione di trombi. E' efficace ma presenta un effetto collaterale importante, cioè il presentarsi di emorragie. Di conseguenza, calcolare il dosaggio non è semplicissimo e il presentarsi delle emorragie non deve essere mai escluso.
Però nel tempo si è notato che, anche tenendo conto di fattori come peso ed età, nonché la cosomministrazione di altri farmaci che possono interagire con il warfarin, vi erano differenze anche rilevanti nelle persone trattate nell'efficacia a parità di dosaggio e nella frequenza degli effetti collaterali. A seguito di un certo numero di studi si è potuto determinare che esistono due geni, chiamati CYP2C9 e VKOR1, le cui variazioni possono influenzare la risposta al farmaco; per la precisione, alcune varianti del gene CYP2C9 alterano il metabolismo del farmaco, cioè ne influenzano la sua permanenza in forma attiva nell'organismo (con una certa approssimazione, indicano la predisposizione alle emorragie), mentre i polimorfismi del gene VKOR1 incidono sull'efficacia del farmaco. In altre parole, con ottima approssimazione, eseguire il test consente di stabilire quale sia la dose necessaria a ottenere l'effetto e, dall'altra parte, quale sia la dose massima sopportabile senza incorrere in effetti indesiderati. L'FDA, viste le prove accumulate, ha deciso che era il momento di far passare queste conoscenze dalla ricerca alla pratica clinica e, quindi, ha modificato il foglietto illustrativo nel senso indicato prima. Anche perché oggi, con la tecnologia dei microarray, eseguire questo genere di ricerche è diventato più rapido, più semplice e, alla fine, meno costoso (per inciso, una tecnologia disponibile anche in Italia). Non ha però reso obbligatoria l'esecuzione dei test e ha tenuto a chiarire che i test normalmente si fanno in corso di terapia per controllare la coagulazione. Insomma un passo avanti nel senso della personalizzazione della medicina, ma non ancora un salto. Anche perché non è detto che il medico clinico sia sempre in grado di interpretare il dato genetico nel modo corretto o, se si preferisce, non è detto che i farmacologi molecolari abbiano già tradotto questa indicazione in dati facilmente maneggiabili "al letto del paziente".
Ma il dado è tratto e in futuro ci si dovrà attendere uno sviluppo rapido di questo tipo di test, e diventerà di uso sempre più frequente la parola farmacogenetica, che indica l'indagine sulle caratteristiche, polimorfismi, variazioni di un singolo nucleotide, capaci di influenzare la risposta individuale al medicinale in termini di potenza e di distribuzione nell'organismo. Lo sviluppo di queste indagini è imposto anche da un altro progresso recente, questa volta in campo oncologico. Infatti si sta delineando una situazione in cui non si considerano più i tumori in funzione della sede (la mammella o il colon) ma in funzione dei meccanismi molecolari che vi sono coinvolti. Meccanismi che hanno ovviamente un sostrato genetico, e per stabilire quale farmaco usare, in particolare oggi che si ragiona in termini di anticorpi monoclinali, il test genetico potrebbe diventare la prima fase della cura.
Maurizio Imperiali
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La dose efficace e sicura
Però nel tempo si è notato che, anche tenendo conto di fattori come peso ed età, nonché la cosomministrazione di altri farmaci che possono interagire con il warfarin, vi erano differenze anche rilevanti nelle persone trattate nell'efficacia a parità di dosaggio e nella frequenza degli effetti collaterali. A seguito di un certo numero di studi si è potuto determinare che esistono due geni, chiamati CYP2C9 e VKOR1, le cui variazioni possono influenzare la risposta al farmaco; per la precisione, alcune varianti del gene CYP2C9 alterano il metabolismo del farmaco, cioè ne influenzano la sua permanenza in forma attiva nell'organismo (con una certa approssimazione, indicano la predisposizione alle emorragie), mentre i polimorfismi del gene VKOR1 incidono sull'efficacia del farmaco. In altre parole, con ottima approssimazione, eseguire il test consente di stabilire quale sia la dose necessaria a ottenere l'effetto e, dall'altra parte, quale sia la dose massima sopportabile senza incorrere in effetti indesiderati. L'FDA, viste le prove accumulate, ha deciso che era il momento di far passare queste conoscenze dalla ricerca alla pratica clinica e, quindi, ha modificato il foglietto illustrativo nel senso indicato prima. Anche perché oggi, con la tecnologia dei microarray, eseguire questo genere di ricerche è diventato più rapido, più semplice e, alla fine, meno costoso (per inciso, una tecnologia disponibile anche in Italia). Non ha però reso obbligatoria l'esecuzione dei test e ha tenuto a chiarire che i test normalmente si fanno in corso di terapia per controllare la coagulazione. Insomma un passo avanti nel senso della personalizzazione della medicina, ma non ancora un salto. Anche perché non è detto che il medico clinico sia sempre in grado di interpretare il dato genetico nel modo corretto o, se si preferisce, non è detto che i farmacologi molecolari abbiano già tradotto questa indicazione in dati facilmente maneggiabili "al letto del paziente".
Uno sviluppo inevitabile
Ma il dado è tratto e in futuro ci si dovrà attendere uno sviluppo rapido di questo tipo di test, e diventerà di uso sempre più frequente la parola farmacogenetica, che indica l'indagine sulle caratteristiche, polimorfismi, variazioni di un singolo nucleotide, capaci di influenzare la risposta individuale al medicinale in termini di potenza e di distribuzione nell'organismo. Lo sviluppo di queste indagini è imposto anche da un altro progresso recente, questa volta in campo oncologico. Infatti si sta delineando una situazione in cui non si considerano più i tumori in funzione della sede (la mammella o il colon) ma in funzione dei meccanismi molecolari che vi sono coinvolti. Meccanismi che hanno ovviamente un sostrato genetico, e per stabilire quale farmaco usare, in particolare oggi che si ragiona in termini di anticorpi monoclinali, il test genetico potrebbe diventare la prima fase della cura.
Maurizio Imperiali
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