Curare il diabete nuoce al cuore?

30 maggio 2007
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Curare il diabete nuoce al cuore?



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Se il diabete tipo 2 ha tra le sue conseguenze più gravi gli incidenti cardiovascolari, è evidente che la notizia di un farmaco usato per questa malattia che a sua volta può avere effetti negativi sul cuore non lascia indifferenti. Ed è quello che è accaduto al rosiglitazone, molecola della multinazionale britannica Glaxo Smithkline. Il rosiglitazone è un ipoglicemizzante orale, con un meccanismo diverso dalla metformina e dalle sulfaniluree (i farmaci più vecchi) e appartiene alla classe dei tiazolindinedioni. Però, prima di prendere a male parole il proprio diabetologo è bene fare presenti alcuni aspetti non secondari. Il primo è che l'allarme è stato lanciato da una metanalisi pubblicata sul New England Journal of Medicine. Le metanalisi sono studi di studi, cioè si prende in considerazione tutta la ricerca pubblicata su un certo argomento, si scelgono gli studi condotti con rigore e, con mezzi statistici, si traggono delle conclusioni generali, che attraversano tutti gli studi esaminati. Un po' come se invece di avere 10 studi con 1000 pazienti, si avesse un solo studio con 10000 pazienti, di norma assai più significativo. Però è comunque un'approssimazione.

La mortalità totale non cambia


Inoltre, gli stessi autori della metanalisi hanno concluso che c'era un leggero aumento della mortalità cardiovascolare, mentre la mortalità per tutte le cause non aumentava. In pratica, il numero di morti tra le persone trattate con il rosiglitazone e quelle che non lo erano non cambiava significativamente, al limite cambiava la distribuzione tra le cause. In questo senso è subito intervenuta l'Agenzia del farmaco europea, l'EMEA, specificando due cose: fin dal 2000, il farmaco in Europa è stato approvato con l'esplicita indicazione di non prescriverlo a chi aveva malattie cardiovascolari e, successivamente, nel 2006, era stato aggiunto che il farmaco, in persone che presentavano particolari fattori di rischio, poteva anche causare eventi ischemici (per esempio l'infarto). In pratica, fin dalla sua introduzione, il rosiglitazone era sotto osservazione e se qualcosa non fosse andato per il verso giusto, per esempio un eccesso di mortalità cardiovascolare, l'allarme sarebbe scattato prima di qualsiasi metanalisi. Il secondo aspetto riguarda gli studi, 41 per un totale di 15.500 pazienti, considerati nella metanalisi. La maggioranza di questi era già nota all'EMEA e i risultati erano stati considerati; cosa ancora più importante, alcuni di questi studi prevedevano l'impiego del farmaco in modalità differenti da quelle approvate in Europa. Tradotto in soldoni: se a un paziente italiano o francese il farmaco è stato prescritto correttamente, questi non corre rischi tali da indurre a interrompere la terapia.

Gli studi importanti sono solo due


Ma non è intervenuta soltanto l'EMEA. Sul Lancet della settimana scorsa è stato pubblicato un editoriale molto secco, in cui si sottolinea come i due studi più affidabili su cui si basano le conclusioni della metanalisi siano il trial ADOPT (anch'esso pubblicato a suo tempo dal New England) e il trial DREAM, pubblicato dallo stesso Lancet. Nel DREAM si concludeva che la quota di infarti era dello 0,6% nei pazienti trattati e dello 0,3% nel gruppo di controllo, mentre considerando assieme infarti, ictus e altri eventi cardiovascolari, le percentuali erano rispettivamente dell'1,2% e dello 0,9%. Però, nessuno dei due dati raggiungeva la significatività statistica. Lo studio ADOPT, che coinvolse 4360 pazienti, rilevò invece un aumento degli episodi di insufficienza cardiaca: 22 nei soggetti trattati contro nove nel gruppo di controllo. Poco per trarre conclusioni allarmanti, dice l'editoriale di Lancet, pertanto si può aspettare senza timori la conclusione dello studio RECORD. Questa ricerca, infatti, è mirata specificamente a determinare le conseguenze del rosiglitazone sul rischio cardiovascolare. Lancet, quindi, conclude che è inutile lanciare allarmi poco ponderati, sulla base di una metanalisi che non è esente da pecche, ma aggiunge che anche le dichiarazioni (troppo) rassicuranti del produttore non servono a fare chiarezza.

Maurizio Imperiali



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