Metti un SSRI in gravidanza

04 luglio 2007
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Metti un SSRI in gravidanza



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La probabilità di andare incontro a depressione maggiore nell'arco della vita oscilla dal 10% al 25%, con un picco massimo di prevalenza nel periodo di gravidanza. Un momento in cui i sintomi depressivi interessano dall'8 al 20% delle donne e il 10% in modo conclamato.
E in molti di questi casi la terapia antidepressiva adottata vede come farmaci di prima linea gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI). Mai come in questa fase della vita è di importanza critica il profilo di sicurezza di un farmaco, e se la questione si solleva per l'aspirina a maggior ragione lo si deve fare per uno psicofarmaco.

Paroxetina sotto osservazione


La discussione sulle conseguenze sul feto (effetti teratogeni) degli SSRI risale al 2005, in quell'occasione si parlò della paroxetina in relazione alle malformazioni cardiache congenite. Fu uno studio, condotto da GlaxoSmithKline per verificare gli effetti indesiderati in gravidanza associati all'uso di bupropione, che alzò il livello di attenzione su altri antidepressivi spingendo la Food and Drug Administration a chiedere un'ulteriore analisi del rischio con gli SSRI. L'FDA ha così evidenziato un aumento, rispetto ad altri antidepressivi, del rischio di anomalie congenite in bambini nati da madri che assumevano paroxetina nel primo trimestre di gravidanza. Le anomalie più frequenti erano a carico dell'apparato cardiovascolare con un rischio relativo più che doppio (2.2), in particolare difetti del setto interventricolare. L'FDA, negli Stati Uniti, come pure le autorità sanitarie canadesi, predisposero un avviso sul proprio sito per pazienti e medici sull'aumento di rischio. In Italia queste informazioni sono state aggiunte nel riassunto delle caratteristiche del prodotto dei medicinali a base di paroxetina. La stessa Agenzia italiana del farmaco pubblicò una nota informativa in merito e il Bollettino della farmacovigilanza dedicò più volte spazio nelle sue colonne, sottolineando tuttavia la contraddittorietà dei dati e invitando alla prudenza nel trarre conclusioni definitive sulla reale teratogenicità degli SSRI in generale e della paroxetina in particolare. Caldeggiando, per altro, ulteriori, accertamenti su campioni più ampi o database.

Incidenza bassa rischio minimo


In effetti si parlava di un'amplificazione minima del rischio, la dimensione assoluta di difetti cardiaci dovuti all'esposizione alla paroxetina è piccola: l'1% tra i bambini non esposti e il 2% nei bambini esposti. Di conseguenza le autorità americane, al tempo stesso, sconsigliavano di interrompere bruscamente la terapia antidepressiva che avrebbe portato a grave depressione la paziente. Uno studio svedese molto grande (6481 donne in terapia con SSRI) non rilevò l'aumento di rischio teratogeno associato all'uso nel primo trimestre di gravidanza se non nelle pazienti che assumevano paroxetina con un rischio relativo di 1,6. Un altro studio canadese trovò un maggior rischio di associazione (rischio relativo 3.0) con malformazioni cardiache ma solo a dosaggi quotidiani superiori a 25 mg; da un registro danese, infine, emerse che il rischio relativo di incorrere in tutte le malformazioni congenite era 1,34, ma senza entrare nel merito dei singoli SSRI. I dati più recenti sono stati pubblicati su New England Journal of Medicine, con risultati rassicuranti, fermo restando che una delle due ricerche è sponsorizzata da GlaxoSmithKline, azienda produttrice di un farmaco contenente paroxetina.
Gli autori affermano di non aver rilevato un'associazione tra l'assunzione di SSRI, tra i quali anche la paroxetina, e un aumento significativo del rischio di malformazioni cardiache o di altri difetti congeniti, per esempio craniosinostosi o onfalocele. Ma sottolineano che i difetti considerati sono rari e il rischio assoluto rimane comunque basso. Ancora una volta i risultati non sono risolutivi e gli autori stessi auspicano ulteriori chiarimenti. Nel frattempo il monito rimane sempre un invito alla cautela, da adottare caso per caso, per ognuno dei quali resta valida la regola del rapporto rischio-beneficio che al momento non si può generalizzare.

Simona Zazzetta



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