Cosa sono i farmaci generici

20 giugno 2008
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Cosa sono i farmaci generici



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D'improvviso tutti ne parlano, ma pochi li hanno visti. Che cosa sono veramente i farmaci generici: un'innovazione o una volgare imitazione? Ma soprattutto perché gli Italiani li incontrano solo adesso, mentre nelle altre nazioni europee sono di utilizzo ormai consolidato?

Riconoscerli dal nome


Si chiamano generici perché, a differenza delle specialità medicinali, non hanno un nome di fantasia (il marchio registrato), ma vengono commercializzati con il nome comune del principio attivo. Per essere più precisi, ed evitare confusioni tra i possibili sinonimi, si utilizza la Denominazione Comune Internazionale (DCI), che è una contrazione del nome chimico (di solito troppo lungo) accettata da tutte le nazioni. Sulla scatoletta del farmaco, quindi, compare il DCI (es. ibuprofene), seguito dal nome dell'azienda che produce il medicinale. I principi attivi utilizzabili sono quelli più <<vecchi>> il cui brevetto è scaduto. I farmaci generici possono essere sia da banco (acquistabili liberamente) che prescrivibili (acquistabili solo con ricetta medica), esattamente come la specialità medicinale da cui derivano.

Che cosa prevede la legge


Possono essere generici i medicinali contenenti uno, o più principi attivi il cui brevetto sia scaduto (Legge 425/96) e che siano la copia bioequivalente di una specialità medicinale regolarmente in commercio.
Un principio attivo coperto da brevetto può essere commercializzato, come specialità avente un nome di fantasia, solo dall'azienda che ne detiene il brevetto. Questo apparente monopolio, che dura 10-20 anni, serve a risarcire l'azienda delle enormi spese di ricerca sostenute nei 10 anni circa necessari per mettere a punto un nuovo farmaco. In particolare poi, quando l'azienda ha accertato che il nuovo medicinale è sicuro ed efficace, per poterlo vendere deve chiedere l'Autorizzazione all'Immissione in Commercio (AIC) al Ministero della Sanità. Questa procedura, chiamata registrazione, prevede la consegna al Ministero di tutta la documentazione degli studi effettuati, prima sugli animali, poi su volontari sani, infine su pazienti, che dimostrano come il farmaco sia sicuro (non pericoloso, né tossico) e più efficace, rispetto agli altri già in commercio, nel trattare una determinata malattia.
Il farmaco generico è la copia di una specialità medicinale registrata, quindi deve avere lo stesso principio attivo, presente alla medesima dose, la stessa forma farmaceutica, la stessa via di somministrazione e le stesse indicazioni terapeutiche. Per queste sue caratteristiche si dà per scontato che il generico sia sicuro ed efficace (fatti già dimostrati dall'azienda che deteneva il brevetto), quindi la procedura per ottenere l'AIC è abbreviata e richiede solo le prove di bioequivalenza al farmaco che si intende copiare. L'azienda, che intende produrre e commercializzare un generico, non ha sostenuto spese di ricerca e risparmia anche sulla domanda di registrazione; in cambio di questi vantaggi, però, deve vendere il medicinale ad un prezzo almeno del 20% inferiore a quello del marchio di riferimento.

L'importanza della bioequivalenza

Se la quantità di principio attivo è la stessa, forma farmaceutica e via di somministrazione anche, ma il prezzo è inferiore, chi ci garantisce che la qualità sia sempre uguale quando i produttori sono diversi? Le prove di bioequivalenza.
Una ditta che produce un generico per ottenere l'AIC deve presentare, al Ministero della Sanità, studi che ne dimostrino la bioequivalenza al medicinale di cui è la copia. In termini pratici la documentazione richiesta è enormemente ridotta, rispetto a quella necessaria per registrare un nuovo farmaco, o un nuovo dosaggio di un farmaco già in commercio, ma non per questo diminuiscono le garanzie per il paziente. Bioequivalenza significa che due farmaci (il generico e il marchio di confronto) devono avere esattamente lo stesso comportamento, una volta entrati nel nostro organismo, in termini qualitativi e quantitativi. Efficacia terapeutica, potenza dell'azione, tempo di comparsa dell'effetto e sua durata, effetti collaterali e loro incidenza, tutti questi parametri devono risultare identici. Perché si verifichino queste condizioni non è sufficiente che la quantità di principio attivo sia la stessa (100 mg per compressa), né che gli eccipienti utilizzati nella formulazione siano i medesimi (si possono usare anche eccipienti diversi). Il nostro organismo, infatti, è molto sofisticato: se ci fossero impurezze (prodotti chimici formatisi durante, o dopo, la lavorazione) nel farmaco generico in percentuali più elevate, o anche solo una diversa forma cristallina di uno dei componenti attivi, l'assorbimento del medicinale o la sua efficacia potrebbero cambiare. Queste le ipotesi migliori: infatti, oltre ad una perdita di efficacia, potrebbe anche manifestarsi un aumento della tossicità del farmaco. Quando un generico arriva in farmacia, quindi, significa che il Ministero della Sanità ha già accertato che il suo comportamento è perfettamente sovrapponibile a quello del medicinale di riferimento.

E poi c'è il co-marketing

Tuttavia, escludendo i galenici, un vero mercato di generici nel nostro Paese non esisteva, mentre era, ed è ancora, molto diffuso un fenomeno tipicamente italiano: quello del co-marketing. Molte aziende, titolari di farmaci coperti da brevetti ancora in corso di validità, possono concedere ad altre aziende la compartecipazione nella commercializzazione degli stessi principi attivi. Il farmaco co-marketing viene registrato con lo stesso iter del farmaco leader e sarà quindi venduto con un nome di fantasia. Queste specialità medicinali sono uguali, nonbioequivalenti farmaceutici: stesso principio attivo, stessa dose, stessa forma farmaceutica, stessa via di somministrazione, stesse indicazioni terapeutiche. Il DPR n.94 del 21 Febbraio 1989 consente l'intercambiabilità solo tra le "specialità medicinali", e solo in regime di SSN (farmaci mutuabili) in caso di: momentanea irreperibilità del medicamento nel normale ciclo distributivo, o eccezionale mancanza del prodotto in farmacia, con particolare riguardo ai casi di urgenza assoluta e manifesta. Questo significa che se voi chiedete il farmaco X dell'azienda Rossi e questo non è disponibile, se la ditta Bianchi lo produce in co-marketing chiamandolo Y il farmacista può darvi quest'ultimo. Questa convenzione nazionale, anche se poco utilizzata dalla maggioranza dei farmacisti, di fatto penalizza i farmaci generici, che non sono "specialità", e priva il Servizio Sanitario Nazionale di una possibilità di risparmio.

Elisa Lucchesini



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