Generici DOC per il cuore

12 dicembre 2008
Aggiornamenti e focus

Generici DOC per il cuore



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La comparsa dei farmaci generici, uguali a quelli di marca ai quali è scaduto il brevetto, è stata salutata come una grande opportunità per i sistemi sanitari e per i pazienti, per il risparmio che si ottiene a parità di principi attivi e quindi di proprietà terapeutiche. Il loro uso resta però frenato rispetto alle aspettative, specie in alcuni paesi (come il nostro), alcuni infatti ancora diffidano sull'effettiva uguaglianza di efficacia e tollerabilità rispetto ai preparati di marca. Se è vero che non si tratta di preparati fotocopia, in quanto ci possono essere differenze secondarie negli eccipienti o nei processi di produzione, l'aspetto fondamentale è però che i principi attivi sono identici, o equivalenti, termine con il quale vengono ora più efficacemente definiti questi farmaci. Quanto all'equivalenza non solo farmacologica ma negli esiti clinici, emergono conferme da una metanalisi compiuta da ricercatori di Boston che hanno confrontato farmaci generici e di marca in ambito cardiovascolare. Di rilievo però la discrepanza tra i riscontri positivi sul piano scientifico e le remore invece di alcuni autori ed editoriali, anch'essi valutati nella metanalisi.

Dimostrazione per nove classi di molecole


Le evidenze empiriche raccolte sulle eventuali differenze cliniche dei farmaci equivalenti con quelli di marca sono limitate, affermano gli autori dello studio, e questo li ha spinti a esaminare una mole di studi pubblicati tra il 1984 e il 2008 e relativi a medicinali ampiamente prescritti come sono appunto quelli cardiovascolari, confrontando le due tipologie. La selezione finale ha identificato 47 studi, sia randomizzati e controllati sia osservazionali, riguardanti nove sottoclassi di farmaci per comuni disturbi cardiovascolari: si tratta di beta-bloccanti, diuretici, calcio-antagonisti, antiaggreganti piastrinici, statine, Ace-inibitori, alfa-bloccanti, antiaritmici e anticoagulanti. Una preoccupazione particolare sulla bioequivalenza tra medicinali generici e di marca riguarda quelli con indice terapeutico ristretto (NTI), nei quali cioè ci sono piccole differenze di concentrazioni ematiche tra dosi efficaci e dosi tossiche, contrariamente ad altri con ampio indice terapeutico (WTI): ai primi appartengono per esempio antiaritmici di classe 1 e anticoagulanti come il warfarin. Eseguite tutte le valutazioni e analisi statistiche, per i farmaci WTI è risultata l'equivalenza clinica tra generici e di marca praticamente nel 100% degli studi (7 su 7 per i beta-bloccanti, 10/11 per i diuretici, 3/3 per gli antiaggreganti, ecc.; per i calcio-antagonisti 5/7); lo stesso per quelli con NTI (1/1 per gli antiaritmici e 5/5 per gli anticoagulanti). I dati cioè non indicano una superiorità per i farmaci di marca rispetto agli equivalenti in relazione agli esiti clinici; questi sono espressi da misurazione dei segni vitali, analisi di laboratorio, effetti collaterali, visite mediche e altro ancora. La maggior parte degli studi, notano comunque gli autori, riguardava beta-bloccanti, calcio-inibitori, diuretici e l'anticoagulante warfarin, mentre per le altre classi i trial erano scarsi, altri limiti possono essere stati casistiche ridotte, studi sul breve termine, prevalenza di soggetti studiati più giovani e scarsità di quelli con co-morbilità. La numerosità dei riscontri però, concludono, indica che pazienti, e medici, possono considerare la bioequivalenza dei farmaci cardiovascolari come modello di equivalenza clinica.

Editoriali discrepanti


Interessante a questo punto l'altro versante della metanalisi, quello relativo ai 43 editoriali selezionati che trattavano di appropriatezza degli equivalenti cardiovascolari, pubblicati nello stesso arco di tempo degli studi. Di questi commenti 23, cioè il 53%, si sono espressi negativamente sull'intercambiabilità dei generici rispetto ai farmaci di marca, e al loro interno la quota è stata anche maggiore per i più rischiosi NTI. Opinioni che, si sottolinea, non sono cambiate negli editoriali più recenti, tra il 2000 e il 2008. Forse si riferiscono a preoccupazioni basate su casi aneddotici e questo spiega la discrepanza con i dati degli studi: oppure, si suggerisce più malignamente, certe conclusioni sono "influenzate" da coinvolgimenti con aziende farmaceutiche non sempre dichiarati; una migliore selezione nelle pubblicazioni potrebbe essere utile.

Elettra Vecchia



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