04 febbraio 2005
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L'OMS ha annunciato che il numero di malati di AIDS dei paesi poveri che oggi ha accesso ai farmaci sono passati dai 440mila di luglio 2004 ai 700mila della fine dell'anno. Un buon risultato? Non la pensa così Medici senza Frontiere, che in un recente comunicato ha dichiarato che si tratta di una cifra ancora incredibilmente bassa se si pensa che nel mondo ci sono almeno 6 milioni di sieropositivi che si trovano in una fase della malattia che richiede immediatamente una terapia a base di anti-retrovirali. In pratica solo il 12% delle persone che ne hanno bisogno ricevono farmaci. Non solo. Il rischio, dicono a MSF, è di fare dei passi indietro, visto che a partire da gennaio 2005 i principali produttori di farmaci generici contro l'AIDS (India e Cina soprattutto) sono obbligati a rispettare le norme del WTO (Organizzazione mondiale del commercio) in materia di brevetti sui medicinali. Ma di che norme si parla?
La dichiarazione ufficiale del WTO, datata 30 agosto 2003, aveva toni trionfalistici, sembrava, infatti, raggiunto l'obiettivo di dare ai paesi poveri accesso ai farmaci essenziali senza alterare le regole in materia di proprietà intellettuale. Ma è veramente così? Gia nel 2001 - commentava in un editoriale sull'argomento il British Medical Journal - si era giunti a una dichiarazione che cercava di mediare tra l'interesse delle industrie farmaceutiche e quello dei paesi sottosviluppati. L'accordo del 2003 regola le condizioni per la vendita dei farmaci generici dai paesi poveri ma con capacità di produzione propria (India e Brasile) verso quelli senza, le malattie citate sono l'HIV, la tubercolosi e la malaria. Per Supachai Panitchpakdi, direttore generale del WTO, si trattava di un accordo storico che dimostra come i contrasti tra nord e sud si possono superare e che il WTO avrebbe la capacità di dare risposta anche a problemi umanitari. Molti osservatori, però, sono scettici osservando che l'accordo raggiunto si basa su una dichiarazione precedentemente rifiutata dall'Unione Europea, perché non avrebbe semplificato l'accesso ai farmaci per i paesi più poveri.
I paesi meno sviluppati - continuava l'editoriale - non beneficeranno di questo accordo per via di una semplice osservazione: il 97% dei brevetti mondiali è detenuto dai paesi industrializzati. Da qui l'intransigenza americana sui termini conclusivi, che non poteva che avere il sopravvento. L'accordo così come è concepito - secondo l'editoriale - riduce la flessibilità, visto che limita l'emergenza a tre malattie principali (AIDS, malaria e tubercolosi) mentre nel 2001 si parlava in termini più generali di minacce alla salute pubblica. Un passo indietro nel tentativo di costruire un sistema sanitario planetario e integrato. Ma non finisce qui. La protezione sui brevetti mantenuta nell'ordine dei vent'anni non fa che reiterare il supporto al principio dei prezzi in regime di monopolio, con oneri per i paesi poveri, giustificati con la necessità di recuperare i costi degli investimenti in ricerca e sviluppo. Legittimo perciò. Se non fosse che la proprietà intellettuale conta ben poco nello stimolare ricerca e sviluppo delle malattie prevalenti nei paesi in via di sviluppo. Meno del 5% è la quantità di denaro investita per le malattie che li affliggono. E dei 1395 farmaci approvati tra il 1975 e il 1999 solo 13 sono specificatamente indicati per malattie tropicali, incluse malaria e tubercolosi. È evidente così che le rigide regole brevettuali contribuiscono ben poco alla promozione della ricerca e sviluppo nel Sud del mondo. La UK Commission on Intellectual Property Rights and Development Policy sostiene la necessità di ridurre la portata dei soggetti brevettabili per i paesi in via di sviluppo, escludendo, per esempio, l'ambito diagnostico, terapeutico e chirurgico dal regime brevettuale. Non c'è una parola su questo nel testo dell'accordo del WTO. Rincara la dose dal suo sito ufficiale MSF. "Se la concorrenza dei farmaci generici nei confronti di quelli prodotti dalle multinazionali occidentali dovesse essere ulteriormente ostacolata potrebbero essere pregiudicati i progetti di lotta all'AIDS faticosamente avviati nei paesi più colpiti. Solo la concorrenza dei generici, infatti, è stata in grado di abbassare il prezzo delle terapie dagli oltre 10mila dollari per paziente l'anno del 2001 agli attuali 170 l'anno per paziente. Bloccare questo meccanismo virtuoso sarebbe un atto criminale".
Marco Malagutti
Salute oggi:
...e inoltre su Dica33:
L'entusiasmo del WTO
La dichiarazione ufficiale del WTO, datata 30 agosto 2003, aveva toni trionfalistici, sembrava, infatti, raggiunto l'obiettivo di dare ai paesi poveri accesso ai farmaci essenziali senza alterare le regole in materia di proprietà intellettuale. Ma è veramente così? Gia nel 2001 - commentava in un editoriale sull'argomento il British Medical Journal - si era giunti a una dichiarazione che cercava di mediare tra l'interesse delle industrie farmaceutiche e quello dei paesi sottosviluppati. L'accordo del 2003 regola le condizioni per la vendita dei farmaci generici dai paesi poveri ma con capacità di produzione propria (India e Brasile) verso quelli senza, le malattie citate sono l'HIV, la tubercolosi e la malaria. Per Supachai Panitchpakdi, direttore generale del WTO, si trattava di un accordo storico che dimostra come i contrasti tra nord e sud si possono superare e che il WTO avrebbe la capacità di dare risposta anche a problemi umanitari. Molti osservatori, però, sono scettici osservando che l'accordo raggiunto si basa su una dichiarazione precedentemente rifiutata dall'Unione Europea, perché non avrebbe semplificato l'accesso ai farmaci per i paesi più poveri.
Un diffuso scetticismo
I paesi meno sviluppati - continuava l'editoriale - non beneficeranno di questo accordo per via di una semplice osservazione: il 97% dei brevetti mondiali è detenuto dai paesi industrializzati. Da qui l'intransigenza americana sui termini conclusivi, che non poteva che avere il sopravvento. L'accordo così come è concepito - secondo l'editoriale - riduce la flessibilità, visto che limita l'emergenza a tre malattie principali (AIDS, malaria e tubercolosi) mentre nel 2001 si parlava in termini più generali di minacce alla salute pubblica. Un passo indietro nel tentativo di costruire un sistema sanitario planetario e integrato. Ma non finisce qui. La protezione sui brevetti mantenuta nell'ordine dei vent'anni non fa che reiterare il supporto al principio dei prezzi in regime di monopolio, con oneri per i paesi poveri, giustificati con la necessità di recuperare i costi degli investimenti in ricerca e sviluppo. Legittimo perciò. Se non fosse che la proprietà intellettuale conta ben poco nello stimolare ricerca e sviluppo delle malattie prevalenti nei paesi in via di sviluppo. Meno del 5% è la quantità di denaro investita per le malattie che li affliggono. E dei 1395 farmaci approvati tra il 1975 e il 1999 solo 13 sono specificatamente indicati per malattie tropicali, incluse malaria e tubercolosi. È evidente così che le rigide regole brevettuali contribuiscono ben poco alla promozione della ricerca e sviluppo nel Sud del mondo. La UK Commission on Intellectual Property Rights and Development Policy sostiene la necessità di ridurre la portata dei soggetti brevettabili per i paesi in via di sviluppo, escludendo, per esempio, l'ambito diagnostico, terapeutico e chirurgico dal regime brevettuale. Non c'è una parola su questo nel testo dell'accordo del WTO. Rincara la dose dal suo sito ufficiale MSF. "Se la concorrenza dei farmaci generici nei confronti di quelli prodotti dalle multinazionali occidentali dovesse essere ulteriormente ostacolata potrebbero essere pregiudicati i progetti di lotta all'AIDS faticosamente avviati nei paesi più colpiti. Solo la concorrenza dei generici, infatti, è stata in grado di abbassare il prezzo delle terapie dagli oltre 10mila dollari per paziente l'anno del 2001 agli attuali 170 l'anno per paziente. Bloccare questo meccanismo virtuoso sarebbe un atto criminale".
Marco Malagutti
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