Prescrizioni su misura

24 novembre 2006
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Prescrizioni su misura



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Non è una di quelle notizie che fanno scalpore, eppure segna l'inizio di una nuova era per le cure farmacologiche. Negli Stati Uniti, qualche settimana fa, si è riunito un gruppo di esperti di diverse discipline, allo scopo di proporre uno schema di linee guida per l'esecuzione di test farmacogenetici. Test, cioè, che il medico deve eseguire per scoprire se e in quale misura il paziente può beneficiare di quel farmaco, test è il caso di aggiungere, che finiranno nel foglietto illustrativo, vicino alle modalità di impiego e alle indicazioni. Il rapporto tra genetica e farmaci è ovviamente fortissimo e può essere diviso in almeno due capitoli. C'è la farmacogenomica che si occupa di trovare i potenziali bersagli per farmaci ancora da inventare, bersagli che possono essere nel DNA cellulare, ma anche nell'RNA, oppure essere proteine codificate da questo o quel gene. Farmaci, però, che ancora non ci sono e vanno messi a punto sapendo già "quale lavoro devono fare". Dall'altra parte c'è appunto la farmacogenetica, che invece si occupa dei farmaci che esistono già. Non è cosa da poco cercando di spiegare, in base al patrimonio genetico, che cosa fa sì che in alcune persone un farmaco funzioni e in altre no. Sul piano delle conoscenze teoriche, spiegazioni di questo genere ne sono state già trovate tante ma il punto, come riassunto anche in un simposio tenutosi al congresso della Società Italiana di genetica umana, è il passaggio alla clinica, cioè eseguire i test sui pazienti che quotidianamente si rivolgono al medico.

Farmaci più semplici da usare


Uno dei campi in cui la farmacogenomica può già oggi essere immediatamente utile al medico pratico è la cardiologia, come ha spiegato il professor Antonio Novelli, del Dipartimento di Medicina di Laboratorio Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Torvergata, Roma. Nelle principali classi di farmaci oggi impiegati in terapia, a cominciare dai beta-bloccanti destinati all'ipertensione, per finire alle statine, sono interessate da variazioni di efficacia e/o tollerabilità in funzione della presenza di diverse "configurazioni" (tecnicamente polimorfismi) di diversi geni. E se in alcuni casi, come quello delle statine, la presenza di questo o quel polimorfismo può determinare al limite una minore efficacia, in altri casi come quello del warfarin la variabilità della risposta è tale da ridurre in misura molto significativa la finestra terapeutica del farmaco, cioè la gamma di dosaggi entro i quali può essere impiegato con successo, con le ovvie conseguenze in termini di ricerca del giusto per il paziente e gli altrettanto ovvi rischi. Non è un caso che uno dei farmaci per i quali gli esperti statunitensi raccomandano il test genetico è il warfarin. "Ma fuori dal campo cardiologico" ha aggiunto Novelli "ci sono situazioni anche più stringenti. Nel caso dell'abacavir, farmaco fondamentale per il trattamento delle infezioni da HIV, esiste un genotipo per il quale il farmaco si rivela mortale. E in questo caso il test è imprescindibile".

La sicurezza ripaga i costi?


Naturalmente eseguire test di questo tipo non è semplice. O meglio non era semplice, perché oggi, grazie alla tecnologia dei biochip o microarray, ricercare un polimorfismo su diversi campioni o più polimorfismi nel medesimo campione è relativamente semplice. Per esempio, determinare i polimorfismi che regolano la risposta al warfarin, quelli dei geni VIKOR1 e CYP2C9, è già possibile con queste tecnologie. E' evidente che si tratta di un test in più rispetto a quelli che già si devono effettuare sui pazienti che richiedono una terapia anticoagulante, di conseguenza, un costo. "Per quanto riguarda lo screening per le mutazioni di VIKOR1 e CYP2C9, il sistema si ripaga evitando anche soltanto il 50% dei casi di reazione avversa al warfarin, che hanno anch'esse un costo per i sistemi sanitari" ha detto Elaine Weidenhammer, dirigente della Nanogen, una delle aziende impegnate su questo fronte. Non si può trascurare poi, che come ha sostenuto anche il professor Novelli, tanti casi di supposta malasanità per errori nelle prescrizioni possano dipendere anche dall'ignoranza di quale sia la reazione del singolo paziente al farmaco, anche quando prescritto correttamente.

Sveva Prati



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